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Torno nella war room, dove i tecnici continuano a spremersi le meningi. Le facce relativamente giovani, gli occhi stanchi e arrossati e la gestualità frenetica li fanno sembrare più un gruppo di studenti la sera prima dell’esame che una squadra di esperti di cybersecurity che cerca di salvare il mondo.
«Fermi. Fermatevi tutti.»
La stanza ammutolisce. Tutti gli occhi mi fissano.
«È possibile che voi siate troppo intelligenti?»
«Troppo intelligenti, signore?»
«Sì. È possibile che siate tutti talmente bravi che, alle prese con un virus così sofisticato, non avete pensato a una soluzione semplice? Che a forza di spaccare il capello in quattro non sappiate più riconoscerlo, il capello?»
Casey si guarda intorno, gesticola. «A questo punto, sono aperta a...»
«Fatemi vedere. Voglio vederlo.»
«Ma cosa, il virus?»
«Sì, Casey, il virus. Sai, quello che sta per distruggere il nostro Paese.»
Non ce la fanno più, sono nervosi, esausti, un’atmosfera di disperazione permea la stanza.
«Mi scusi, signore.» Casey abbassa la testa e si china a battere sulla tastiera. «Userò la lavagna», dice e all’improvviso io mi rendo conto che il rettangolo bianco è una specie di touchscreen gigante.
Guardo la lavagna e a un tratto compare una lunga lista di file.
Casey scrolla e clicca su uno. «Eccolo. Questo è il virus.»
Lo guardo, senza parole:
Suliman.exe
«Quant’è modesto.» L’ha chiamato con il suo nome. «È questo il file che non siamo riusciti a scovare per due settimane?»
«Signore, era introvabile», risponde Casey. «Nina l’aveva programmato in modo che bypassasse il logging e... insomma, in sostanza scompariva appena provavamo a cercarlo.»
Scuoto la testa. «Quindi potete aprirlo come un file normale? Si apre?»
«Sì, anche se ci abbiamo messo un bel po’ a capire come fare.» Digita rapida sulla tastiera e all’improvviso il virus sboccia sulla lavagna.
Non so cosa mi aspettassi. Magari un mostriciattolo verdognolo pronto a divorare i nostri dati uno per uno come una sorta di Pac-Man demoniaco.
Invece è solo una mezza paginetta incomprensibile. Sei righe di simboli e lettere – e commerciali, cancelletti, lettere maiuscole e minuscole, numeri e segni d’interpunzione – che non assomigliano alle parole di nessuna lingua.
«È una specie di messaggio cifrato di cui bisogna trovare la chiave?»
«No», risponde Augie. «È offuscato. Nina aveva offuscato il codice per fare in modo che non si potesse leggerlo, che non si potesse fare ingegneria inversa. L’obiettivo era renderlo illegibile.»
«Ma voi siete riusciti a ricrearlo, no?»
«In parte, sì», dice Augie. «In questa stanza c’è gente bravissima, ma non possiamo essere sicuri di aver ricostruito tutto. E il meccanismo a orologeria non siamo riusciti a riprodurlo affatto.»
Sospiro, mi metto le mani sulle ginocchia, lascio cadere il mento sul petto. «Ok, quindi non sappiamo come disattivarlo. O ucciderlo. Insomma, ci siamo capiti.»
«Esatto», dice Casey. «Appena cerchiamo di disattivarlo o rimuoverlo, il virus si attiva.»
«Cosa vuol dire che si attiva? Che cancella tutti i dati?»
«Sovrascrive tutti i dati, in modo che poi non possano essere ripristinati.»
«Quindi è come eliminare un file e poi svuotare il cestino, come facevo sul mio Macintosh negli anni ’90?»
Lei storce il naso. «No, l’eliminazione è una cosa diversa. Quando si elimina qualcosa, viene contrassegnato come ’eliminato’, è inattivo e diventa uno spazio non assegnato che può essere rimpiazzato quando la memoria è piena, cioè al massimo della sua capacità...»
«Santo cielo, Casey, si può sapere cosa stai dicendo?»
