7.
Ulster Stewart Scarlett scese dal taxi all'angolo tra la Quinta e la Cinquantaquattresima e fece a piedi il breve tratto fino alla sua elegante casa. Salì di corsa gli scalini che portavano al pesante portone ed entrò. Sbatté la porta e si fermò un istante nell'immenso ingresso, pestando i piedi per scacciare il freddo di febbraio. Buttò il cappotto su una sedia del corridoio, poi, attraverso un paio di porte a vetri, entrò in uno spazioso soggiorno e accese una lampada su un tavolo... Erano solo le quattro del pomeriggio, ma si stava già facendo buio.
Dal tavolo andò al caminetto dall'altra parte della stanza e notò con soddisfazione che i domestici avevano sistemato bene i ceppi e i legnetti. Accese il fuoco e guardò le fiamme divampare in ogni angolo del caminetto. S'afferrò con la mano alla mensola e si protese in avanti verso il calore della fiamma. I suoi occhi erano all'altezza della sua citazione per la Medaglia d'Argento che spiccava, in una cornice d'oro, al centro della parete. Prese mentalmente nota che doveva completare l'esposizione sopra il caminetto. Presto sarebbe venuto il momento in cui quegli oggetti dovevano essere bene in vista.
Un memento per tutti quelli che entravano in quella casa.
Fu una diversione momentanea. I suoi pensieri tornarono alla fonte della sua rabbia. Della sua furia.
Stupida, maledetta, ottusa gentaglia!
Idiozie! Scemenze!
Quattro marinai della Genoa-Stella uccisi. Il corpo del capitano trovato in un barcone abbandonato del porto.
Con quella poteva andargli liscia. Poteva andargli liscia con la ribellione dell'equipaggio. I dock erano violenti.
Ma non col corpo di La Tona agganciato a un palo trasversale sulla superficie dell'acqua a cinquanta metri dalla nave. La nave da carico che introduce merce di contrabbando.
La Tona!
Chi l'aveva ucciso? Non quella guardia della dogana, lenta di lingua e di cervello... Cristo, no! La Tona gli avrebbe mangiato le palle e le avrebbe risputate ridendo! La Tona era un feroce assassino. La peggior specie di bestia omicida.
La cosa avrebbe fatto rumore. Molto rumore. E non c'era corruzione che potesse fermarla. Cinque omicidi al molo trentasette in una sola notte.
E da La Tona si sarebbe risaliti a Vitone. Il piccolo Don Vitone Genovese. Quello sporco bastardello, pensò Scarlett.
Bene, era venuto il momento di chiudere.
Aveva avuto quello che voleva. Più di quello che gli serviva. Strasser sarebbe rimasto sbalordito. Tutti sarebbero rimasti sbalorditi.
Ulster Scarlett si accese una sigaretta e andò verso una porticina sottile a sinistra del caminetto. Tirò fuori una chiave, aprì la porta ed entrò.
La stanza, come la porta, era piccola. Un tempo era stata una cantinetta; ora era un ufficio in miniatura con una scrivania, una sedia, e due pesanti schedari d'acciaio. Su ciascun cassetto degli schedari c'era una grossa serratura a combinazione circolare.
Scarlett accese la lampada della scrivania e andò al primo schedario. Si accucciò vicino all'ultimo cassetto, inserì i numeri della combinazione, e lo tirò fuori. Allungò la mano ed estrasse un quaderno molto grosso, ricoperto di pelle, che posò sulla scrivania. Si sedette e lo aprì.
Era il suo capolavoro, il prodotto di cinque anni di studi meticolosi.
Diede una scorsa alle pagine - delicatamente, esattamente inserite negli anelli, con cerchietti di stoffa attorno a ogni buco. Ogni voce era scritta in chiare lettere. Sotto ciascun nome c'era una breve descrizione, ove possibile, e un'ancora più breve biografia - posizione, finanze, famiglia, futuro - quando il candidato l'autorizzava.
Le pagine erano intestate e suddivise per città e per Stato. Degli indici-segnalibro di diverso colore scendevano dall'alto al basso del taccuino.
Un capolavoro!
