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Il vice presidente Katherine Brandt resta in silenzio sulla sua sedia, gli occhi bassi, la mente concentrata su quello che ha appena sentito. Sullo schermo del computer, nonostante la bassa qualità dell’immagine che ogni tanto si sfoca, Kathy ha l’aria di avere da poco partecipato al programma Meet the Press, con il viso pesantemente truccato, la camicetta bianca e il completo rosso.
«È quasi...» Alza lo sguardo su di me.
«Incomprensibile», dico. «Sì. È peggio di quanto immaginassimo. Siamo riusciti a mettere in sicurezza l’apparato militare, ma altri settori del governo federale, e il settore privato... rischiano di subire danni incalcolabili.»
«Quindi Los Angeles... è solo un diversivo.»
«Secondo me, sì. È un piano intelligente: vogliono farci mandare tutti i nostri informatici dall’altra parte del Paese a risolvere il problema all’impianto di trattamento delle acque, così, quando il virus si attiverà, noi resteremo isolati. Nessuna connessione Internet, né telefoni, treni o aerei. A Los Angeles i nostri esperti migliori sarebbero tagliati fuori, a migliaia di chilometri di distanza dalla capitale.»
«E fino a poco fa io non avevo idea di cosa stesse per succedere al nostro Paese, o di cosa sta cercando di fare, anche se sono il vice presidente degli Stati Uniti. E questo perché lei non si fida di me. Sono una delle sei persone di cui non si fida.»
L’immagine non è abbastanza nitida da consentirmi una lettura attenta della sua mimica facciale. In ogni caso non dev’essere il massimo scoprire che il tuo diretto superiore, nonché vertice assoluto dell’istituzione di cui fai parte, ti ritiene una possibile traditrice.
«Signor presidente, crede davvero che farei una cosa del genere?»
«Kathy, non me lo sarei mai aspettato da nessuno di voi. Ma qualcuno fra te, Sam, Brendan, Rod, Dominick o Erica... insomma, uno di voi sei dev’essere stato.»
I fatti parlano chiaro. Sam Haber, segretario alla Sicurezza interna; Brendan Mohan, consigliere per la sicurezza nazionale; Rodrigo Sanchez, capo di Stato maggiore; Dominick Dayton, segretario alla Difesa; Erica Beatty, direttore della Cia; e infine il vice presidente. Sono loro i miei sei sospettati.
Katherine Brandt rimane in silenzio, non distratta ma anzi fin troppo concentrata per parlare.
Entra Alex e mi passa un foglietto scritto da Devin. Non è una buona notizia.
Quando torno a guardare Kathy, vedo che sta per dirmi qualcosa e intuisco subito di cosa si tratta.
«Signor presidente, se non ho la sua piena fiducia, l’unica cosa che io possa fare è rassegnare le mie dimissioni.»