Lei spinge indietro gli occhiali. «Non è particolarmente importante, signore. In sostanza, quando l’utente elimina un file, questo file non scompare subito e per sempre. Il computer lo contrassegna come ’eliminato’, in modo che il suo spazio nella memoria si liberi, e il file sparisce dai file attivi. Ma un esperto può ripristinarlo. Il nostro wiper virus invece fa un’altra cosa: sovrascrive i dati, e questa è un’operazione irreversibile.»
«Fammi vedere. Voglio vedere il virus che sovrascrive i dati.»
«Ok. Abbiamo preparato una simulazione, in caso volesse dare un’occhiata.» Casey batte sulla tastiera, apre e chiude finestre così in fretta che non riesco nemmeno a intuire cosa stia facendo. «Questo è un file preso a caso da questo portatile. Vede, lì? Tutte quelle righe, che sono le proprietà del file?»
Sulla lavagna, una finestra mostra una serie di righe, ognuna occupata da un numero o da una parola.
«Ora le mostro lo stesso file dopo la sovrascrittura.»
Sulla lavagna appare un’altra immagine.
Anche in questo caso, mi aspettavo uno spettacolo drammatico, ma ciò che vedo è decisamente insulso e trascurabile.
«È identico», dico. «Cambiano solo le ultime tre righe, che sono diventate degli zeri.»
«È quella la sovrascrittura. Lo zero. Non può più essere ricostruito.»
Una manciata di zeri. Gli Stati Uniti saranno trasformati in un Paese del Terzo mondo da una manciata di zeri.
«Fammi vedere di nuovo il virus.»
Lei preme un tasto e sulla lavagna ritorna la sequenza incomprensibile di numeri, simboli e lettere.
«Perciò quando questa roba qui si attiva, tutto il resto scompare in un lampo?» chiedo schioccando le dita.
«Non proprio», risponde Casey. «Alcuni wiper virus fanno come dice lei, questo invece procede un file per volta. È piuttosto veloce, ma non lo definirei un lampo. È la stessa differenza che c’è tra morire d’infarto e morire lentamente di cancro.»
«Perciò quanto tempo ci mette?»
«Non saprei di preciso, una ventina di minuti.»
Trova una via d’uscita.
«Quel coso contiene anche una specie di meccanismo a orologeria?»
«Potrebbe, sì, ma non ne siamo sicuri.»
«E se non ci fosse il timer, quale altra possibilità ci sarebbe?»
«Potrebbe essere in attesa di un comando di esecuzione. Magari i virus che infettano i vari dispositivi sono tutti in comunicazione tra loro e, quando uno attiva un comando di esecuzione, contemporaneamente lo faranno tutti gli altri.»
Guardo Augie. «È così?»
Lui scrolla le spalle. «Non lo so. Mi dispiace, Nina non me l’ha mai spiegato.»
«E se giocassimo con il tempo? Non potremmo cambiare ora e data del computer impostandolo su un anno diverso? Se il virus è impostato per attivarsi oggi, non possiamo tornare indietro di un secolo? Così resterebbe dormiente per altri cent’anni, no? Voglio dire, il virus come fa a sapere che giorno è se tariamo diversamente l’orologio del computer?»
Augie scuote la testa. «Nina non l’avrebbe mai tarato su data e ora del computer infettato. È un metodo troppo impreciso, oltre che troppo facile da manipolare. Delle due l’una: o il virus si innesca a comando, o ha un suo timer specifico. Nina deve aver calcolato quanti secondi mancavano alla data e all’ora desiderate e ha programmato il virus in maniera tale da attivarsi al termine del conto alla rovescia.»
«E avrebbe fatto tutto questo tre anni fa?»
«Sì, signor presidente. In fondo è una semplice moltiplicazione. Certo, si tratta di migliaia di miliardi di secondi, ma è solo un calcolo matematico.»
Sospiro, affranto. «Se non si può manipolare il timer, come avete fatto voi ad attivare il virus?»
