38

 

Chiudo la porta dello studio e mi siedo alla scrivania, protetto dalle pareti insonorizzate. Appena tocco il mouse, lo schermo nero si riempie di colori per poi dividersi in due parti.

«Buonasera, Jon», dice Carolyn dalla Casa Bianca.

«Buonasera, presidente», le fa eco Elizabeth Greenfield, diventata direttore reggente dell’FBI dieci giorni fa, dopo la morte per aneurisma del suo predecessore. La sua nomina è stata una mia decisione. Non avrei potuto scegliere persona più adatta da tutti i punti di vista: ex agente, pubblico ministero, capo della divisione criminale del dipartimento di Giustizia, considerata da tutti un esempio di imparzialità ed efficienza.

Il suo unico punto debole, anche se io non lo ritengo tale, è quello di aver partecipato più di dieci anni fa a una manifestazione di protesta contro l’invasione dell’Iraq, per cui alcuni falchi del Senato hanno parlato di scarso patriottismo, dimenticando evidentemente che la protesta pacifica rientra tra le più ammirevoli forme di patriottismo.

Hanno anche sostenuto che io volessi soltanto fare bella figura nominando la prima donna afroamericana ai vertici dell’FBI.

«Mi dica del ponte e del Nationals Park», le chiedo.

«Sullo stadio abbiamo pochissimo, quasi nulla. Ovviamente è presto, ma il blackout ha impedito qualsiasi ripresa e la pioggia ha cancellato gran parte delle prove. Se davvero lì fuori ci sono stati dei morti, non hanno lasciato traccia. E anche se ce ne fossero, ci vorranno comunque giorni per riuscire a cavarne qualcosa. In ogni caso, le probabilità sono basse.»

«E il cecchino?»

«Il furgone è stato preso dal Secret Service, ma abbiamo i proiettili finiti sul marciapiede e sul muro dello stadio, quindi non sarà impossibile capire dove si era appostato. A quanto sembra al momento, il cecchino ha sparato dal tetto dell’edificio di fronte allo stadio, un condominio residenziale chiamato Camden South Capitol. Naturalmente sul tetto non abbiamo trovato assolutamente nulla, perciò quando se n’è andato è stato bravissimo a non lasciare tracce. E quella stramaledetta pioggia ha giocato a suo favore.»

«Ok.»

«Signor presidente, se hanno fatto base in quell’edificio, riusciremo a individuarli in qualche modo. Hanno dovuto per forza pianificare tutto in anticipo. Accesso. Uniformi rubate, forse. Telecamere a circuito chiuso. Riconoscimento facciale. Possiamo lavorarci su, ma lei dice che non abbiamo tempo.»

«Purtroppo è così, abbiamo una gran fretta.»

«Stiamo lavorando il più in fretta possibile, signore, ma non posso garantirle che avrà le risposte necessarie in poche ore.»

«Provateci lo stesso. E la ragazza?»

«Già, Nina. Il Secret Service ci ha appena consegnato sia il furgone che il cadavere. Tra pochi minuti avremo DNA e impronte, e cominceremo le ricerche. Rintracceremo la targa, e tutto il resto.»

«Bene.»

«E per quanto riguarda il ponte?» chiede Carolyn.

«Ci stiamo ancora lavorando», risponde Liz. «L’incendio si è spento. Abbiamo rimosso i quattro cadaveri dalla corsia pedonale e stiamo facendo vari controlli incrociati. Invece per quelli dentro il camion ci vorrà più tempo, ma siamo già all’opera. Devo avvertirla, però: una volta scoperte le loro identità, non sapremmo ancora nulla su chi li ha assoldati. Questa è gente che non lascia tracce, avranno preso tutte le precauzioni del caso. Sicuramente hanno usato degli intermediari. Forse alla fine riusciremo a individuarli, ma temo che...»

«Ho capito, non sarà una questione di ore, ma vale comunque la pena tentare. Mi raccomando, siate discreti.»

«Quindi preferisce che non dica nulla al segretario Haber?»

Ancora fresca di nomina, Liz esita a chiamare per nome gli altri membri della mia squadra per la sicurezza nazionale, tra cui il segretario della sicurezza interna Sam Haber.

