Sammie

«Non pensavo che avresti accettato di venire da me» dice Ethan facendo un passo indietro per lasciarla entrare. «Potevo raggiungerti io, se volevi.»

«Bella zona» osserva Sammie srotolandosi la sciarpa dal collo e lasciandola cadere su un tavolino, accanto alla foto incorniciata di una coppia di anziani in posa nei loro abiti della domenica. L’uomo è elegante e ha l’espressione sveglia della persona istruita, la donna ha un aspetto gentile. I suoi capelli bianchi formano morbide onde che sembrano vaporizzarsi intorno al volto. «Loro chi sono?»

«Loro chi?»

Sammie indica la foto. «I tuoi nonni?»

«Sì. Abitano qui.»

«E adesso dove sono?»

«In vacanza in Florida. Io sto badando alla casa.»

«Ah.» Sbircia in salotto. La casa è piccola e graziosa. Piena di soprammobili e centrini, con una fantasia di rose centifoglie alle pareti. «C’è un odore strano.»

Ethan si passa la mano sul retro del collo. «Devo portare fuori la pattumiera.»

Sammie avanza in casa e lui la segue come un cucciolo. Trasuda nervosismo da tutti i pori, e lei ne percepisce le ondate. Ha provato a richiamare Hoskins, prima ancora di partire da casa; se fosse stato rilasciato sarebbe andata da lui e probabilmente l’avrebbe anche scopato, e perché no, visto che Dean è convinto che lo stia già facendo? Ma Hoskins non ha risposto, e Sammie stava riflettendo sul da farsi, se rientrare in casa e aspettare o andare al distretto, quando il telefono ha cominciato a squillarle in mano, ed era Ethan, che la chiamava proprio nel momento del bisogno, e lui l’ha invitata e adesso lei è qui, a casa dei suoi nonni.

Si siedono sul divano, fianco a fianco. I braccioli sono rivestiti di plastica per evitare che il tessuto si logori, e Sammie liscia quello dalla sua parte. Ethan è seduto così dritto che potrebbe avere un manico di scopa sotto la camicia, e la sua fronte è imperlata di sudore. Quando è stata l’ultima volta che ho reso un uomo così nervoso?, si domanda Sammie. Probabilmente al liceo, ma non riesce neanche a ricordarlo. Fa piacere, fare un effetto simile su qualcuno. Lo aveva dimenticato, quel brivido di pregustazione che si prova prima di fare sesso con una persona nuova.

«Tutto bene?» chiede, e quando gli tocca un ginocchio lui fa un balzo come se lo avesse schizzato di olio bollente. «Vuoi che me ne vada?»

«No, è che… è la prima volta che qualcuno viene da me perché lo vuole

«E Kelly?»

Ethan batte le palpebre e distoglie lo sguardo.

«Ci siamo lasciati» dice. Sammie attende che prosegua, ma non non lo fa.

«Mi dispiace.»

«Meglio così. Non abbiamo gli stessi interessi.» Si schiarisce la gola. «Dovrei prendere il mio quaderno e mostrarti cosa ho scritto.»

«Aspetta.»

Sammie non è mai stata brava a fare la prima mossa. È sempre l’uomo a cominciare, a toccarla, a baciarla. Ma Ethan è così giovane e nervoso, addirittura terrorizzato, glielo si legge negli occhi, e non farà mai niente, e se Sammie non prende l’iniziativa al più presto finisce che se ne dovrà andare. Già sente che la sua risoluzione si sta dissipando, questa meschina ripicca è stata un’idea stupida, ma poi ripensa a Dean, al fatto che lui la sta punendo per qualcosa che lei non ha commesso, e il desiderio di vendicarsi torna, anche se Dean non dovesse mai sapere che lei è stata qui, anche se non dovesse mai scoprirlo lei lo saprà, e ciò le basterà. Risale la coscia di Ethan con la mano e si ferma sulla sua erezione.

