Hoskins

Hoskins era alla Omicidi da un solo giorno quando aveva pescato Loren come collega. Pura casualità, gli avevano detto, anche se poi aveva scoperto che il vero motivo era che nessuno sopportava di lavorarci insieme malgrado fosse un buon detective e avesse fatto più arresti di chiunque altro.

«Ti piace fare il poliziotto?» gli aveva chiesto poco dopo che avevano cominciato a lavorare insieme. Erano seduti nell’auto di Loren, parcheggiata dietro un lavasecco, e stavano mangiando due tacos. Loren lo aveva guardato a bocca aperta, facendolo arrossire. Era una domanda stupida, qualcosa che un bambino delle elementari avrebbe potuto chiedere al detective venuto a raccomandare agli scolari di non accettare caramelle da sconosciuti, ma doveva saperlo. «Intendo dire che sembri portato per questo lavoro.»

«Mi fa schifo» aveva risposto Loren senza esitare.

«Allora perché lo fai?»

«Perché ci sono portato.» La traccia di un sorrisetto gli aveva circondato la bocca da duro. Un sorriso che a Hoskins era piaciuto pochissimo.

«Be’, di sicuro sarai portato anche per altro.»

«No. Solo per questo.»

Hoskins sapeva che si poteva essere bravi in qualcosa e al tempo stesso odiarlo, ma dopo qualche tempo si era reso conto che, al di là di quello che diceva, Loren amava fare il poliziotto, ne godeva. A soddisfarlo non era l’idea di mantenere l’ordine pubblico e aiutare il prossimo, né il fatto di averla vinta su tutte le teste di cazzo che c’erano al mondo ed essere considerato un eroe. E di sicuro non erano i soldi, perché gli sbirri guadagnavano una miseria; insegnanti e poliziotti, quelli che dovevano pulire le cagate altrui, lo prendevano sempre nel culo a livello di stipendio. No, per uno come Loren il segreto non erano i soldi o cose simili.

Era la caccia.

Come in uno dei primi casi su cui avevano indagato insieme, quello in cui tre donne erano state violentate e uccise in pieno giorno nelle loro rispettive abitazioni. Non c’erano segni di effrazione, nessun indizio, niente. Loren ci aveva impiegato un po’, erano morte in tre prima che lui ingranasse, ma a quel punto non lo aveva più fermato nessuno: la caccia era cominciata. Hoskins non aveva mai visto nessuno come lui, non ne aveva mai nemmeno sentito parlare; più che indagare, Loren si trasformava, allo stesso modo in cui un bravo attore diventa il personaggio che sta interpretando. Loren non lo faceva spesso, ma quando accadeva, quando diventava cacciatore, vi si dedicava al cento per cento, o tutto o niente. Cambiava modo di vestire, cambiava voce, cambiava abitudini, cambiava tutto fino a diventare la persona che cercavano. Loren lo definiva “entrargli in testa”, ma a Hoskins sembrava più una metamorfosi. Una farfalla che si liberava del suo bozzolo e schiudeva le ali davanti a tutti.

A volte le loro erano congetture, a volte non avevano elementi su cui basarsi, come nel caso di quelle tre donne violentate e uccise in casa. Ma Loren osservava e assorbiva tutto, in attesa del momento giusto. Finché un bel giorno aveva comprato un bell’abito in un grande magazzino, si era fatto dare una Lexus da un concessionario della zona e aveva fatto aspettare Hoskins in macchina mentre lui si era presentato alla porta di una bella casa in un quartiere di lusso, non dissimile da quelle in cui erano state uccise le tre vittime. Ad aprirgli era stata una donna, sola in casa, con i figli a scuola e il marito al lavoro, e Loren aveva sorriso e le aveva chiesto se poteva usare il suo telefono, perché gli si era scaricato il cellulare ed era in ritardo per un appuntamento. E malgrado Loren somigliasse a un bulldog idrofobo, la donna aveva dato un’occhiata al suo bell’abito e alla Lexus parcheggiata in strada e l’aveva fatto entrare, arrivando addirittura a chiudere la porta alle sue spalle. Perché il denaro parla, anche a bocca chiusa. E dietro quella porta Loren avrebbe potuto fare di tutto, avrebbe potuto stuprare e ammazzare quella donna oppure sedersi a sorseggiare un tè insieme a lei. Invece aveva chiamato Hoskins, il quale aveva estratto di tasca il cellulare vibrante e l’aveva fissato con la stessa espressione che avrebbe riservato a un serpente velenoso.