La registrazione di ogni individuo - importante e non -che avesse beneficiato in qualunque modo dell'operato dell'organizzazione Scarlatti. Dai parlamentari che prendevano i soldi, puramente e semplicemente, ai suoi giannizzeri fino ai capi di grandi aziende che 'investivano' in speculazioni gravemente illecite, offerte - mai da Ulster Stewart Scarlett - dalle mani dei suoi mercenari. Tutto quello che ci aveva messo era il capitale. Il miele. E le api ci si erano precipitate a migliaia.
Politici, banchieri, avvocati, medici, architetti, scrittori, gangster, impiegati, poliziotti e ispettori doganali, vigili del fuoco, allibratori... la lista delle professioni e dei mestieri era infinita.
La legge Volstead era la spina dorsale della corruzione, ma c'erano altre imprese - tutte redditizie.
Prostituzione, aborti, petrolio, oro, campagne politiche e clientele; il mercato azionario, i locali clandestini, lo strozzinaggio... anche questa lista era infinita.
La gentucola avida di denaro non poteva mai abbandonare la sua cupidigia. Era la prova decisiva delle sue teorie!
La feccia arraffona!
Tutto documentato. Tutti identificati. Nulla lasciato alla supposizione.
Il suo taccuino di pelle conteneva 4.263 nomi. Ripartiti in ottantuno città e ventiquattro Stati... Dodici senatori, novantotto deputati, e tre uomini del gabinetto di Coolidge.
Una guida del crimine.
Ulster Stewart alzò la cornetta del telefono sulla scrivania e formò un numero.
«Mi dia Vitone... Lasci perdere chi parla! Non avrei questo numero se lui non fosse d'accordo!» Scarlett schiacciò la sigaretta nel portacenere. Scarabocchiò delle linee su un blocchetto mentre aspettava Genovese. Sorrise vedendo che le linee convergevano - come coltelli - verso un punto centrale... No, non come coltelli. Come dei fulmini.
«Vitone? Sono io... Si, lo so... Non c'è molto che possiamo fare, giusto? Se ti interrogano, raccontagli che eri a Westchester. Non sai dove diavolo fosse La Tona... Comunque tienimi fuori! Capito? Non fare il furbo... Ho una proposta da farti. Ti piacerà. Ne vale senz'altro la pena per te... E tutto tuo. Tutto! Fa' tutti gli affari che vuoi. Io sono fuori!» Ci fu un silenzio all'altro capo della linea. Ulster Scarlett disegnò la sagoma di un albero di Natale sul blocchetto degli appunti.
«Niente inghippi, niente trucchi. E tuo. Non voglio niente! Voglio solo uscirne. Se non t'interessa, posso chiedere altrove, diciamo al Bronx o anche a Detroit. Non chiedo un soldo... Solo questo. Solo una cosa. Tu non mi hai mai visto. Non mi hai mai conosciuto. Non sai che esisto! Questo è il prezzo.» Don Vitone Genovese cominciò a ciarlare in italiano mentre Scarlett teneva il ricevitore lontano dall'orecchio. L'unica parola che Scarlett capì veramente era il ripetuto: «Grazie, grazie, grazie!» Scarlett appese il ricevitore e chiuse il taccuino di pelle. Si sedette un momento e aprì il primo cassetto al centro della scrivania. Tirò fuori l'ultima lettera che aveva ricevuto da Gregor Strasser. La rilesse per la ventesima volta. O era la centoventesima?
Un piano audace... un piano straordinario... col marchese Jacques Louis Bertholde... Londra... Per la metà di aprile...
Era arrivato davvero il momento? Finalmente!
Se lo era, Heinrich Kroeger doveva avere il suo piano per Ulster Scarlett.
Non era tanto audace quanto rispettabile. Immensamente, totalmente rispettabile. Tanto per bene, in effetti, che Ulster Stewart Scarlett scoppiò a ridere.
Il rampollo di Scarlatti - l'affascinante, bellissimo laureato dei balli per debuttanti, l'eroe della Mosa-Argonne, lo scapolo più ambito della società newyorkese - si sarebbe sposato.
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