42.



Elisabeth e Canfield passarono tre giorni e tre notti chiusi nelle loro stanze all'Hotel D'Accord. Solo una volta lui era uscito - e aveva notato due uomini che lo seguivano. Ma essi non avevano cercato di prenderlo, tanto che gli era venuto in mente che loro lo consideravano così secondario rispetto al bersaglio principale, Elisabeth, da non osare correre il rischio di richiamare la polizia di Ginevra, che si diceva fosse estremamente combattiva e ostile verso coloro che sconvolgevano il delicato equilibrio di quella città neutrale. L'esperienza gli insegnava che il momento in cui lui ed Elisabeth fossero comparsi assieme poteva aspettarsi un attacco non meno efferato di quello che avevano subito alla stazione di Ginevra. Avrebbe voluto avvertire Ben Reynolds. Ma non poteva, e lo sapeva. Gli avevano ordinato di stare alla larga dalla Svizzera. Lui aveva omesso nei suoi rapporti ogni informazione fondamentale. A questo aveva provveduto Elisabeth. Il Gruppo Venti non sapeva pressoché niente sulla situazione contingente e sui moventi di coloro che erano implicati. Se avesse spedito una richiesta urgente d'aiuto, avrebbe dovuto spiegare, almeno in parte, come stavano le cose, e avrebbe così provocato l'immediata interferenza dell'ambasciata. Reynolds non avrebbe seguito i metodi legali. L'avrebbe fatto prendere con la forza e segregato.

I risultati erano prevedibili. Con lui fuori gioco, Elisabeth non avrebbe avuto una sola possibilità di raggiungere Zurigo. Sarebbe stata uccisa a Ginevra da Scarlett. E il secondo obiettivo sarebbe stata Janet a Londra. La ragazza non poteva restare al Savoy indefinitamente. Derek non poteva mantenere per sempre le sue misure di sicurezza. Prima o poi o lei doveva partire, o Derek avrebbe finito per essere esasperato e negligente. Anche lei sarebbe stata uccisa. Infine, c'erano Chancellor Drew, sua moglie e i sette bambini. Tutti avrebbero avuto mille validi motivi per lasciare il remoto rifugio canadese. Li avrebbero massacrati. Ulster Stewart Scarlett avrebbe vinto.

Al pensiero di Scarlett, Canfield riuscì a richiamare tutta la rabbia che gli restava. Bastava quasi a controbilanciare la sua paura e la sua depressione. Quasi.

Entrò nel soggiorno che Elisabeth aveva trasformato in ufficio.

La donna stava scrivendo, seduta al tavolo centrale.

«Si ricorda la governante di suo figlio?» disse.

Elisabeth posò la penna. Fu un gesto di momentanea cortesia, non di preoccupazione. «L'ho vista quelle poche volte che sono andata a casa sua, si.»

«Da dove veniva?»

«Se ben ricordo, Ulster l'aveva portata dall'Europa. Gestiva un casino da caccia nel Sud della Germania.» Elisabeth alzò lo sguardo sull'ispettore contabile. «Perché me lo chiede?» Anni dopo Canfield avrebbe riflettuto che era stata proprio la sua difficoltà di trovare le parole per dire a Elisabeth della presenza di Hannah a Ginevra a fargli fare quello che aveva fatto. Cioè muoversi da un posto a un altro in quel preciso istante, andare dal punto dov'era Elisabeth alla finestra. Avrebbe conservato quel ricordo per tutta la vita.

Sentì il fragore del vetro che andava in frantumi e un dolore acuto, terribile alla spalla sinistra. In realtà il dolore sembrò venire prima. Il colpo fu così forte che Canfield girò vorticosamente piombando sul tavolo, facendo volare le carte e fracassare al suolo la lampada. Seguirono un secondo e un terzo sparo che scheggiarono il legno vicino al suo corpo, e Canfield, preso dal panico, balzò da un lato, investendo Elisabeth e facendola cadere a terra. Il dolore alla spalla era insostenibile, e un'enorme macchia di sangue gli inzuppava la camicia.

Tutto era finito in una manciata di secondi.

Elisabeth era accucciata contro la parete. Era al tempo stesso terrorizzata e piena di gratitudine. Guardò Canfield steso a terra di fronte a lei che cercava di stringersi la spalla. Era convinta che si fosse gettato su di lei per proteggerla dalle pallottole. E lui non la corresse mai.

«È ferito gravemente?»

«Non sono sicuro... Fa un male d'inferno... Non sono mai stato colpito prima d'ora. Non mi hanno mai sparato prima...» Aveva difficoltà a parlare. Elisabeth fece per andare verso di lui. «Per Dio! Stia ferma dov'è!» Guardò in su e vide che era fuori dalla linea visuale della finestra. Tutti e due lo erano. «Senta, riesce a prendere il telefono? Strisci sul pavimento. Stia giù! Credo di aver bisogno di un medico... Un medico.» E svenne.

