Dean

Ieri sera ha spento il cellulare per non provare la tentazione di rispondere alle chiamate di Sammie, poi ha preso una stanza in un motel. È uno di quei posti per soggiorni prolungati, e la sua sistemazione offre un salottino e un vano cucina. C’è una macchina del caffè con la brocca più piccola che abbia mai visto, e in bagno quelle minuscole bottigliette di shampoo e balsamo che non bastano mai. Una vita in miniatura. C’è un che di disperatamente triste in un posto come questo, perché un albergo non dovrebbe essere una casa, o anche solo il fantasma di una casa, ma Dean vi si è registrato lo stesso, è andato al bar accanto, ha ordinato una porzione di ali di pollo fritte, se l’è portata in camera, si è messo davanti al televisore e ha cominciato a scanalare, ma non ha trovato niente perché le stazioni erano tutte scombinate e memorizzate in modo diverso da quello a cui è abituato, e alla fine è andato a letto. Non ha dormito molto, però, perché Sammie non era distesa accanto a lui. Hanno avuto i loro problemi, ma hanno sempre dormito nello stesso letto, fin dall’inizio, e Dean è abituato al peso di lei sul materasso, al suo profumo.

Tutto questo, l’infelicità di Sammie, la sua infedeltà, si dice ora, deriva dal fatto che non hanno mai festeggiato le loro nozze. Quando lui le aveva chiesto di sposarlo stavano insieme da otto mesi, e Sammie era stata così felice, pronta a mettersi immediatamente in cerca dell’abito e della torta, ma lui aveva dovuto dirle che non si potevano permettere un ricevimento, che era sciocco spendere tutti quei soldi in un solo giorno, in realtà in poche ore, e lei gli aveva dato ragione, tanto che Dean aveva creduto che la cosa fosse finita lì. Avevano firmato le carte e avevano cenato in un bel ristorante e il giorno dopo erano tornati entrambi al lavoro, e Dean si era illuso che non ci fossero problemi, essere sposati non era poi così diverso dallo stare insieme, e a lui piaceva così. Nessuno scossone. Ma poi, due anni dopo, Sammie aveva cominciato a portare a casa riviste piene di abiti nuziali e composizioni floreali, dicendo che avrebbero potuto organizzare una cerimonia e rinnovare il loro voto, ma lui era ancora convinto che fossero soldi sprecati, e Sammie alla fine non aveva insistito. Non era un tipo assillante; quando era arrabbiata non diceva niente, voleva essere lasciata sola, tanto che a volte Dean riusciva a capire solo troppo tardi che qualcosa non andava, e lei cominciava a strillare finché diventava di un rosso allarmante e sembrava sul punto di svenire per lo sforzo.

Sammie era infelice perché non avevano mai avuto un vero matrimonio, ma non solo. Il vero motivo era che lui l’aveva delusa. Sul lavoro, per esempio. Erano dieci anni che Dean lavorava alla stessa società di marketing; non gli avevano mai offerto una promozione e lui non aveva mai mostrato interesse ad averla, perché era bravo a fare il suo lavoro, era soddisfatto del suo ruolo e non pensava che la vita ruotasse interamente intorno al lavoro, ma sapeva che Sammie vedeva tutto questo come un difetto. I mariti delle sue amiche guadagnavano un sacco di soldi, erano tutti avvocati o dottori o dirigenti, e regalavano belle vacanze e belle auto alle mogli, e Sammie non si lamentava perché non era il tipo, ma gliela si leggeva negli occhi, la delusione.

Ne aveva parlato una sola volta, a letto. Le luci erano spente e i loro corpi non si toccavano, divisi dalle coperte appiattite sul materasso.

«Quando ti ho sposato ti credevo un uomo diverso» gli aveva detto. «Non mi aspettavo che le cose andassero in questo modo.»

Il suo tono non era crudele ma concreto, e subito dopo si era girata su un fianco, dandogli la schiena, e si era addormentata. Dean avrebbe voluto prenderla per una spalla, svegliarla, vedere la sorpresa nei suoi occhi e pretendere che gli spiegasse cosa intendeva, che gli dicesse in cosa era così diverso dall’uomo che si era immaginata, che gli rivelasse cosa voleva.

Invece l’aveva lasciata dormire.

