Sammie
La disperazione non è bella a vedersi. È il sacco di iuta delle emozioni: nessuno fa bella figura indossandolo. E Sammie non riesce a pensare a una singola occasione nella sua vita in cui abbia provato un bisogno più disperato di quello che sente adesso, e forse è un bene, avere trascorso gran parte dell’esistenza senza esserne schiava.
«Non lo so» sta dicendo Corbin. Sammie inserisce il vivavoce e posa il telefono sul tavolo davanti a sé. Non è in grado di ascoltare Corbin che le parla nell’orecchio un istante di più, visto soprattutto che sta per rifiutare il suo articolo. «Intendiamoci, è una bella intervista. Ma non dice niente dell’Assassino di Seconda Mano.»
«Seever sostiene di non sapere chi sia.»
«Sì, l’ho capito. E Seever fa notizia, ma ha ripreso a farla solo tramite Secondamano. Qualunque cosa scrivi, perché funzioni devono esserci entrambi. Dev’essere attuale.»
«Ma se ci fosse un libro su Seever…»
«Lo so, per un libro sarebbe perfetta. Ma al momento quello di cui ho bisogno è un pezzo su Secondamano. E su Seever. Se l’avessi intervistato sette anni fa, in quel caso sì che avrei potuto pubblicarti. In prima pagina e sopra la piega. Ma questo pezzo… insomma, non contiene niente che già non sappiamo. È interessante, ma niente di nuovo.»
Sammie si alza e sferra un pugno contro uno dei pensili della cucina. La fa imbestialire, essere di nuovo in questa posizione, dover lottare per pubblicare un pezzo e rifarsi una carriera. Forse sarà sempre così, dovrà sempre remare controcorrente, lottare per restare a galla. Non è sicura che l’idea le piaccia.
«Sammie? Sei ancora lì?» chiede Corbin, allarmato. «Cos’è stato?»
«Niente» risponde lei rimettendosi a sedere e cullandosi il pugno indolenzito tra i seni. «Ma se questo pezzo non funziona, cos’altro dovrei scrivere?»
«Non lo so. Sei tu la reporter, non io. Ma questo non posso pubblicarlo. Non con quello che ha in cantiere Weber…»
«Cosa sta scrivendo di così fantastico?» domanda. Weber sta pubblicando un pezzo al giorno, su Secondamano e su Seever. Sammie odia ammetterlo, ma funzionano, sono scritti bene. «Cos’è, ha capito chi è Secondamano?»
«No, ma se lo capisci tu non pubblicherò più un singolo pezzo di Weber» ribatte Corbin ridacchiando. «Però non posso dirti su cosa sta lavorando.»
«Andiamo, Corbin. Cos’hai paura che faccia? Che gli rubi la storia?»
«Se lo facessi, non mi sorprenderebbe.»
«E va bene» sbotta Sammie, leggermente offesa. «Non me lo dire.»
«D’accordo, non lo farò» conclude Corbin in tono un po’ troppo compiaciuto.
Sammie chiude la comunicazione e abbassa la fronte sulle braccia, ma i suoi occhi sono aperti, e fissano la superficie di legno grezzo del tavolo. Tra qualche ora dovrà essere in negozio; sta cercando di scrivere nel tempo libero, ma non sta funzionando. Più vuoi qualcosa più questo diventa difficile, e il suo desiderio di uscire con un bell’articolo sul giornale è così forte che la fa quasi star male.
«Non corri alcun rischio» le ha assicurato Hoskins quando l’ha richiamata, appena prima della telefonata di Corbin. «Sto facendo sorvegliare Loren da un paio di colleghi, se ti si avvicinerà troppo lo saprò.»
«Sei con lui in questo momento?»
«No…» ha detto in tono sospeso, allungando la parola.
«Pensi che sia lui l’assassino?» gli ha chiesto lei, e a quel punto il silenzio si è protratto così a lungo che Sammie ha quasi pensato che lui avesse riagganciato, se non fosse stato per i rumori di fondo: il fischio del vento, i suoni di persone al lavoro che parlottavano tra loro, lo scricchiolio delle gomme sulla ghiaia, i tonfi delle portiere. Rumori a lei noti.
«No, non è lui» ha risposto Hoskins alla fine. «Loren è pazzo, ma non è un assassino.»
«Ne sei sicuro?»
«Non è lui, Sammie. Dopo i tuoi messaggi ho fatto controllare i suoi alibi nei giorni in cui sono scomparse le vittime. E sono tutti validi.» Il suo tono era curiosamente soddisfatto. «Ripeto, Loren è fuori di testa, ma non ha ammazzato nessuno.»
«Sei sulla scena di un delitto?» gli ha chiesto Sammie, prendendolo in contropiede.
«Sì, a quanto pare è un’altra vittima di Secondamano.»
«Perché non mi hai avvertita? Sto cercando di scrivere qualcosa per il giornale, sarei venuta…»
«È appena arrivato il tuo collega» ha risposto Hoskins, e Sammie ha chiuso gli occhi, esasperata. «Quello con cui hai scritto l’altro articolo.»