«Sammie» dice lui con un filo di voce, ma lei gli posa la mano sulle labbra e ve la lascia. C’è un taglio sopra uno dei suoi sopraccigli, superficiale ma dall’aspetto malevolo.

«Zitto» dice Sammie, e gli slaccia i pantaloni e lo libera, e lui geme e rotea gli occhi all’indietro nelle orbite e comincia a tremare, sollevando i fianchi perché lei affondi la sua stretta. «Resta seduto, non muoverti. Lascia fare a me.»

Ma è già finita, prima ancora che lei possa fare altro, lui si è ridotto a niente tra le sue dita, svanito prima ancora di esserci, e sta piangendo, sta singhiozzando per l’imbarazzo, e le prende la mano e se la pulisce sulla camicia, lasciandovi una traccia scintillante.

«Mi dispiace» dice. «Non l’avevo mai fatto con nessuno.»

Sammie non sa bene se intenda che nessuna donna l’ha mai masturbato o che non ha mai avuto rapporti sessuali.

«Non c’è problema» dice ritraendo la mano. «Succede di continuo, davvero.»

Gli carezza la schiena, cercando di mostrarsi gentile, ma in realtà si sta già chiedendo quando se ne potrà andare, quale scusa può inventare per uscire di lì. E proprio in quel momento sente suonare il cellulare, perfetto, pensa tirandolo fuori dalla borsa e controllando lo schermo. È la polizia, forse potrà finalmente sapere dov’é Hoskins e cosa gli è successo.

«Scusami,» dice «devo rispondere.»

Si alza ed esce dal salotto, lisciandosi l’orlo della camicia e portandosi il cellulare all’orecchio. È strano, la rapidità con cui una situazione può precipitare, anche se non le era mai successo così in fretta.

«Pronto?» risponde, ma in linea c’è solo un ronzio sordo. «Chi parla?»

«Se vuoi parlare devi uscire» dice Ethan dal salotto. «In casa c’è poco campo.»

«Oh, okay. Vado a lavarmi le mani e poi richiamo.»

C’è un bagno per gli ospiti nel corridoio sul davanti, e accanto al lavandino c’è un piattino di piccole saponette a forma di conchiglia, e gli asciugamani appesi sono stretti al centro da grossi fiocchi di rafia. Le fa venire in mente casa Seever, perché questo era lo stile di arredamento di Gloria: pignolo, accurato. Sammie si lava le mani, rivoltandosi tra le dita una delle conchiglie-saponette fino a formare un bello strato di schiuma, poi le sciacqua e le asciuga sui jeans.

Esce dal bagno e prima di andarsene si ferma a guardare le foto appese al muro. Ce n’è una quantità: foto del nonno nel suo completo da ufficio, della nonna a bordo di una barchetta a remi su un lago. I due vecchietti sembrano dei gran viaggiatori, ma non c’è traccia di bambini nelle immagini. Molti amici, a quanto pare, molti bei momenti. Sammie studia da vicino alcune delle foto in cerca di Ethan, ma non lo vede mai. D’altra parte Ethan è timido, e forse non gli piace essere fotografato.

La parete tappezzata di foto la fa ripensare a casa Seever. Era un bel po’ che non ricordava i momenti trascorsi in quella casa, e adesso sono riemersi due volte nel giro di pochi minuti. Perché? Questa casetta non ha niente a che spartire con la pacchiana villona di Seever.

Sta ancora guardando le foto quando il cellulare le ronza in mano, ma questa volta è un messaggio, e proviene da un numero sconosciuto. AVEVO SCORDATO DI AVERE NEI CONTATTI IL NUMERO DI UNO DEGLI INTERESSATI AI QUADRI DI SEEVER. ECCOLO.

È il gallerista, Simon. Sammie credeva che non lo avrebbe più sentito e sarebbe stata costretta a seguire un’altra pista, ma a quanto pare la situazione si sta rovesciando. In culo a te, Weber, si dice selezionando il numero e cominciando a comporre un messaggio.