Trenta minuti più tardi Canfield si risvegliò. Era nel suo letto, con tutta la parte superiore sinistra del torace chiusa in una scomoda fasciatura. Riusciva a malapena a muoversi. Poteva vedere, in modo confuso, per la verità, alcune figure attorno a lui. Appena i suoi occhi cominciarono a mettere a fuoco le immagini, scorse Elisabeth in fondo al letto che lo guardava. Alla sua destra c'era un individuo in soprabito, dietro di lui un poliziotto in uniforme. Chino su di lui, a sinistra, c'era un uomo stempiato dalla faccia severa in maniche di camicia, evidentemente un medico, che gli parlò. Aveva l'accento francese.

«Muova la mano sinistra, per favore.» Canfield obbedì.

«I piedi, per favore.» Obbedì di nuovo.

«Può girare la testa?»

«Cosa? Da che parte?»

«Muova la testa avanti e indietro. Non cerchi di fare dello spirito.» Elisabeth era forse la persona più serena che ci fosse nel raggio di venti miglia dall'Hotel D'Accord. Sorrise persino.

Canfield fece oscillare la testa avanti e indietro.

«Lei non è ferito gravemente.» Il dottore si drizzò.

«Ha l'aria delusa» ribatté Canfield.

«Posso fargli delle domande, Herr Doctorl» disse lo svizzero vicino a Elisabeth.

Il dottore rispose nel suo inglese stentato. «Si. La pallottola l'ha trapassato.» Canfield era perplesso sulla natura dei rapporti fra quei due, ma non ebbe tempo di pensarci. Elisabeth parlò.

«Ho spiegato a questo signore che lei mi sta semplicemente accompagnando nel mio viaggio di affari. E che siamo assolutamente sconcertati da quanto è successo.»

«Gradirei che quest'uomo rispondesse personalmente, madame.»

«Che mi venga un accidente se posso dirle qualcosa, signor...» E poi Canfield s'arrestò. Non serviva a niente fare il finto tonto. Avrebbe avuto bisogno d'aiuto. «Pensandoci meglio, forse posso.» Guardò in direzione del medico, che si stava infilando la giacca.

Lo svizzero capì.

«Benissimo. Aspetteremo.»

«Signor Canfield, cos'altro potrebbe aggiungere?»

«Il passaggio a Zurigo.» Elisabeth comprese.

Il dottore se ne andò e Canfield scoprì che poteva sdraiarsi sul fianco destro. Il Geheimpolizist svizzero girò attorno al letto per mettersi più vicino a lui.

«Si sieda, signore» disse Canfield mentre l'uomo prendeva una sedia. «Quello che sto per dirle sembrerà assurdo a una persona come lei e come me che deve lavorare per vivere.» S'interruppe e ammiccò. «E una faccenda privata -niente che possa danneggiare qualcuno al di fuori della famiglia, affari di famiglia, ma lei può essere d'aiuto... Il suo uomo parla inglese?» Lo svizzero diede una rapida occhiata al poliziotto in uniforme. «No, monsieur.»

«Bene. Come dicevo, lei può essere d'aiuto. Sia alla fama di pulizia della sua bella città... sia a sé stesso.» Il Geheimpolizist svizzero tirò più vicino la sedia. Era felice.

Arrivò il pomeriggio. Avevano fissato il treno che partiva alle quattro e telefonato in anticipo per prenotare una limousine e un autista. I biglietti erano stati comprati dall'albergo, che aveva insistito sul nome di Scarlatti onde riservare un trattamento di favore e la migliore sistemazione disponibile per il breve viaggio a Zurigo. Il bagaglio fu mandato da basso un'ora prima e depositato vicino all'ingresso principale. Le etichette erano chiaramente leggibili, gli scompartimenti del treno specificati, ed era segnato persino il servizio di limousine per i facchini di Zurigo. Canfield calcolò che anche un idiota era in grado di capire, se lo voleva, qual era l'itinerario di Elisabeth Scarlatti.

La corsa dall'albergo alla stazione era di circa dodici minuti. Una mezz'ora prima della partenza del treno per Zurigo, una donna anziana, con un pesante velo nero, accompagnata da un uomo dall'aspetto giovanile con un feltro nuovo di zecca e il braccio sinistro avvolto in una fascia bianca, salì su una limousine. La coppia era scortata da due membri della polizia di Ginevra, che tenevano la destra sulla pistola.

Non si verificarono incidenti, e i due viaggiatori si precipitarono nella stazione e salirono immediatamente sul treno.

Appena il treno lasciò il marciapiede di Ginevra, un'altra donna anziana, accompagnata da un giovanotto, anche questo con un cappello in testa, ma dei Brooks Brothers, e con un braccio fasciato, ma nascosto da un soprabito, lasciò l'Hotel D'Accord dall'entrata di servizio. La donna anziana indossava l'uniforme di colonnello della Croce Rossa, corpo femminile, completa di berretto. L'uomo al volante della macchina che li aspettava era anche lui un membro della Croce Rossa internazionale. I due salirono in gran fretta sui sedili posteriori, e il giovanotto chiuse la portiera, poi tolse immediatamente il cellophane che avvolgeva un sigarino e disse al guidatore: «Andiamo.» Mentre la macchina usciva a tutta velocità dallo stretto viale d'accesso, la vecchia donna disse con aria di riprovazione: «Ma insomma, signor Canfield... Deve proprio fumare una di quelle orrende cose?»

«È stabilito dalla Convenzione di Ginevra, signora. Ai prigionieri è consentito ricevere pacchi da casa.»



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