«Non stiamo collaborando» ha tagliato corto. «Devo andare.»
Si è presa la testa tra le mani, sentendo arrivare le lacrime. Weber è già riuscito ad affiancare la propria firma alla sua, e adesso è arrivato sulla scena del delitto ancora prima che lei ne sapesse qualcosa. Forse è un segno che questo lavoro non fa più per lei; non ha più il tempo di tempestare il dipartimento di telefonate in cerca di notizie. Era diverso quando lavorava al giornale a tempo pieno, quando aveva l’intera giornata a disposizione per seguire qualche indizio o rintracciare qualche fonte: ormai non ha più quel lusso. Ma non è che una scusa, una stupida scusa, perché se davvero avesse più sete di notizie di quanta ne abbia Weber troverebbe il modo di batterlo, negozio o non negozio.
Forse deve essere più creativa. L’ha già fatto una volta, riuscendo a entrare in casa Seever e ad aggiudicarsi la storia del decennio. Non ha bisogno d’altro. In passato ha dovuto usare metodi diversi da quelli che avrebbero adoperato altri, ma alla fine ce l’ha fatta. Forse, però, ora sta affrontando la cosa dal punto di vista sbagliato. Forse deve smetterla di riferire e mettersi a indagare. Corbin ha detto che se lei avesse scoperto l’identità di Secondamano non avrebbe mai più pubblicato Weber, e Sammie sa che scherzava… Ma se andasse davvero così?
Sammie gratta le unghie sul tavolo producendo un suono irritante, ma è così assorta nei suoi pensieri che non se ne accorge. Non può competere con Weber a livello di presenza, sicché tanto vale lasciarlo saltabeccare da una scena del delitto all’altra nel tentativo di ottenere informazioni dalla polizia. Che si sfianchi pure così, senza concludere nulla. Lei darà la caccia al caso, gli allungherà le mani tra le gambe e strizzerà fino a farlo gridare, fino a fargli dire chi è l’Assassino di Seconda Mano.
ALBERT Q. THOMAS, dice l’insegna sopra la porta della galleria d’arte. Sammie l’ha rintracciata a casa e ne ha esplorato il sito web, leggendo l’elenco degli artisti esposti.
A metà lista c’era il nome di Jacky Seever.
«Come posso aiutarla?» chiede l’uomo dietro il banco quando lei entra. È alto e serio, con la folta barba del genere che mimetizza l’età di chi la sfoggia ma spesso gli conferisce l’aspetto del boscaiolo folle. Lui non fa eccezione. «Stavo per chiudere bottega.»
«Oh, sarò veloce» dice Sammie con un sorriso così largo da indolenzirle le guance. «In rete ho visto che vendete i lavori di Jacky Seever.»
C’è un lungo silenzio, e Sammie teme di aver detto la cosa sbagliata ma non ne è sicura: quest’uomo ha un volto impassibile, o meglio inanimato, e non si può dire cosa pensi.
«Lei è della polizia?»
«Cosa? No, cosa glielo fa pensare?»
Lui la guarda socchiudendo gli occhi.
«È già passato un poliziotto e mi ha chiesto la stessa cosa. Poi mi ha fatto una quantità di domande su Seever.»
Loren, pensa Sammie. Hoskins era occupato sulla scena del delitto.
«Dunque vendete i quadri di Seever?»
«Li vendevamo» dice l’uomo lentamente. Si prende il lobo di un orecchio tra le dita, lo carezza. «Ma è un po’ che abbiamo rallentato. Un tempo c’era molto interesse per i suoi lavori, andavano letteralmente a ruba, ma dopo un certo periodo le vendite sono calate. Nelle ultime settimane ho ricevuto qualche richiesta, e la settimana scorsa la moglie di Seever ha portato alcune tele che ho venduto abbastanza bene, ma i pezzi forti portavano a casa cifre molto superiori. Che in questo momento mi farebbero molto comodo.»
«“Pezzi forti”?» chiede Sammie con sincera confusione. «In che senso?»
«Oh, le prime tele di Seever erano molto sanguinose e violente. Sessuali. Ritratti delle sue vittime. Roba morbosa, ma vendeva alla grande. Poi però è passato ai paesaggi e alle fruttiere, e la gente ha smesso di comprare.»
«La frutta non interessa?» chiede Sammie in tono sardonico.
«Oh, c’è gente che comprerebbe un quadrato di carta igienica, se pensasse che Seever ci si è pulito il culo. Specialmente con questa storia dei nuovi omicidi.»
«Ah sì?»
«Altroché» dice l’uomo in tono piatto, fissando il parcheggio semideserto. «Basta qualche ragazza morta e la gente torna a chiedere le tele di Seever. Avrei dovuto mettermi a uccidere un bel po’ di tempo fa.»
Sammie batte le palpebre, inclina la testa e lo guarda.
«Non che abbia mai ucciso nessuno» riprende lui quando se ne accorge. Il collo gli si accende di chiazze paonazze. «Sarebbe folle.»