SALVE, scrive. HO SAPUTO CHE CERCA QUADRI DI SEEVER. MI RICHIAMI O MI MANDI UN MESSAGGIO. GRAZIE.

Preme l’invio, e subito dopo sente una voce preregistrata e attutita proveniente da poco lontano.

Alright, alright, alright. La riconosce: è la suoneria di un cellulare, una di quelle che si scaricano dal web al posto dei soliti squilli o segnali acustici. Sammie ne ha sentite di ogni genere, soprattutto in negozio (canzoni natalizie, rutti, il ruggito del motore di un’auto da corsa), e ha addirittura sentito anche questa, usata da una donna che era diventata paonazza quando la voce maschile era fuoriuscita dalla sua borsa. Viene da La vita è un sogno, le aveva spiegato. Adoro quell’attore, come si chiama…

«È il tuo telefono?» chiede a Ethan.

«Dev’essermi arrivato un messaggio» risponde lui.

Lo sente aggirarsi per il salotto, spostando cuscini e libri in cerca dell’apparecchio.

«Ah. Okay.»

VORREI INCONTRARLA, digita e invia.

Alright, alright, alright.

«Non sapevo che avessi quella suoneria» dice lentamente. Non può essere una coincidenza, il fatto che il cellulare di Ethan suoni a ogni suo messaggio. Giusto? Oh, succedono cose anche più strane, si dice, è folle anche solo pensarci. Ciò malgrado, fa un piccolo passo verso la porta.

«In realtà ho due telefoni. Uno lo pago io, l’altro mia madre.»

«Non conosco nessuno che abbia due cellulari» osserva.

«Mi servono per tenere le cose separate» spiega Ethan. «Altrimenti ci si confonde.»

HO UNA DOMANDA.

Invio.

Alright, alright, alright.

Ethan. Sammie non sa come si chiami di cognome, non sa nulla di lui a parte che si guadagna da vivere preparando panini. Lui invece di lei sa tutto, fin dal primo momento, perché ha letto i suoi articoli sul «Post», e gli sono piaciuti soprattutto quelli su Jacky Seever. E lei ha gradito le sue attenzioni, gli ha rivelato particolari del caso, più di quanto avrebbe dovuto, perché Ethan era bravo ad ascoltare, era gentile e interessato a quello che lei scriveva, e si era preso una cotta per lei, ed era bello sentirsi guardare in quel modo da un uomo, anche se più che un uomo era un ragazzo, un ragazzino innocuo.

Giusto?

«Forse è meglio rimandare la lettura a un altro giorno» dice mentre compone un altro messaggio sul telefono. Non può più fermarsi, ormai. Deve sapere.

SEI TU L’ASSASSINO DI SECONDA MANO?

Invio.

Alright, alright, alright.

Sammie sa che dovrebbe fuggire, ma a quanto pare non riesce a muovere un muscolo. Se fosse un film, pensa, a questo punto griderei alla cretina di muoversi, di non restare lì come un’idiota. L’assassino è nella stanza accanto, te ne devi andare. Ottimo consiglio, tranne che a volte la vita assomiglia a un film più di quanto si possa immaginare, e in questo momento lei è impietrita, non può fare altro che fissare il suo telefono e aspettare.

Il cellulare le vibra nelle dita e lo schermo si illumina. È arrivata la risposta.

SÌ. E dopo un istante, un altro messaggio: L’HO FATTO PER TE.

Sammie fa appena in tempo a leggerlo che vede Ethan sbucare a grandi falcate da dietro l’angolo; finalmente si mette a correre verso la porta ma è troppo poco e troppo tardi, il corridoio è corto e lui è veloce, dopo un istante l’ha raggiunta e la trascina all’indietro, e lei grida e lotta, ed è a questo punto che capisce cosa le aveva fatto pensare a Seever. È l’odore. Questa casa emana lo stesso odore di quella di Seever durante gli scavi nel vespaio.