Poi lei aveva cominciato ad andare a letto con quel poliziotto, e in seguito gli aveva spiegato che non l’aveva fatto perché Dean la rendeva infelice ma per il suo lavoro, perché vi era stata spinta dall’ossessione di essere sul pezzo, e lui l’aveva perdonata, ma dimenticare è un altro paio di maniche, e a volte mentre fanno l’amore si ritrova ancora a chiederle di Hoskins, a chiederle cosa provava scopando con lui, se lui fosse veloce, se gli piacesse farsi mettere le gambe sulle spalle, se lei lo prendesse nel culo, e Sammie non risponde mai, si limita a distogliere il volto, e a volte lui pensa che stia piangendo ma quando le passa la mano sul viso le sue dita restano asciutte. È per questo che si è finalmente deciso a chiedere una promozione: perché sua moglie è talmente delusa da lui che non piange neanche più.

Dean si alza dopo una notte di sonno discontinuo, fa la doccia e si lava i denti. L’acqua del rubinetto ha uno strano sapore, e intorno allo scarico si aggirano minuscole formiche.

Forse è tutta colpa mia, pensa Dean. Continuo a tirare in ballo Hoskins, a farglielo tornare in mente. Riaccende il cellulare. Ci sono molte chiamate perse e qualche messaggio.

NON È SUCCESSO NIENTE. TE LO GIURO.

Poi: VAFFANCULO.

Decide di tornare a casa. Faranno un gran litigio, pensa, e poi la pace. E a quel punto tutto potrà tornare come prima, perché forse Sammie sta dicendo la verità. Ha ripreso a scrivere per il «Post», si sta occupando di Secondamano, e forse è per questo che Hoskins è andato da lei in negozio. E anche se non lo è riusciranno lo stesso ad aggiustare le cose, lo fanno sempre. Sono sposati da troppo tempo per gettare via tutto.

Ma Sammie non è a casa. E non è al lavoro. E non risponde al telefono.

E così Dean fa quello che è solito fare: accende il computer e rintraccia il segnale del cellulare di Sammie. Incredibile, quello che è in grado di fare la tecnologia di questi tempi: Sammie appare immediatamente, non lei ma un cerchietto blu che dovrebbe raffigurarla. Non è che Dean non si fidi di sua moglie: in realtà questa cosa è come una droga, e lui vi torna a ripetizione, in momenti sempre diversi, per vedere quanto è accurata. Sa che è uno strumento molto preciso: se solo lei si sposta in negozio con il cellulare in tasca, lui vede il cerchietto che si muove sullo schermo.

Il suo telefono squilla proprio mentre la schermata finisce di caricarsi. Sammie si trova in una casa non troppo lontana da lì, e Dean sente il sangue salirgli alla testa e pulsargli nelle tempie. Lei è con Hoskins, lo sa, vedendo che lui non tornava è corsa da lui e adesso sono a letto insieme…

Il cellulare squilla di nuovo.

«Maledizione, Sammie…»

«Mr. Peterson? Sono Jenna del dipartimento di polizia.» La donna parla così rapidamente che Dean la capisce a malapena. «Sto cercando di mettermi in contatto con sua moglie…»

«È con quel vostro maledetto detective, ecco dov’è» grida Dean. «Con quel cazzo di detective Hoskins.»

C’è un lungo silenzio, poi la donna riprende in uno strano tono: «A dire il vero, è stato proprio il detective Hoskins a dirmi di chiamarla».

«Sammie non è con lui?» Dean sente un peso sul petto, come se stesse lentamente soffocando. C’è qualcosa che non va, perché altrimenti il dipartimento non l’avrebbe chiamato. Quando ti telefona la polizia vuol dire che è successo qualcosa di grave, Dean lo sa proprio grazie a Sammie. «Se venissi assassinata, loro ti chiamerebbero subito» gli aveva detto un giorno. Scherzava, e lui le aveva detto di smetterla, che non voleva parlare di cose simili, era come un augurio al contrario. Parlandone facevi in modo che si avverasse. «Probabilmente ti chiederebbero se sai dove mi trovo, perché il marito o la moglie sono sempre i primi a essere sospettati.»

«No, signore. È molto importante che la rintracciamo. Per caso sa dove si trova?»

Il cerchietto blu lampeggiante.

«Mr. Peterson?» riprende la donna. «Se sa dov’è sua moglie, la prego di dirmelo.»

Se venissi assassinata. Sammie rideva di cose simili, ne scherzava anche dopo che lui le chiedeva di smetterla. Ma lui non le trovava affatto divertenti. Loro ti chiamerebbero subito.

