44

 

Carolyn Brock indossa lo stesso tailleur del giorno prima, il vice presidente se ne accorge subito. Come se non bastasse, ha gli occhi rossi che confermano la mancanza di sonno.

A quanto pare, l’infaticabile capo di gabinetto non è tornata a casa.

Si siedono nella sala riunioni del centro operativo sotterraneo della Casa Bianca, alle due estremità di un lungo tavolo. Il vice presidente avrebbe preferito restare nel suo studio privato nella West Wing, ma farla dormire nel bunker rientra in un protocollo di difesa collaudato che lei non vede ragione d’infrangere.

«Dov’è Alex Trimble?» chiede la vice presidente.

«Al momento non è disponibile, signora.»

Lei strizza le palpebre. Secondo i suoi collaboratori, questa espressione è il suo tratto più temuto, una maniera discreta e insieme inequivocabile di comunicare il suo disappunto.

«Tutto qui? Non è disponibile?»

«Esatto.»

Il sangue le ribolle. Nella scala gerarchica Katherine Brandt viene subito dopo il presidente, e almeno sulla carta sembrano ricordarselo tutti. Deve ammettere però che, nonostante il suo risentimento nei confronti di Jon Duncan per averle strappato una candidatura annunciata nell’ultimo mese di primarie, e nonostante la difficoltà con cui lei ha accettato il ruolo di secondo violino mordendosi la lingua, il presidente ha mantenuto la promessa di nominarla vice presidente, tenendola sempre al corrente e consultandola prima di ogni decisione importante. Duncan è stato di parola.

In questo momento, però, entrambe sanno che tra loro due è Carolyn ad avere il vero potere.

«Dov’è il presidente, Carolyn?»

Senza scomporsi, con grande diplomazia, Carolyn allarga le braccia. Nonostante tutto, Kathy Brandt non può non provare un malcelato rispetto per lei, che ha saputo forzare la mano al Congresso, ha fatto funzionare nei tempi la macchina burocratica della Casa Bianca e ha tenuto a bada l’entourage della West Wing, e tutto al servizio dell’agenda del presidente. Quando Carolyn era ancora membro del Congresso, prima dell’infausto fuori onda che le è costato la carriera, in molti scommettevano su di lei per la poltrona di presidente della Camera dei Rappresentanti, se non perfino per qualcosa di più. Brava oratrice, molto preparata, svelta, attivista convinta, affascinante ma non di un’avvenenza mozzafiato – l’eterna linea sottile lungo cui devono camminare le donne che fanno politica – la Brock sarebbe stata uno dei politici migliori.

«Carolyn, le ho chiesto dov’è il presidente.»

«Non posso rispondere alla sua domanda, signora.»

«Non può o non vuole rispondere?» Kathy Brandt fa un gesto con la mano. «Lei però lo sa dove si trova, vero? Può dirmi almeno questo?»

«Sì, signora, so dov’è.»

«E sta... Sta bene? È al sicuro?»

Carolyn inclina la testa. «Con lui c’è il Secret Service, se è questo che...»

«Dio santo, Carolyn, non ce la fa proprio a darmi una risposta diretta?»

Per un attimo i loro sguardi s’incrociano. Carolyn Brock non è una pavida, e la sua lealtà nei confronti di Duncan trascende qualsiasi altro sentimento. Se dovesse prendersi una pallottola al posto suo, lo farebbe volentieri.

«Non sono autorizzata a dirle dov’è.»

«Quindi il presidente le ha ordinato espressamente di non dirmi dove si trova.»

«L’ordine non include soltanto lei, signora.»

«Ma include anche me.»

«Non posso darle l’informazione che vuole, signora.»

Il vice presidente sbatte i palmi sul tavolo e spinge indietro la sedia. «Da quando in qua il presidente si nasconde da noi?» dice dopo un attimo di pausa.

Carolyn si alza a sua volta e la fissa dritto negli occhi. Il vice presidente non si aspetta che le risponda e infatti lei resta in silenzio. Sotto un simile sguardo chiunque abbasserebbe la testa, ma Kathy Brandt sa benissimo che Carolyn resterebbe lì impalata anche tutta la notte senza mai battere ciglio.

«C’è altro, signora?» chiede Carolyn con il solito tono di perfetta efficienza, che in questo momento ha l’unico effetto di snervare ulteriormente la sua interlocutrice.

