Sammie

È in negozio da due ore, e se qualcuno le desse un coltello probabilmente pugnalerebbe qualcuno. O magari se stessa. Ricorda un tempo in cui considerava divertente fare gli acquisti natalizi, come se trovarsi nella calca di un centro commerciale a caccia di regali sempre più sfuggenti fosse un gioco, ma ora si trova dall’altra parte della barricata. Il ventre molle, squallido e sgradevole della vendita al dettaglio. Ne scriverebbe, se interessasse a qualcuno, ma la gente vuole soltanto sangue e violenza e morte. Jacky Seever e l’Assassino di Seconda Mano. E Sammie non sa dove sbattere la testa. Ha passato un’ora con Seever, facendogli tutte le domande a cui è riuscita a pensare, ma Corbin vuole qualcos’altro. E Weber in questo stesso istante è fuori a ficcare il naso nella scena di un delitto e mettere insieme un bel pezzo mentre lei è imprigionata qui, in attesa di una telefonata che probabilmente non arriverà mai, e non sa cos’altro potrebbe fare, con chi altro potrebbe parlare.

«C’è uno che chiede di te» le dice una collega, e Sammie si fa largo nella folla di clienti tenendo gli occhi bassi per evitare di essere interpellata. Arriva sul davanti del negozio e si guarda intorno, pensando che si tratti di Loren, Loren nei panni di Seever, e in un primo momento non lo vede nemmeno, è come se lui non fosse lì, come se non la stesse trapassando con lo sguardo, ed è solo in un secondo tempo, guardando meglio, che vede Hoskins.

«Cosa ci fai qui?» gli chiede. «Cos’è successo alla tua faccia?»

Sulla sua guancia si sta formando un livido, e le sue palpebre sembrano gonfie e arrossate come se avesse pianto, anche se Sammie non riesce a immaginare che possa averlo fatto. Lui allunga una mano, lentamente, come se si stesse muovendo sott’acqua, e Sammie gli afferra il braccio. La manica del giaccone è fredda, coperta di fiocchi di neve ormai quasi sciolti.

«È qui?» chiede Hoskins, e lei si deve sporgere in avanti per udirlo. Lo vede guardarsi intorno, facendo dardeggiare gli occhi da un angolo all’altro del negozio.

«Chi?» domanda preoccupata, perché ha l’impressione che Hoskins si stia nascondendo, che stia cercando di sfuggire a qualcuno.

«Seever» bisbiglia lui. «Hai detto che ti pedinava. È qui?»

«Hai bevuto? Dovresti mettere qualcosa nello stomaco. Dovremmo avere qualche biscotto sul retro…» Sammie prova a girarsi, ma Hoskins l’afferra per il gomito con forza tale da farla trasalire per la sorpresa.

«Scusami se non ti ho avvertita del nuovo omicidio» dice con voce malferma. «Avrei dovuto chiamarti. Ti amo, avrei dovuto chiamarti.»

«Non c’è problema» dice Sammie cercando di indietreggiare, ma è attorniata da una tale quantità di gente che non può andare da nessuna parte, a meno di non ruotare sui tacchi e fuggire.

«Volevo solo essere d’aiuto» riprende lui. L’afferra per le spalle, affondandole disperatamente le dita nella carne e cercando di trarla a sé, e Sammie ripensa a come la toccava quando erano a letto insieme, e sente le mani diventare calde e sudaticce. «È quello che ho sempre cercato di fare.»

Non è ubriaco. È esausto, si regge in piedi a malapena.

«Aiutare come?» chiede Sammie cercando di liberarsi dalla sua presa. «Dici cose senza senso.»

«Sì» conferma lui. Cerca di toccarle la faccia, ma lei si ritrae. Le sue nocche sono scorticate, insanguinate.

«Oddio, ma come ti sei ridotto?»

«Vieni qui.» Hoskins allarga le braccia, e senza riflettere lei fa un passo avanti e viene inghiottita dal suo odore, un odore che ricorda bene. È più bassa di lui, abbastanza da potergli premere la fronte sulla clavicola e sentire il rombo del suo cuore. «Lasciati abbracciare.»