Dean chiude la comunicazione. Vede che il cerchietto blu non si muove, ma continua a lampeggiare. Troverà sua moglie.

Il cerchietto blu l’ha condotto a una piccola villetta di mattoni arretrata rispetto alla strada, e davanti c’è la macchina di Sammie, l’auto nera col parabrezza scheggiato; lui avrebbe voluto sistemarlo ma Sammie si era opposta, dicendo che ci vedeva bene e che non voleva essere costretta a pagare la franchigia. Dean ha paura, ha lo stomaco in subbuglio ma imbocca lo stesso il vialetto di accesso e scende dall’auto senza neanche spegnere il motore. La porta d’ingresso della casa non è chiusa a chiave e lui la apre e avanza, aspettandosi di essere accolto a pistolettate: gli spareranno perché sta entrando abusivamente in casa altrui (Questa è proprietà privata, se ne vada), e si chiede come ha potuto precipitarsi qui disarmato. Non che possieda una pistola, ma non sarebbe stato difficile portarsi un coltello, o magari una delle mazze da golf che Sammie gli aveva regalato qualche anno prima. Vorrebbe tanto avere in mano qualcosa, qualsiasi cosa, già il peso gli sarebbe di conforto, ma l’unico oggetto che ha con sé è il portafoglio, e a cosa potrebbe servirgli stringere un quadrato di pelle davanti a sé come una donnina con la sua borsetta? E così alla fine entra accompagnato solo dalla sua paura.

Ma oltre la porta non trova ad attenderlo nessuno a parte l’odore, un tanfo così forte che è costretto a premersi il dorso della mano sulla bocca per non vomitare. Sta cercando di reprimere i conati e per questo in un primo momento non la sente, non sente lei, Sammie. Sta piangendo, ed è vicinissima, nella stanza accanto, e Dean si lancia di corsa in corridoio, ed è così sorpreso da quello che vede in salotto che in un primo momento rimane impietrito: c’è un uomo accovacciato sopra Sammie, indaffarato e concentrato su qualcosa, e Dean non sa bene cosa fare, c’è molto sangue e lui non è mai stato un violento, non è un uomo d’azione, è un colletto bianco capace di battere novanta parole al minuto sulla sua tastiera. Non è un uomo che sa come affrontare situazioni come questa.

Ma a quanto pare non ha bisogno di saperlo, perché l’istinto prende il sopravvento: Dean afferra la lampada a stelo accanto alla porta (è il genere di lampada prediletto dalle donne di una certa età, con un fusto dorato e ossidato, una grossa boccia di vetro a mezza altezza e un paralume da cui penzolano gocce scintillanti di cristallo) e la solleva come una mazza da baseball, caricandosi in spalla la base pesante. Dean si è pagato l’università grazie al baseball, ai tempi lo chiamavano Big D, e non ha problemi a far ruotare la lampada, in realtà è molto più leggera delle mazze di acero che usava in allenamento, e fende l’aria quasi di sua iniziativa. I muscoli di Dean ricordano bene il movimento, e scivolano uno sull’altro anche se sono anni che non gioca. Cala la lampada con una tale forza che si procura un doloroso strappo alla spalla, e poi c’è un istante che non scorderà mai, in cui il tempo sembra rallentare fin quasi a fermarsi, in cui le gocce di cristallo che si sono staccate dal paralume vorticano nel vuoto catturando la luce, e la base della lampada colpisce l’uomo alla tempia, proprio dove l’osso è più cedevole. Subito dopo tutto riaccelera come un elastico che schiocca al suo posto, e l’uomo giace a terra bocconi, immobile.

Il verdetto del medico legale: Ethan Hobbs è morto ancora prima di colpire il pavimento.

Il vecchio allenatore di Dean sarebbe stato fiero di un colpo simile, avrebbe urlato di entusiasmo nel vederlo, si sarebbe strappato il berretto dalla testa e l’avrebbe lanciato in aria per l’esultanza. Swing, batter-batter, swing, le parole della canzone aleggiano vaghe nella mente di Dean mentre il suo corpo crolla a terra non lontano da quello della moglie. Non è tanto il dolore a farlo cedere, quanto la consapevolezza di quello che ha fatto. Ha mantenuto la parola che aveva dato a Sammie, dicendole che se fosse stato costretto avrebbe ucciso per lei.