Sammie

Quando è rientrata Dean non c’era, la casa era fredda e deserta, e aveva quell’odore tipico di un posto che è rimasto vuoto tutto il giorno. Un odore come di polvere. O come il sentore stagnante e minerale dell’acqua di un gabinetto. L’istante in cui Sammie ha aperto la porta d’ingresso la caldaia si è avviata con uno sbuffo, e lei ha lanciato un grido di sorpresa e poi si è messa a ridere, ma un po’ troppo forte. Era inquietante, sentirsi circondata dai suoni della vita quotidiana pur senza muovere un dito. Il ronzio del frigorifero, la lenta carezza del vento lungo i rivestimenti esterni della casa. E un ticchettio che le ricordava quando Dean si tagliava le unghie dei piedi, e di cui ha cercato di rintracciare la fonte per un’ora, finché a un tratto si è fermato.

Ha provato a chiamare Dean sul cellulare, ma lui non risponde. Non sapeva a chi altro telefonare né cosa fare. Come ti comporti quando tuo marito sparisce? Lo cerchi? Sammie per poco non l’ha fatto: è uscita di casa con le chiavi della macchina in mano, ma poi si è girata ed è tornata sui suoi passi. Denver è una grande città, e lui potrebbe essere ovunque. Sammie non avrebbe saputo da dove cominciare. C’erano centinaia di luoghi dove nascondersi, migliaia, e sarebbe stato tempo sprecato. Dean era arrabbiato e ferito, e forse era meglio lasciarlo sfogare e aspettare il suo ritorno. Lui sapeva dove trovarla.

E così è andata a letto. Le lenzuola erano ghiacciate, e Sammie non è riuscita a scaldarsi finché non si è girata bocconi con le mani incrociate sotto il ventre e la faccia rivolta verso le grandi cifre della sveglia digitale. Si è addormentata in quella posizione, e al risveglio era sicura che fosse già mattino, e invece erano passati solo dieci minuti. Ha riprovato a chiamare Dean, ma il suo telefono non suonava nemmeno più, e l’ha collegata direttamente con la segreteria.

«Maledizione» ha imprecato Sammie dopo il bip. «So che sei arrabbiato, ma non fare così. Torna a casa e parliamone.

Venti minuti dopo:

«Ho visto Hoskins qualche volta, ma solo per quello che sto cercando di scrivere. Non è successo niente, Dean. Te lo giuro. Non è successo niente».

E più tardi:

«Vaffanculo».

Scende dal letto solo quando il chiarore acqueo e grigiastro del mattino penetra dalle veneziane, malgrado sia sveglia da ore. Non sente alcuno scricchiolio di gomme sul vialetto, alcuna chiave nella serratura della porta. Va in bagno e si siede sull’asse fredda del gabinetto. Abbassa la testa fino alle ginocchia, o quasi. Non è più flessibile come una volta.

Accende la macchina del caffè e si siede sul divano. L’albero di Natale è ancora nella scatola che sbuca da sotto il tavolino, tenuta insieme dal nastro da imballaggio. Sammie l’allontana con la punta del piede. Di solito preparano l’albero il giorno del Ringraziamento, aprendo le scatole degli addobbi collezionati negli anni e montando i rami di plastica, ma quest’anno chissà come se ne sono dimenticati. Hanno mangiato come sempre il tacchino ripieno con il blocco di gelatina di mirtilli rossi ancora segnato dai bordi della scatola di latta, ma poi invece di fare l’albero sono andati a letto, ed è passato qualche giorno prima che Sammie si rendesse conto che se n’erano scordati. Cominciare una tradizione è difficile, creare qualcosa che poi ripeti ogni anno, ma abbandonarla è facilissimo. Rinunciarci e lasciare che scompaia come se non fosse mai esistita.

Sammie riprende il telefono e chiama Dean. Nessuna risposta. Poi prova con la galleria d’arte per seguire la pista dei quadri, ma ottiene solo la segreteria telefonica. Chiama la prigione della contea, il dipartimento di polizia e il cellulare di Hoskins per avere sue notizie, ma o non risponde nessuno o chi risponde non collabora. Non c’è niente di più irritante che starsene seduti a casa propria, fare una telefonata dopo l’altra aspettandosi qualche risposta e invece sbattere contro un muro di ostruzionismo. Ma Sammie non può fare altro che aspettare; non può uscire perché Dean potrebbe tornare a casa ma dovrebbe farlo, deve ancora trovare una storia per Corbin e qui tra le quattro mura di casa non la troverà di sicuro.

Tutto questo la fa incazzare, Dean e Corbin e Weber e Hoskins e l’intera faccenda, e come se non bastasse l’albero di Natale è ancora nella sua scatola. Se Dean fosse qui potrebbero montarlo, ma lui non c’è, è infuriato per qualcosa che lei non ha fatto.

Il suo telefono segnala un messaggio in arrivo e Sammie allunga la mano di scatto e lo afferra. Il messaggio è di Dean.

HO SPOSATO UNA PUTTANA, dice, perché Dean sa che quella parola la ferisce, l’aveva già chiamata così una volta, durante la terapia di coppia, e lei non aveva pianto ma ci era rimasta malissimo, ma adesso la fa imbufalire, perché questa volta non ha fatto niente e non può nemmeno spiegarsi, sa che se proverà a chiamarlo o a inviargli una risposta lui non farà che ignorarla.

La macchina in cucina suona per informarla che il caffè è pronto, ma Sammie non vi bada, torna in camera da letto e si infila jeans, scarponcini e maglione. Non pensa all’Assassino di Seconda Mano né a Hoskins né a Corbin né al fatto che presto dovrà andare in negozio: è così furiosa che ha in mente solo quella parola, puttana, e tutto il resto è scomparso, suo marito la considera una puttana e forse lei dovrebbe provargli che ha ragione, dimostrargli che non gliene frega niente di quello che pensa di lei, fargliela vedere.