«È così che le uccide, Paulie» aveva detto Loren, la sua voce gradevolmente pacata diffusa dal vivavoce. Hoskins aveva provato a immaginare la scena in quella casa, chiedendosi se la donna fosse accanto a Loren in attesa che lui finisse la sua telefonata; ma probabilmente gli aveva dato le spalle ed era andata nell’altra stanza per non disturbarlo, anche se si trovava a casa propria. «Non è costretto a scassinare la serratura. Sono loro a farlo entrare. A invitarlo

E aveva ragione, come sempre: avevano ripreso a bussare alle porte dei vicini e una di loro si era ricordata di aver visto un’automobile bianca intorno al giorno del delitto, un’Audi di produzione recente o qualcosa di simile, e al volante un uomo attraente e ben pettinato. «Non ci avevo più pensato» aveva detto allargando le braccia e scrollando le spalle. «Mi sa che non aveva proprio l’aspetto di un criminale.»

Avevano convocato un ritrattista, e la vicina aveva fatto del suo meglio, anche se Hoskins pensava che “attraente e ben pettinato” non li avrebbe condotti da nessuna parte, era come dire che indossava i pantaloni, ma poi il ritratto e la descrizione dell’auto avevano destato l’attenzione di qualcuno e una settimana dopo avevano fatto un arresto, un giovane a modo con un buon impiego e un’auto di lusso a cui piaceva far soffrire le donne; il suo dna corrispondeva a quello rilevato sulle scene dei delitti, i tempi combaciavano e il caso era stato chiuso con tutti i dettagli al loro posto. E tutto grazie a Loren, alle sue inquietanti abilità e al suo amore per la caccia.

Hoskins non credeva che un giorno avrebbe ripreso a lavorare alla Omicidi, che sarebbe tornato al fianco di Loren, e pensava che la cosa non gli dispiacesse più di tanto, che starsene in cantina otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana a sfogliare vecchie cartelle e inserirle nell’archivio informatico non fosse poi così male; ma ora, avviando la sua auto e sentendo ansimare il motore nel gelo della sera, si rende conto che probabilmente la caccia è mancata anche a lui.

Fermandosi davanti alla casa dove è stato trovato il corpo di Carrie Simms e dove Loren sta svolgendo le sue indagini, Hoskins si chiede se in realtà non stia ancora dormendo, se questo non sia il sogno più realistico che abbia mai fatto. A farglielo pensare sono le silenziose luci blu e rosse delle auto di pattuglia e le rapide, regolari pulsazioni del sangue nella sua testa. È passato molto tempo dall’ultima volta che si è trovato sulla scena di un crimine, e pensava che non sarebbe più accaduto. È quello che succede quando ti cacciano dalla Omicidi: puoi pure dire addio al tuo lavoro. Non potrai più tornare dal regno dei morti finché non ti riporteranno in vita per i tuoi meriti di detective. Una ricompensa al valore, anche se questa, pensa Hoskins, potrebbe essere una punizione mascherata.

Ma la confusione non è dovuta solo a dove si trova. C’è anche la donna che sta avanzando nella sua direzione, che è scesa dalla sua auto dopo essersi fermata dietro di lui e non si è neanche presa il disturbo di spegnere i fari. In un primo momento Hoskins pensa che sia una vicina di ritorno dal lavoro e curiosa di sapere cosa sta succedendo, ma c’è un che di familiare nel modo in cui lei fa oscillare le braccia e tiene la faccia rivolta verso l’alto. Poi la donna emerge dal buio e si ferma davanti a lui, il volto illuminato e reso spettrale dai fari dell’auto.

«Cristo santo» esclama Hoskins senza preoccuparsi di abbassare la voce. A quale scopo? Lei saprà benissimo quanto è sorpreso. «Cosa cazzo ci fai qui?»

