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Appena arrivo nella war room, Devin alza lo sguardo e dà un colpetto sulla spalla di Casey. Si alzano entrambi e lasciano gli altri a battere sulle tastiere, le cuffie sbilenche in equilibrio sul collo. Addossata contro il muro, c’è una pila di portatili ormai fuori uso. Sulla lavagna bianca si accalcano parole, nomi, codici: PETYA, NYETNA, SHAMOON, ALG. DI SCHNEIER, DOD.
La stanza odora di caffè, sigarette e sudore. Se fossi in vena di scherzi, proporrei di aprire la finestra.
Casey indica la pila di computer in un angolo, che arriva quasi fino alla telecamera a circuito chiuso che riprende dal soffitto.
«Quelli sono andati», dice. «Le stiamo provando tutte, ma per ora il virus sembra invulnerabile.»
«Quindi avete già bruciato settanta computer?»
«Più o meno. E per ognuno dei nostri, la squadra al Pentagono ne fa fuori tre o quattro. Quindi abbiamo già superato i trecento.»
«Trecento computer... completamente vuoti?»
«Esatto», risponde Devin. «Appena cerchiamo di disinnescarlo, il virus cancella tutto. Questi ora sono buoni solo per farci le costruzioni.» Sospira. «Potrebbe procurarcene altri cinquecento?»
Mi giro verso Alex e gli inoltro la richiesta. I marine ce li porteranno in meno di mezz’ora. «Cinquecento bastano?»
Casey fa una smorfia. «Tanto non li abbiamo, altri cinquecento tentativi. Abbiamo già provato di tutto.»
«Augie non riesce a darvi una mano?»
«Ah, sì, è bravissimo», dice Devin. «La tecnica con cui è riuscito a seppellire il virus nei nostri server è geniale, non avevo mai visto niente del genere in vita mia. Ma disinnescarlo non è la sua specialità.»
Guardo l’orologio. «Sono le quattro, ragazzi. Inventatevi qualcosa.»
«Sì, signore.»
«C’è altro che posso fare per voi?»
Casey fa un sorriso amaro. «Non è che per caso potrebbe catturare Suliman e portarcelo qui?»
Le do una pacca sulla spalla ed esco.
Ci stiamo provando in questo preciso momento, penso, ma non lo dico.