Hoskins

Ricostruire la giornata della vittima. È quello che Hoskins continua a ripetersi mentre la lancetta dei minuti del suo orologio avanza inesorabile. Scoprire dove si trovava Chris Weber nelle ore precedenti la sua morte. Minuto per minuto. Se lo ripete borbottando a bassa voce finché la gente lo guarda come si guarderebbe un matto.

Ancora nessuna traccia di Sammie.

«Per ora non ci pensare» dice Loren. «Probabilmente è in giro a fare acquisti. Al salone di bellezza. Avrà spento il cellulare. Devi concentrarti. Weber è stato ucciso da meno di dodici ore. È la nostra migliore occasione per trovare l’assassino. Forse qualcuno li ha visti insieme.»

Ma Loren sa benissimo, come lo sa Hoskins, che Sammie non è al salone di bellezza, che non sta facendo acquisti. Sammie è probabilmente già morta, con il cranio sfondato e le dita mozzate. Seever l’aveva forse amata, l’aveva dipinta, aveva mantenuto il suo nome sulla lista di visitatori, e Secondamano ne era rimasto contagiato, e forse ora l’amava anche lui. L’odio è pericoloso, Hoskins lo sa, ma l’amore può essere ancora peggio.

Chris Weber viveva con le sue carte di credito, le usava per qualsiasi cosa. Pagava l’affitto, faceva la spesa, manteneva il vizio dello shopping online. Alcune erano vicine al tetto massimo, e i debiti minacciavano di sommergerlo. D’altra parte, Hoskins non si sente in diritto di giudicarlo: anche lui se ne trascina dietro un bel carico, malgrado siano passati dieci anni dal divorzio.

Ma una cosa buona dei debiti è che una volta che le banche accettano di collaborare e inviano gli estratti conto, i movimenti di Weber diventano più facili da ricostruire. Corbin ha detto che Weber aveva trascorso quasi tutta la giornata nella sede del «Post» ed era uscito nel tardo pomeriggio, senza comunicare a nessuno la sua destinazione. Da quel momento, però, si potevano ricostruire i suoi movimenti seguendone le spese: trentadue dollari in un ristorante messicano, settantacinque dal benzinaio.

«Sono le ultime due tappe che ha fatto prima di andare da Gloria Seever» dice Loren. «Vediamoci alla stazione di servizio e ripercorriamo i suoi passi da lì.»

Al banco del minimarket c’è un ragazzo di nome Davey, lo stesso che era presente il giorno prima all’ora della visita di Weber. Quando Hoskins e Loren entrano sta togliendo gli hot dog dalla macchina, gettandoli nella spazzatura e sostituendoli con quelli freschi.

«C’è qualcuno che li mangia, quegli affari?» chiede Hoskins con una smorfia.

«Altroché. C’è un sottobosco di appassionati di cibo da stazione di servizio. È una specie di movimento underground.» Davey lo guarda, esaminando i pantaloni, la camicia bianca stirata e la pistola nella fondina, poi sposta gli occhi su Loren, che non ha ancora rinunciato a vestirsi da Seever. «Sono sicuro che ne sapete qualcosa.»

Hoskins sorride. Gli piacciono, i ragazzi sfacciati.

«Ricordi di aver visto quest’uomo, ieri?» chiede Loren mostrando il cellulare al ragazzo. Sullo schermo c’è una foto di Weber scaricata dal sito web del «Post».

«Pagano quasi tutti alle pompe, molti non li vedo» risponde Davey. «E questo non me lo ricordo.»

«Avete telecamere di sicurezza?»

«Altroché.» A un tratto è eccitatissimo, e li precede a grandi passi verso la stanza sul retro, facendo svolazzare il grembiule arancione dietro di sé. «Roba di primo livello. Il proprietario le ha fatte montare pochi mesi fa. Le migliori sul mercato.»

«Dobbiamo esaminare le immagini delle pompe. Vedere se quest’uomo ha parlato con qualcuno, se ha fatto qualcosa di strano.»

«È morto?»

«Cosa te lo fa pensare?» chiede Hoskins.

«La polizia si fa vedere solo se c’è di mezzo un omicidio o la droga» risponde Davey. Si sfila le grosse cuffie dal collo, da dove penzolavano come un cappio, e le fa ruotare sull’avambraccio. «C’entra con l’Assassino di Seconda Mano?»

«Questo non te lo possiamo dire.»

«Okay, okay. Ma voglio che sappiate che ho un alibi per le ultime ventiquattro ore.»

«Non ti stiamo accusando di niente.»

«Nossignore, è vero.»

«Hai paura di noi, ragazzo?» chiede Loren.

«Nah» risponde Davey. «Ma la mia mamma mi ha detto che se un poliziotto mi chiede qualcosa, devo tenere la bocca chiusa e fare un bel sorriso.»