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Salgono le scale con il classico approccio tattico: una rampa alla volta, uno va avanti in perlustrazione, e gli altri lo seguono. Ci sono tantissimi punti ciechi. Ogni angolo potrebbe nascondere un’imboscata. Il loro contatto alla portineria ha dato il via libera, ma questo voleva dire soltanto che nelle telecamere non si vedeva nulla.

Il capo della squadra 1 si chiama Christoph ed è nel KSK da undici anni. Quando tutti hanno raggiunto l’ultimo pianerottolo, lui preme un pulsante della ricetrasmittente e comunica al comandante: «Squadra 1 in posizione rossa».

«Squadra 1, tenete la posizione rossa», replica il comandante dal sedile del camion giù in strada.

A dirigere la missione è il generale di brigata in persona, il capo del KSK. A quanto ne sa Christoph, è la prima volta che un alto grado del Kommando dirige personalmente un’operazione. Del resto, però, è anche la prima volta che il KSK riceve una chiamata direttamente dal cancelliere.

L’obiettivo è Suliman Cindoruk, ha detto il cancelliere Richter al generale. Bisogna prenderlo vivo. Deve essere catturato e in condizioni di essere subito interrogato.

Ecco perché Christoph imbraccia un ARWEN, un fucile antisommossa caricato con pallottole di plastica non letali, capace di sparare cinque colpi in quattro secondi. Altri cinque suoi colleghi sono armati di ARWEN per mettere fuori combattimento gli obiettivi, mentre il resto della squadra imbraccia normali pistole mitragliatrici MP5 che invece possono essere letali in caso di necessità.

«Squadra 2, posizione», chiede il comandante.

La squadra 2 è composta dai quattro uomini sul tetto. «Squadra 2 in posizione rossa.» Due sono pronti a lanciarsi dal tetto sul balcone dell’attico. Gli altri rimarranno a guardia del tetto, in caso di eventuali tentativi di fuga.

Ma non scapperà, Christoph ne è certo. Suliman è mio.

Sarà il suo Osama bin Laden.

Nell’auricolare sente di nuovo la voce del comandante: «Squadra 3, confermare numero e posizione dei bersagli.»

La squadra 3 è sull’elicottero e controlla le riprese termiche che rivelano la presenza di cinque persone nell’attico.

«Cinque bersagli, comandante. Quattro dentro, nella stanza davanti, e uno sul balcone.»

«Confermato, cinque bersagli. Squadra 1, procedete in posizione gialla.»

«Squadra 1, procediamo in posizione gialla.» Christoph si volta verso i suoi uomini e annuisce. Loro sollevano le armi.

Christoph gira lentamente la maniglia della porta che dà sulle scale, poi la tira piano ma con decisione verso di sé, mentre una scarica di adrenalina lo invade.

L’ingresso dell’attico è vuoto, silenzioso.

Avanzano lenti e fluidi, dodici uomini in formazione, le armi spianate, i passi contati per limitare il rumore delle scarpe sulla moquette; si avvicinano alla porta in fondo a destra. I sensi acuiti dalla tensione, Christoph sente l’energia e il calore degli agenti alle sue spalle, l’odore di limone che emana dalla moquette, i respiri affannosi dietro di sé, un’eco di risate in fondo al corridoio.

Otto metri di distanza. Sei metri. L’adrenalina gli attraversa il corpo. Il cuore batte all’impazzata. Ma l’equilibrio è saldo, la fiducia...

Clic clic clic.

Si volta di scatto verso sinistra. Il suono è debole, ma inequivocabile. Un piccolo riquadro sul muro, un termostato...

No, non è un termostato.

«Merda.»

Il presidente è scomparso
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