«Può dirgli che sta cercando di rintracciarli, tanto questo lo immagina già. Ma non dica niente a nessuno di quello che scoprite. Parli solo con me e con Carolyn, va bene? Se Sam, o chiunque altro, fa domande, risponda semplicemente che per il momento non ci sono notizie, ok?»

«Signor presidente, posso dire sinceramente quello che penso?»

«Certo, Liz. Anzi mi arrabbierei se facesse il contrario.» Non c’è niente di più importante, per me, di un collaboratore che ha il coraggio di darmi torto, di sfidare il mio giudizio, di stimolarmi con un dibattito. Circondarsi di sicofanti e leccapiedi è il modo più rapido per affondare.

«Perché tutti questi segreti? Non dovremmo coordinare le forze il più possibile? Se ci diamo una mano a vicenda, siamo più efficaci. È forse la lezione più importante che abbiamo imparato dopo l’11 settembre.»

Guardo il viso di Carolyn sulla metà sinistra dello schermo. Lei fa spallucce, come a dire che farei bene a parlare chiaro con il direttore reggente dell’FBI.

«Il nome in codice, Tempi Bui. A parte me, lo conoscono solo altre otto persone in tutto il mondo. Dietro mio ordine, nessuno ha mai avuto il permesso di mettere per iscritto queste due parole. E sempre dietro mio ordine, nessuna di queste persone le ha mai pronunciate in presenza di qualcuno esterno al gruppo. Capisce?»

«Sì, signore, capisco.»

«Nemmeno la squadra speciale d’intervento rapido lo sa. Nemmeno i membri della task force di tecnici che sta tentando di localizzare e neutralizzare il virus. Capisce?»

«Sì, presidente. Soltanto noi otto, e lei.»

«Quindi dev’essere stato uno di voi otto a dirlo ai Figli della Jihad.» Faccio una pausa per lasciare a Liz il tempo di realizzare. «Ma in questo caso non si tratta di una semplice fuga di notizie.»

«Capisco, signore.»

«Quattro giorni fa, a Parigi, una donna ha sussurrato queste parole all’orecchio di mia figlia. Questa donna, Nina, è la vittima del cecchino dello stadio.»

«Oh, mio Dio.»

«È andata da mia figlia, le ha chiesto di riferirmi quelle parole da parte sua e ha aggiunto che non c’era più tempo e che venerdì sera sarebbe venuta a trovarmi nello Studio Ovale.»

Nel tentativo di elaborare il flusso d’informazioni, Liz solleva impercettibilmente il mento. «Presidente... io sono una degli otto, come fa a fidarsi?»

Una domanda lodevole da parte sua. «Prima della sua nomina, che del resto risale soltanto a dieci giorni fa, non era una degli otto. Chiunque sia il nostro nemico esterno, e chiunque sia il traditore interno, be’, dieci giorni sono troppo pochi. Una strategia del genere ha bisogno di tempo, non la s’imbastisce da un giorno all’altro.»

«Quindi il traditore non posso essere io, perché non ne avrei avuto il tempo materiale.»

«Esatto, le tempistiche la escludono dai sospetti. Perciò, se togliamo lei, Carolyn e il sottoscritto, rimangono sei persone. Sei potenziali Benedict Arnold.»

«Ha pensato che uno di questi sei potrebbe aver rivelato qualcosa al coniuge, o magari a un amico, che a sua volta ha venduto l’informazione? Sarebbe comunque una violazione del segreto di Stato, ma non...»

«Sì, ci ho pensato, ma chiunque ci stia tradendo ha rivelato molto più di un semplice nome in codice. Chi ha parlato sapeva tutto, e un amico o un coniuge non avrebbero mai potuto avere accesso a tutte le informazioni necessarie per concertare un attacco di questa entità. Qui c’è lo zampino di un’alta carica dello Stato.»

«Quindi è per forza uno di questi sei.»

«Esatto. Perciò si renderà conto, Liz, che per il momento è l’unica persona di cui possiamo fidarci.»

Il presidente è scomparso
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