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Augie mi precede verso lo stesso cancello da cui sono entrato. Come da istruzioni, tengo il cellulare in mano. Alle prime gocce qualcuno ha già rinunciato alla partita, ma la maggior parte degli oltre trentamila spettatori è ancora fiduciosa, quindi non c’è un fiume di folla in cui confonderci. Peccato, mi sarei sentito più al sicuro, ma non sono io a decidere.
La compostezza e l’arroganza di Augie sono evaporate. A mano a mano che ci avviciniamo all’uscita, e dunque anche alla prossima mossa, qualunque essa sia, lui dà segnali di nervosismo e si torce le mani. Poi tira fuori il telefono, forse per vedere l’ora o per controllare se gli è arrivato un messaggio, ma copre lo schermo per impedirmi di leggere.
Attraversiamo il cancello. Prima di uscire allo scoperto, lui si ferma. Siamo già fuori, su Capitol Street, ma ancora sotto la copertura dello stadio. Significa che uscire è un fattore importante. Stare in mezzo alla folla lo fa sentire più al sicuro.
Mentre guardo il cielo, ormai completamente buio, una goccia mi scivola sulla guancia.
Augie fa un respiro profondo, poi annuisce. «Adesso.» Comincia ad avanzare e raggiunge la strada.
Non siamo gli unici passanti, ma in giro c’è poca gente. Alla nostra destra, verso nord, c’è un grosso camion parcheggiato sul marciapiede. Un paio di uomini con la divisa da netturbini stanno fumando sotto un lampione.
A sud, invece, sul marciapiede alla nostra sinistra, c’è un’auto della polizia metropolitana, ma senza nessuno a bordo.
Subito dietro c’è un furgone, distante meno di dieci metri da noi.
Ho l’impressione che Augie guardi in quella direzione, forse sta scambiando un’occhiata con chi è alla guida. Mi concentro. È difficile riconoscere qualcuno da quella distanza, ma il volto spigoloso e la linea delle spalle mi sembrano inequivocabili. È la partner di Augie, la ragazza con la maglietta di Princeton. Nina.
In risposta, il furgone fa lampeggiare due volte gli abbaglianti, poi spegne del tutto i fari.
Subito gli occhi di Augie scattano verso il cellulare, il cui schermo si accende in risposta al suo digitare concitato.
Per un attimo, rimane fermo e nell’aria percepisco un senso di attesa.
Dev’essere un segnale. Sta per succedere qualcosa.
Ed è questo il mio ultimo pensiero prima che tutto diventi buio.