Sammie Peterson. Sono passati sette anni dall’ultima volta che l’aveva vista, quando aveva cercato di forzarla a decidersi, commettendo un errore perché lei aveva scelto suo marito. L’aveva fatto incazzare, essere scaricato in quel modo, e così era andato da lei e aveva bussato alla porta. Lei era in casa ma non gli aveva aperto, e Hoskins aveva aspettato in macchina, cuocendo nella calura del pomeriggio assolato. Gli piace pensare di essere una brava persona, razionale, ma ogni uomo arriva a un punto in cui va in corto circuito e le cose precipitano in caduta libera, e quello era stato il suo, perché amava Sammie… no, non l’amava e basta, ne era innamorato. E così aveva aspettato il ritorno del marito e gli aveva detto tutto, in piedi sul marciapiede mentre gli impianti di irrigazione spruzzavano acqua e i figli dei vicini passavano in bicicletta. Gli aveva detto che si era scopato Sammie, che lei adorava il suo cazzo, che lo prendeva nel culo e in bocca e in qualsiasi posizione lui volesse, che le piaceva, che lo implorava di darglielo. E Dean non aveva aperto bocca, lo aveva ascoltato spostando il peso da un piede all’altro e poi era entrato in casa e si era chiuso dietro la porta. Hoskins si era aspettato un litigio, una rissa, qualsiasi cosa, ed era tornato a casa deluso. Ma a partire da quella sera aveva cominciato a dimenticarla, aveva smesso di passare in macchina davanti a casa sua e di pensare a lei, tranne quando si svegliava con un’emicrania martellante e non ricordava i suoi sogni ma in qualche modo sapeva che riguardavano lei.

«E tu?» ribatte Sammie, e lo coglie alla sprovvista, perché dovrebbe essere lui a dettare legge, lui è un poliziotto e questa è la scena di un crimine; ma non si aspettava di vederla, men che meno così, tranquilla e disinvolta come se non fossero passati sette anni, come se il tempo si fosse fermato e accartocciato su se stesso e loro fossero tornati al passato, a prima che finisse tutto.

«Sono un poliziotto» taglia corto in tono brusco. La villania è sempre stata la sua rete di protezione quando si sente a disagio. «E questa è la scena di un crimine.»

«Lo so» dice Sammie, poi si ferma e sorride. «Scusami, domanda idiota.»

La casa di fronte a loro è grande e vecchia. Un agente immobiliare la definirebbe vasta, pensa Hoskins. La cassetta della posta all’imbocco del vialetto è a forma di gatto, dipinta di arancione a strisce nere. Vorrebbe essere simpatica e bizzarra, ma probabilmente per i vicini è solo irritante.

«Che cosa vuoi?» chiede continuando a guardarsi intorno per farsi un’idea del luogo. È quello che ha sempre cercato di fare: tenere gli occhi aperti fin da subito, prima ancora di entrare, perché non si sa mai cosa potresti vedere. La scena di un delitto non è limitata al poco spazio che circonda la vittima, certi colleghi lo dimenticano. «Te ne devi andare.»

«Non fare così» dice Sammie posandogli le dita sulla mano. Continua a non portare la fede matrimoniale, anche dopo tutti questi anni. «Volevo dirti che mi dispiace. Per quello che ti ho fatto.»

«Come?»

«Perdonami.» Sembra imbarazzata. «Non ho mai potuto chiederti scusa per come ti ho trattato. Mi dispiace. Se potessi, mi rimangerei tutto.»

Hoskins la guarda. È vestita di nero da capo a piedi, ed è truccata in volto. È la prima volta che la vede così.

«Sei venuta fin qui per chiedermi scusa?» le chiede.

«Sì.»

«Sono passati sette anni. Sette anni in cui non ti sei mai fatta viva.»

Sammie si mordicchia il labbro, imbarazzata.

«Sì, ci ho messo un po’, mi dispiace» dice.

«Mi hai seguito?»