«Hoskins?» dice una voce maschile, e Sammie si volta. È un poliziotto in uniforme con il berretto ancora in testa; un altro lo segue a pochi passi di distanza. Sono due sbarbati, pensa Sammie, anche se di questi tempi tutti le sembrano giovani. Sono entrambi imbarazzati. «Detective Hoskins?»

«Sì?» risponde lui. Si passa la mano sul volto. «Ciao, Craig. Ciao, Mark.»

«Ascolti, mi dispiace tanto» dice il primo.

«Sì. Sì, lo so.» Hoskins sembra imbarazzato.

«Che succede?» chiede Sammie.

«Ho un mandato per il suo arresto» dice l’agente a Hoskins. Sta guardando il sangue sulle sue mani, e la sua espressione sembra triste. «Mi spiace doverlo fare a uno dei nostri, ma non abbiamo scelta.»

«Cos’hai fatto?» domanda Sammie ritraendosi dall’abbraccio.

Hoskins la ignora e protende i polsi verso l’agente.

«Non abbiamo bisogno di manette» dice questi con una smorfia. «Non penso che cercherà di scappare.»

«Fallo» insiste Hoskins. Con un cenno del capo indica la folla che si è formata intorno a loro, i curiosi che stanno riprendendo la scena con i cellulari. «Regala un brivido di eccitazione a questa gente.»

«Cos’hai fatto?» ripete Sammie, afferrando Hoskins per la manica mentre guarda scattare le manette. A un tratto le viene in mente qualcosa di terribile. «Non sei Secondamano, vero?»

Hoskins ride.

«Non sarebbe un articolo fantastico? Vedo già il titolo: Detective raccoglie il testimone di Jacky Seever. Ti conviene metterti al lavoro.»

C’è un momento, dopo che la polizia se n’è andata e la folla ha cominciato a diradarsi, in cui Sammie si chiede come mai Hoskins sia venuto da lei; tiene le braccia incrociate davanti allo stomaco come se avesse freddo o stesse male, e in quel momento vede Dean che la guarda da un lato del negozio. Che la fissa come lei ha fissato Hoskins mentre veniva condotto via, e compiendo i pochi passi che la separano da lui si chiede da quanto sia lì e cosa abbia visto, cosa le abbia letto in faccia, e per qualche sconosciuto motivo si sente in colpa, perché si è lasciata abbracciare da Hoskins, e pur non essendo l’abbraccio di due amanti potrebbe aver dato quell’impressione. È probabile che l’abbia fatto.

«Cosa ci fai qui?» chiede a Dean. «Non vieni mai a trovarmi in negozio.»

Lui le porge un mazzo di fiori. Rose rosse. Il trionfo dell’amore, pensa Sammie. Ma il modo in cui la sta guardando non esprime amore. Sembra stufo e disgustato, come se avesse fiutato un cattivo odore.

«Volevo farti una sorpresa» dice in tono piatto. «Ho ottenuto una promozione. E un aumento.»

«Non me ne avevi mai parlato.»

«Volevo farti una sorpresa» ripete.

«Non lo sapevo.»

«Sono molte le cose che non sai» dice con amarezza. «Non hai idea di quello che ho fatto per cercare di renderti felice.»

Le caccia i fiori in mano.

«Ci vediamo a casa» taglia corto.

Se ne va senza baciarla.

Sammie ha paura di rientrare a casa. Non teme Dean, perché non crede che le torcerebbe mai un capello; ha paura di quello che le dirà. In questi ultimi sette anni lei non ha fatto che giurargli di non essere più in contatto con Hoskins, e fino a pochi giorni fa era vero. Ma quello che è successo la fa sembrare una bugiarda, e ormai anche se gli dicesse la verità, soltanto la verità e nient’altro che la verità non cambierebbe nulla, perché lei gliel’ha nascosto. Non gli ha mai confessato di aver seguito Hoskins a casa di Carrie Simms né di avere cenato con lui, e se Dean non l’avesse vista non gli avrebbe mai detto della visita di Hoskins in negozio. Nacondere informazioni non è come mentire, ma forse lo è e lei sta solo cercando di ingannarsi.