«Si è attivato da solo ogni volta che abbiamo provato a rimuoverlo o a disabilitarlo», spiega Devin. «Ha una specie di innesco automatico, come un sensore che riconosce qualsiasi attività ostile.»
«Senza dubbio Nina non si aspettava che qualcuno lo scoprisse», dice Augie. «E su questo aveva ragione. Nessuno l’avrebbe mai scoperto. Per sicurezza, però, ha installato questo innesco.»
Cammino avanti e indietro per la stanza. «Va bene. Ora ascoltatemi: dobbiamo pensare al quadro d’insieme, ma allo stesso tempo bisogna pensare in modo semplice.»
Tutti annuiscono, concentrati, quasi le loro menti subissero una sterzata improvvisa. È gente abituata ad analizzare tutto nel dettaglio, a spremersi troppo le meningi, a confrontarsi con altri esperti del settore.
«E se... provassimo a mettere il virus in quarantena? A chiuderlo in una scatola da cui non può uscire?»
Augie comincia a scuotere la testa ancora prima che io finisca di parlare. «Sovrascriverà comunque tutti i file attivi. Nessuna ’scatola’ potrebbe farci niente.»
«Mi creda, ci abbiamo provato», dice Casey. «Abbiamo tentato con varie versioni di quest’idea, ma non si riesce a isolare il virus dal resto dei file.»
«E se... disconnettessimo da Internet tutti i dispostivi?»
Lei inclina la testa. «Forse. È possibile che questo sia un sistema di distribuzione, nel senso che i virus comunicano da un dispositivo all’altro, come dicevamo, e che uno di loro invierà un comando di esecuzione agli altri. Può darsi che sia stato impostato così. In questo caso, allora sì, se disconnettessimo tutti i dispositivi da Internet, quel comando di esecuzione non sarebbe ricevuto da nessuno e il wiper virus non potrebbe attivarsi.»
«Ok, quindi...» Mi chino in avanti.
«Signore, se disconnettiamo tutto da Internet... be’, disconnettiamo tutto. Se ordiniamo lo spegnimento a tutti gli Internet provider del Paese...»
«Tutto ciò che si basa su Internet non funzionerebbe più.»
«Faremmo il lavoro al posto loro, signore.»
«E lo faremmo senza nemmeno sapere se serve davvero a qualcosa», spiega Devin. «A quanto ne sappiamo, ogni virus potrebbe avere il suo timer interno, indipendente da Internet. I singoli virus potrebbero non comunicare affatto tra loro. Semplicemente, non lo sappiamo.»
«D’accordo.» Mi sfrego le mani. «Andiamo avanti. Continuiamo a pensare... Che succede quando il wiper virus finisce di cancellare tutto?»
Devin allarga le braccia. «Quando ha finito, il computer è da buttare. Una volta che i file del sistema operativo sono stati sovrascritti, il computer va in crash e non può più essere ripristinato.»
«E al virus invece cosa succede?»
Casey scrolla le spalle. «Cosa succede a una cellula tumorale quando il corpo che la ospita muore?»
«Mi state dicendo che, quando muore il computer, muore anche il virus?»
«Be’...» Casey sposta lo sguardo da Devin a Augie. «Tutto muore.»
«E se il computer va in crash ma voi reinstallate il sistema operativo e ripristinate tutto? Il virus sarebbe di nuovo lì o sarebbe morto? O dormiente?»
Devin ci pensa un attimo. «Non cambierebbe nulla, signore. I file sarebbero stati comunque sovrascritti, andando perduti per sempre.»
«E... immagino che non possiamo spegnere per un po’ tutti i computer e aspettare che passi la tempesta, giusto?»
«No, signore, non possiamo.»
Faccio un passo indietro e li guardo uno a uno: Devin, Casey, Augie. «Rimettetevi al lavoro, ragazzi. Siate creativi. Ribaltate le prospettive. Trovate una via d’uscita.»
Esco di corsa dalla sala, e per poco non vado a sbattere contro Alex. Torno nella sala comunicazioni.
Sarà la mia ultima spiaggia. Il mio ultimo tentativo disperato.