Alza gli occhi su di lui, poi li distoglie. In direzione della casa, dove un agente sta segnando il perimetro della proprietà con il nastro giallo. È successo qualcosa di grave. In strada c’è già qualcuno che si sta avvicinando, abitanti del vicinato e automobilisti di passaggio incuriositi dai lampeggianti; impugnano i loro cellulari, pronti a scattare foto e girare video da diffondere in rete, speranzosi di catturare qualche immagine sanguinolenta: è questo che sta diventando il mondo, pensa Hoskins, un grande sacco delle sorprese per guardoni.

«Sì» ammette Sammie.

«Non farlo mai più. Mai più.»

«Ma ti devo parlare.»

«Parla pure.»

«Adesso?»

«Perché no? Sei scesa da quella macchina come una strega sbucata dall’inferno. Avrai qualcosa di importante da dirmi.»

«Dobbiamo parlare con calma, ho tante domande…»

«Ascolta, non sono più interessato ad avere rapporti con il «Post». Se vuoi una dichiarazione o qualcosa di simile per un articolo, mettiti in contatto con le pubbliche relazioni. Sono loro a occuparsi di queste cose, ormai.»

«Non è per un articolo.» Sammie sta cominciando a innervosirsi, a perdere la pazienza, e a Hoskins è sempre piaciuto provocarla, farle salire il sangue al volto, arruffarle le piume.

«Certo, come no.» Non le crede, perché per Sammie è sempre e solo esistito il suo lavoro. La sua carriera.

«È così.»

«E va bene, principessa. Ti credo. Calmati.»

«È la verità.»

«Okay. Allora cosa vuoi da me? Hai in macchina un bambino di sei anni che è il mio ritratto? Non guadagno abbastanza per pagarti gli alimenti.»

Sammie sbuffa dal naso.

«Mi ero dimenticata che un tempo mi chiamavi così.»

«Così come? Una strega sbucata dall’inferno? A essere sinceri lo faccio ancora.»

Le scappa una risata e si copre la bocca con la mano. Hoskins aveva scordato quanto è bella: sette anni riuscirebbero a farti dimenticare di tutto. Si sorprende a guardarla e distoglie gli occhi. La sua faccia era stata la prima cosa ad attirarlo, quegli occhi dagli angoli leggermente incurvati all’insù, e quando se l’era portata a letto si era congratulato con se stesso per la sua buona stella e aveva dato per scontato che fosse scema come la luna. Ma la bellezza è solo la superficie, perché in realtà Sammie è spiritosa, fascinosa e intelligente. E nel corso del tempo Hoskins ha imparato che l’intelligenza può essere pericolosa.

«Guarda un po’ che sorpresa. Un bel ricongiungimento dopo sette anni.»

Hoskins vede lo shock sul volto di Sammie prima ancora di girarsi: sta guardando qualcosa dietro di lui, qualcuno, e sembra sul punto di gridare, di ruotare sui tacchi e fuggire. Sta fissando l’uomo che gli si è avvicinato alle spalle, abito tre pezzi e occhiali cerchiati di acciaio, unghie ben curate e capelli con la riga sulla destra. È Jacky Seever, ma non può essere, perché Seever è chiuso in cella a Sterling e la prossima volta che ne uscirà sarà anche l’ultima, quando lo porteranno a Cañon City per giustiziarlo. Qualche anno prima certi colleghi di Cleveland avevano cercato di “prenderlo in prestito”, sperando di farlo parlare e di poter capire come funziona la mente di un assassino, ma non avevano ottenuto il permesso, perché Seever non muoverà mai il culo da Sterling, in tutto il Colorado non c’è giudice disposto a permetterlo.

Eppure eccolo qui.

«Hai una bella cera, Paulie» dice Seever, ma in realtà non è Seever, è Ralph Loren, o almeno questo è ciò che Hoskins cerca di dirsi, è Loren, lui e i suoi trucchi, questo gliel’hai già visto fare una quantità di volte, tranquillo, è Loren, Ralph Loren. E a un tratto i fari dell’auto di Sammie si spengono automaticamente, facendoli sprofondare nel buio.

E Loren, che sa benissimo di averli spaventati, perché è in grado di leggerti nel pensiero come un libro aperto ed è un pazzo fanatico a cui piace mettere paura alla gente, Loren scoppia a ridere. Una risata sguaiata, da malato di mente.