E così non torna a casa. Dopo il lavoro si siede a un tavolino della zona ristoro e sorseggia un caffè tiepido. C’è in giro ancora molta gente, e nell’aria aleggia un greve odore di pizza e patate fritte. Si potrebbe pensare che sia impossibile sentirsi soli in mezzo a una tale folla, ma sarebbe un errore. Si può essere soli dappertutto.

«Che succede?» chiede Ethan scostando la sedia accanto alla sua senza sollevarla da terra e producendo un suono orribile che le fa serrare i denti di scatto, e all’improvviso Sammie si rende conto che si sente come quando si sta ammalando o non ha dormito abbastanza. Come se il mondo fosse fatto di delicatissimo vetro soffiato e lei non desiderasse altro che sfondarlo a pugni.

“Non mi rompere i coglioni” fa quasi per dire con ferocia. “Torna a preparare i tuoi panini e pulire i tuoi tavoli e fatti i cazzi tuoi.”

Invece apre la bocca e si ritrova a raccontargli tutto. Deve parlarne, liberarsene, non ha nessuno con cui farlo e uno vale l’altro, a patto che la stia ad ascoltare, che annuisca nei momenti giusti e si mostri solidale. Ethan è troppo giovane, non potrebbe mai capire, ma lei gli racconta tutto lo stesso, gli dice di Corbin e dell’articolo che ha rifiutato, del fatto che Weber è un giornalista migliore di lei, della visita a Seever, dell’incontro con Gloria, di Dean e del negozio. Tiene la voce bassa e parla velocemente, prendendo a malapena fiato tra una parola e l’altra perché altrimenti scoppierebbe a piangere, crollerebbe in mezzo alla gente, e questa è l’ultima cosa che vuole. Il fatto che la gente la guardi e si domandi perché piange, dandosi di gomito e bisbigliando: «Guardala, non ce l’ha più fatta».

«Hoskins, il detective di cui ti dicevo, è stato arrestato in negozio, davanti ai miei occhi» prosegue scuotendo la testa. «Ero sicura che non fosse lui l’assassino, ma forse ho ignorato tutti i segni. È possibile, immagino…»

«Dimmi dell’altro giornalista» la interrompe Ethan. «Weber, è così che si chiama?»

«Sì. Chris Weber. Dio, quanto lo odio. Se non ci fosse lui, filerebbe tutto più liscio.»

«Mi dispiace che tu abbia tutti questi problemi» dice posando la mano sopra la sua. Sta cercando di essere gentile e premuroso, ma il suo palmo è caldo e sudaticcio, e Sammie non ne gradisce il tocco, e così finge di doversi grattare il naso, sfila la mano e poi la fa ricadere in grembo insieme all’altra.

«Grazie di avermi ascoltata» gli dice alla fine. Si è fatto tardi, e i tavolini intorno al loro sono quasi tutti vuoti. Una ragazza in divisa sta scostando le sedie per poter pulire il pavimento, e alcuni dei ristoranti hanno già spento le luci e abbassato le serrande. «Ne avevo bisogno. Di scaricarmi. Sono in debito con te.»

«So esattamente come puoi ripagarmi» risponde Ethan. Sammie si ritrae a disagio, aspettandosi la solita proposta sgradita, cena fuori con sesso o forse solo sesso. «Non è niente di strano, promesso. È solo che ho scritto alcune cose, e speravo che tu potessi leggerle e darmi la tua opinione.»

«Ma certo» dice Sammie con un filo di voce. È sollevata ma si sente anche in colpa: che vita ha vissuto, per dare automaticamente per scontato che un uomo le chieda di allargare le gambe per ricambiare un favore? Forse, si dice, è la realtà che ogni donna deve affrontare, o forse è solo lei. Ma chi crede di prendere in giro? È sicuramente solo lei. «Dammi il telefono. Ti inserisco il mio numero e memorizzo il tuo. Magari potremmo vederci e farci un nostro piccolo laboratorio di scrittura.»

«Mi piacerebbe» dice Ethan, e il suo sorriso è così dolce che Sammie riesce a immaginarlo bambino. «A quel punto mi sa che sarò io a essere in debito con te.»