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«Mah, sai, il perché non mi pare troppo difficile da capire. O forse invece non l’ho ancora messo bene a fuoco.» Gesticolo, mentre cammino avanti e indietro per lo Studio Ovale. «Certo, mi ci è voluto un bel po’ a inquadrare la situazione. Chissà, magari sono il presidente più coglione della storia.»
O magari quello che scarseggia di più in questa città – la fiducia – è qualcosa di cui io invece abbondo. La fiducia può rendere ciechi. E io lo sono stato.
Supero il tavolo accanto al divano e mi fermo nello stesso punto in cui ieri si è messa Nina. Guardo una foto in cui io e Lilly scendiamo dal Marine One nel giardino della Casa Bianca.
«Io non capisco...» dice Carolyn aggrottando la fronte. «Proprio non capisco perché qualcuno avrebbe voluto farti credere che c’era un traditore.»
Accanto alla foto in giardino, ce n’è un’altra di me e Carolyn la notte in cui sono stato eletto presidente, abbracciati e tirati a lucido per le telecamere. La prendo e mi torna in mente quell’ondata di allegria, tanto potente da sembrare un’ebbrezza. Ci sembrava di avere il mondo in mano.
Poi sbatto la foto sul tavolo, rompendo il vetro e ammaccando la cornice.
Per poco Carolyn non cade dalla sedia.
«Ascoltami», le dico fissando la cornice rotta. «La fuga di notizie getta il sospetto su tutta la mia squadra per la sicurezza nazionale. Qualcuno della cerchia interna, qualcuno con un incarico particolarmente prestigioso – per esempio, il vice presidente degli Stati Uniti – viene incolpato. È un obiettivo facile. È stata sleale, è stata una spina nel fianco per me, a dire il vero. Quindi lei è fuori, andata, costretta alle dimissioni con disonore. Forse addirittura sottoposta a un processo, o forse no... in ogni caso, è fuori combattimento. Qualcuno deve prendere il suo posto, giusto? Giusto?» dico alzando la voce.
«Sì, giusto», sussurra Carolyn.
«Ecco! E chi subentrerà al suo posto? Chi sarà mai l’eroina della fiaba? Chi è che all’ultimo secondo è riuscita a indovinare la password? Guarda caso, proprio la persona che è sempre stata convinta di dover essere vice presidente...»
Carolyn Brock si alza dalla poltrona, la bocca spalancata, e mi fissa come un cervo accecato dai fari. Non parla, però. All’improvviso le parole sono diventate superflue.
«L’ultima riunione, quella con il timer in bella vista... Com’è che l’hai chiamata? Una messinscena? Era una prova. Volevo vedere chi avrebbe indovinato la password. Sapevo che prima o poi qualcuno di voi l’avrebbe fatto.» Mi copro gli occhi con le dita, mi massaggio la radice del naso. «Ho pregato Dio. Te lo giuro, sulla tomba di mia moglie, che ho pregato Dio che non fossi tu. Chiunque, ma non la mia Carrie, ecco cosa mi ripetevo.»
Alex Trimble entra seguito da Jacobson, il suo vice, che rimane due passi indietro. Elizabeth Greenfield, direttore reggente dell’FBI, fa capolino alle loro spalle.
«Sei stata intelligente fino alla fine, Carrie», le concedo. «Sei riuscita a farci arrivare alla città natale di Nina senza essere tu a dirci come si chiamava.»
Il volto ferito di Carrie si spezza. Sbatte le palpebre troppo in fretta. «Quindi l’hai fatto apposta a sbagliare spelling.»
«E infatti ci hai pensato tu a correggerci in tempo. Sukhumi con due u.»
Lei chiude gli occhi.
Faccio un cenno a Liz Greenfield.
«Carolyn Brock», le dice. «La dichiaro in arresto per sospetta violazione della legge antispionaggio e tentato alto tradimento. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei...»