«Perché ci siamo barricati qui sotto?»

«In seguito ai fatti di ieri. Si tratta di una misura precauziona...»

«No», la interrompe Kathy Brandt. «I fatti di ieri hanno a che fare con un’inchiesta dell’FBI e del dipartimento del Tesoro. Un’inchiesta sul contrabbando, no? Questa, almeno, è la versione ufficiale.»

Carolyn tace, immobile. Una storia del genere non poteva non suonare fasulla a una politica navigata come la Brandt.

«I fatti di ieri avrebbero potuto richiedere inizialmente l’applicazione di un protocollo di difesa», continua il vice presidente. «Almeno finché non si fosse capito cosa stava succedendo. Ma è tutta la notte che sono quaggiù. Quanto avete intenzione di tenermi in questo sotterraneo?»

«Fino a nuovo ordine, signora.»

Kathy Brandt si avvicina a Carolyn e si ferma a poca distanza da lei. «E allora non venga a raccontarmi che sono qui per i fatti di ieri. Mi dica la verità, invece. Mi dica perché avete deciso di applicare il protocollo di difesa per la continuità di mandato. E perché all’improvviso il presidente sembra temere per la sua vita.»

A parte qualche battito di ciglia, Carolyn mantiene la sua fermezza stoica. «Ho ricevuto ordini diretti dal presidente di procedere con il protocollo di difesa per la continuità di mandato. Non spetta a me contestare una simile decisione o chiederne il motivo. E nemmeno...» Distoglie lo sguardo, la lingua che per un attimo saetta a un angolo della bocca.

«E nemmeno a me... è questo che stava per dire?»

Carolyn la guarda negli occhi. «Esatto, signora. È quello che stavo per dire.»

Il vice presidente annuisce piano, vuole farla bruciare a fuoco lento. «Tutto questo ha a che fare con l’impeachment?» chiede senza comprendere come sarebbe possibile una simile eventualità.

«No, signora.»

«Allora è una questione di sicurezza nazionale?»

Carolyn non risponde, il viso perfettamente immobile.

«Si tratta di Tempi Bui?»

Carolyn storce lievemente la bocca, ma non risponde, non vuole rispondere alla domanda.

«Be’, sa, non sarò il presidente...»

Non ancora.

«... ma resto pur sempre il vice presidente, quindi non prendo ordini da lei. E non ho ricevuto dal presidente l’ordine di seguire il protocollo. Lui, se vuole, sa come contattarmi. Credo di essere nella sua rubrica. Quando lo riterrà necessario, può sempre farmi una telefonata e spiegarmi cosa diavolo sta succedendo.» Si volta e va verso la porta.

«Dove va?» chiede Carolyn con un altro tono, più autoritario, meno deferente.

«Secondo lei? Ho una giornata piena che mi aspetta. Compresa un’intervista con Meet the Press, in cui ovviamente non faranno altro che chiedermi dov’è il presidente.»

Prima dell’intervista, però, deve fare un’altra cosa: l’appuntamento che ha organizzato la sera prima, dopo una breve telefonata fatta con il suo cellulare privato. Potrebbe rivelarsi l’incontro più fruttuoso di tutta la sua carriera politica.

«Lei non lascia il centro operativo», dice Carolyn.

Il vice presidente si ferma davanti alla porta e si gira verso la sua avversaria, che le si è appena rivolta in un tono che nessuno ha più osato rivolgerle dopo le elezioni... anzi, a pensarci bene, nemmeno prima. «Come ha detto?»

«Ha sentito benissimo.» A quanto pare, Carolyn ha deciso di rinunciare alla diplomazia. «Il presidente vuole che lei resti nel centro operativo.»

«Ora mi ascolti bene lei, lacché che non sa nemmeno com’è fatto un voto. Io prendo ordini soltanto dal presidente. Finché non parlerò con lui, sarò nel mio ufficio nella West Wing.»

Esce nel corridoio, e Peter Evian, il suo capo di gabinetto, solleva lo sguardo dal cellulare. «Che succede?» le chiede accelerando per tenere il passo.

«Te lo dico io che succede. Non ho nessuna intenzione di affondare insieme al resto della nave.»

Il presidente è scomparso
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