Hoskins
Quando Sammie lo riaccompagna sul posto, Hoskins va dritto alla sua vettura, si siede al volante e osserva. La folla si è quasi completamente dispersa, dissuasa dalla mancanza di novità eccitanti, ma c’è ancora un’abbondanza di telecamere e inviati. Molti poliziotti che setacciano la proprietà, altri che percorrono a coppie i marciapiedi. Andranno avanti tutta la notte, bussando a ogni singola porta del quartiere, chiedendo ai residenti dove hanno passato gli ultimi giorni e se hanno visto qualcosa di sospetto. Catturare un assassino è un processo. Ci sono passi da seguire. La scena del delitto è stata sigillata; ora è il momento di trovare un testimone. È la parte che Hoskins ha sempre odiato: andare di casa in casa, suonare campanelli e cercare di forzare la gente a ricordare. Quasi tutti conducono le loro esistenze con i paraocchi, non vedono molto al di là di quello che si trovano davanti; eppure tutto questo è necessario, perché c’è sempre la possibilità che qualcuno abbia notato un’auto sconosciuta parcheggiata in strada o un uomo mai visto prima.
E nella casetta ci saranno altri poliziotti, intenti a scattare foto e rilevare impronte e cercare ogni possibile brandello di prova, perché è quasi impossibile che il colpevole non abbia lasciato traccia del proprio dna, a meno che non sia stato incredibilmente cauto. E questo assassino è stato prudente, per giorni ha tenuto Carrie Simms prigioniera senza che nessuno sospettasse di nulla, ma forse non abbastanza. Loren ha detto che le altre due vittime (Abeyta e Brody, si costringe a ripetersi Hoskins, poiché è così facile pensare a loro come a due corpi) erano state violentate, ma che il medico legale non era riuscito a trovare alcuna traccia dello stupratore. Forse aveva usato un preservativo, o magari il tempo che avevano passato in acqua aveva cancellato ogni traccia. Ma stavolta potrebbe essere andata diversamente, l’assassino potrebbe aver lasciato qualcosa da inserire nella banca dati sperando di ottenere un risultato. D’altro canto potrebbe anche non servire a niente, perché il tizio potrebbe anche aver lasciato un secchio di sperma sulla soglia della villetta, ma se non fosse schedato non risulterebbe nulla. È un sistema inaffidabile, pensa Hoskins. A volte premia i tuoi sforzi, ma di solito non serve a molto.
Una parte di lui vorrebbe restare, tornare subito in azione, ma negli ultimi anni ha passato una tale quantità di tempo in fuga da Seever che non ce la fa. E anche se ci provasse, teme che per stanotte non riuscirebbe a essere d’aiuto; meglio tornare a casa, prendersi cura della sua testa dolorante e dei lividi in faccia e riprendere le indagini domani mattina quando sarà più lucido, quando potrà svolgere il suo lavoro come si deve.
Quando arriva a casa trova Joe addormentato sul divano con una ciotola di gelato ormai sciolto in grembo. «Ha ricominciato a nascondere le scatolette di tonno» dice la badante prima di andarsene. «Va a ripescarle nella spazzatura e le mette in camera sua. Non mi permette neanche di lavarle.»
Hoskins prende un sacchetto per l’immondizia ed entra in camera di suo padre, e subito il tanfo di pesce lo colpisce come un pugno, sovrastando l’odore muschiato di vecchio. Le scatolette vuote sono impilate nell’armadio a muro; partono dall’angolo più lontano, dove è appeso l’abito della domenica di suo padre, infilato in una busta di cellofan trasparente annodata in basso. Ci sono dozzine di scatolette di latta: come ha fatto Joe a consumare una simile quantità di tonno? Hoskins si inginocchia e comincia a infilarle nel sacchetto cercando di fare piano, pensando che quando suo padre si renderà conto dell’accaduto le scatolette saranno ormai lontane, sepolte sotto una montagna di altri rifiuti.
«Cosa diavolo credi di fare?»
La voce di Joe lo fa trasalire per lo spavento, allo stesso modo in cui lo aveva terrorizzato a quindici anni, quando lui si era portato a casa una ragazza e suo padre li aveva sorpresi a pomiciare in camera da letto: Joe non doveva essere a casa, di solito lavorava fino a tardi, ma quel giorno era rientrato prima, Hoskins non aveva mai scoperto perché, e li aveva colti in flagrante. Aveva fatto irruzione in camera gridando come una furia, poi aveva mandato via la ragazza, ma con gentilezza.
«Sto buttando via questa roba.»
«Esci di qui.»
«Non puoi vivere così.»
«Sono un adulto. Vivo come mi pare e piace.»
«Queste scatolette se ne devono andare, papà.»
«No.»
Il suo sguardo è acceso, il suo respiro ansimante. Non è mai stato un violento, non ha mai usato i pugni né mostrato cattiveria, non è quasi mai brusco o rabbioso, ma Hoskins pensa che in questo momento potrebbe essere pronto a fare a botte, che c’è una buona possibilità che finiscano avvinghiati sul pavimento, rotolandosi, insultandosi e prendendosi a pugni, e tutto per delle scatolette ancora sporche di tonno.
«Ne ho bisogno, figliolo» dice invece Joe. In lui non c’è traccia di rabbia, e Hoskins si rende conto che il lucore negli occhi non è dato dalla collera bensì dalle lacrime, perché è sul punto di crollare. «Ti prego.»
«Ma perché? Sono solo dei rifiuti.»
Joe si siede in fondo al letto, o meglio vi si lascia andare, lentamente e in modo aggraziato, e comincia a piangere, fini lacrime di vecchio che gli percorrono il viso e gli colano sulle labbra tremanti.
«Ma io ne ho bisogno.»
Anche Seever aveva pianto quando lo avevano arrestato, lacrime vere, e Hoskins pensa che forse era stata l’unica volta in cui lo aveva visto essere se stesso, senza nessuna delle sue dissimulazioni. Non voleva lasciare casa sua, non voleva essere caricato sul sedile posteriore dell’auto di pattuglia parcheggiata nel vialetto. «Sono miei» aveva detto in lacrime. Aveva premuto la fronte sul finestrino, lasciando un grosso sbaffo sul vetro. «Sono miei.»
«Perché mi fai questo?» chiede Joe coprendosi gli occhi. Le sue mani sono chiazzate e solcate dalle vene. Tremano. «Ti prego, non farmelo.»
Hoskins non sa cosa dire, non sa come riparare. Regge ancora il sacchetto di plastica, e quando si dirige verso la porta le scatolette all’interno si muovono, sbattendo una contro l’altra con un tintinnio sordo e metallico.