Sammie tamburella le unghie sul banco e si guarda intorno, cercando di riflettere senza perdere d’occhio il gallerista dietro il banco. Quello che ha detto potrebbe non significare nulla, potrebbe essere stata solo una riflessione ad alta voce, ma non si può mai sapere. I soldi sono un’ottima ragione per uccidere: dovrà fare il nome di quest’uomo a Hoskins, assicurarsi che la polizia lo controlli. La galleria è piccola e squallida, le opere esposte sono coperte di polvere. È un’attività che ha disperato bisogno di qualche buon affare.
«Sicura che non è della polizia?» insiste l’uomo tirandosi la barba. Sembra preoccupato.
Sammie inclina di nuovo la testa, riflettendo.
«Non sono una poliziotta, sono una giornalista» risponde. «Sto scrivendo un pezzo su Jacky Seever e sull’Assassino di Seconda Mano. Se potesse aiutarmi, in qualsiasi modo, gliene sarei davvero grata.»
L’uomo abbassa gli occhi sulla mano di lei come se fosse uno strano insetto sconosciuto, e Sammie si domanda se non abbia completamente sbagliato tattica.
«Aiutarla in che modo?»
«Come si chiama?»
«Simon.»
«Non Albert?»
«Albert era mio padre.»
«Okay, Simon. Ha detto che le hanno richiesto le tele di Seever?»
«Sì, da quando sono ricominciati gli omicidi ho ricevuto diverse telefonate.» Picchietta le nocche sul banco. «Per un certo periodo a chiamarmi era un solo tizio, sempre lo stesso. Si faceva vivo ogni settimana chiedendo se avevo qualcosa di nuovo firmato da Seever. Ogni singola settimana, ancora oggi. E ogni volta che ho un pezzo disponibile me lo compra al telefono e se lo fa spedire.»
«Sempre la stessa persona?»
«Sì. Deve avere una bella ossessione per Seever.»
«E da quanto va avanti?»
«Oh, da qualche mese, mi pare.»
«Ha il suo indirizzo in archivio?»
«No. Non è mai lo stesso, per cui non mi preoccupo di tenerlo.»
«Sa come si chiama?»
«Non ricordo, ed è inutile che provi a indovinare. Se mi funzionasse il computer glielo direi, ma qualche giorno fa si è bloccato e non ho i soldi per farlo sistemare.»
«L’ha detto al poliziotto?» chiede Sammie. «Gli ha parlato di lui?»
«No» risponde Simon torcendo le labbra. «Non me l’ha chiesto, e io non l’ho reputato importante. E poi non mi piaceva granché. È stato un gran cafone, fin dal momento in cui è entrato chiedendo informazioni. Non ho scelto questo lavoro per fare lo schiavetto della polizia. Un minimo di educazione, altrimenti la porta è quella.»
Sammie ride, e Simon si illumina in volto.
«Ha una bellissima risata» le dice.
«Grazie» risponde lei allungando la mano sul banco e toccando quella di lui. Si sente così stupida, a fare la civetta in questo modo, ma è disposta a tutto. «Sicuro di non sapere come rintracciare il suo cliente?»
Simon sospira. «Sì, ma sono anche sicuro che uno di questi giorni si farà risentire, e se vuole mi segno il numero e glielo giro.»
«Lo farebbe davvero?»
«Certo» dice. Poi fa un sorriso dolce. «Per la giusta contropartita.»
Ci siamo, si dice Sammie. Se lo aspettava.
«Cosa vuole in cambio?» gli chiede. «Un’uscita a cena?»
Simon sbuffa dal naso, poi ride così forte da far tremare la barba.
«Temo che il mio compagno non apprezzerebbe. Che ne dice di scrivere qualcosa sul giornale?»
«Un annuncio pubblicitario?»
«No, pensavo più a un articolo su una piccola galleria locale in difficoltà. Devo far entrare qualcuno da quella porta.» Fa un’altra risata. «E lo voglio in prima pagina.»
«Non sono io a decidere queste cose» ribatte Sammie, tamburellando spazientita le nocche sul banco. «Non posso farle una simile promessa.»
«Lei sembra un tipo persuasivo. O meglio potrebbe esserlo, se vuole che la metta in contatto con quel tizio.»
Sammie riflette, mordicchiandosi l’interno della guancia. Se ottenesse del buon materiale per un articolo, potrebbe riuscirci. E c’è sempre la possibilità che Simon non riceva più alcuna chiamata, e che questa visita si riveli un buco nell’acqua. Tanto vale soffiare sui dadi e lanciarli.
«Ci posso provare.»
«Bene» dice Simon sfilandosi di tasca un biglietto da visita. «Ecco, mi scriva il suo numero. Le mando un messaggio non appena ricevo una telefonata.»
«Lei è il non plus ultra» dice Sammie scrivendo. Il nodo di nervi che negli ultimi giorni sembrava divorarle lo stomaco è scomparso, e sta cominciando a pensare che forse andrà tutto bene. Se quest’uomo riceverà la telefonata e si ricorderà di avvertirla, avrà di che scrivere il suo articolo e salvarsi il culo. Meglio tardi che mai.
«Che significa?»
«Significa che lei è il massimo» dice ammiccando. «E a me piace finire in bellezza.»