20.
Canfield arrivò alla sua cabina convinto che avrebbe dato di stomaco. Il movimento interminabile e ora violento della nave aveva prodotto i suoi effetti su di lui. Si domandò come mai la gente facesse dell'umorismo sul mal di mare. Lui non l'aveva mai trovato divertente.
Si buttò sul letto togliendosi solo le scarpe, e si rese conto, con un senso di gratitudine, che stava per addormentarsi. Erano ormai ventiquattr'ore che era sotto pressione, senza un attimo di respiro.
Poi cominciarono i colpi alla porta.
Dapprima leggeri. Così leggeri che Canfield si limitò a cambiare posizione. Poi sempre più forti e rapidi. Erano dei colpi secchi, come fossero prodotti da una sola nocca, e per questo motivo echeggiarono in tutta la cabina.
Canfield, ancora mezzo addormentato, gridò: «Che cosa c'è?».
«Penso che farebbe meglio ad aprire la porta, amico.»
«Chi è?» Canfield cercò di impedire che la stanza gli roteasse attorno.
Ricominciarono a bussare forte. «Santo cielo, va bene! Va bene!» Il contabile si mise in piedi a fatica e raggiunse barcollando la porta della cabina. Dovette faticare ancora una volta per aprire la serratura. La figura in uniforme di un radiotelegrafista balzò nella sua cabina.
Canfield mise insieme tutta la lucidità che potè e guardò l'uomo che ora stava appoggiato alla porta.
«Cosa diavolo vuole?»
«Mi ha detto di venire nella sua cabina, se c'era qualcosa per cui valesse la pena. Sa, per quello che le interessa tanto.»
«Allora?»
«Be', ecco, non si aspetterà che un marinaio inglese violi i regolamenti senza un valido motivo.»
«Quanto?»
«Dieci sacchi.»
«In nome del cielo, cosa sono dieci sacchi?»
«Cinquanta dollari per lei.»
«Accidenti, quant'è caro.»
«Li vale.»
«Venti.»
«Andiamo!» disse piagnucoloso il marinaio cockney.
«Trenta ed è fatta.» Canfield andò verso il suo letto.
«Venduto. Voglio il liquido.» Canfield estrasse il portafoglio e porse al radiotelegrafista tre biglietti da dieci dollari. «Allora, che cos'è che vale trenta dollari?»
«È stato beccato. Da madame Scarlatti.» E sparì.
Canfield si lavò con l'acqua fredda per svegliarsi e soppesò le varie alternative.
Era stato scoperto senza un alibi che avesse senso. A rigor di logica, ormai lui non serviva più. Avrebbero dovuto sostituirlo, e per questo ci sarebbe voluto tempo. Il minimo che poteva fare era mettere la donna su una falsa pista per quanto riguardava la sua provenienza.
Canfield avrebbe dato qualunque cosa perché Benjamin Reynolds fosse li a dargli qualche buon, vecchio, saggio consiglio. Poi si ricordò di qualcosa che Reynolds aveva detto a un altro agente contabile ch'era stato spietatamente smascherato: «Usa parte della verità. Vedi se serve. Trova una qualche ragione per quello che stai facendo.» Lasciò la sua cabina e salì le scale che portavano al ponte A.
Trovò l'appartamento di Elisabeth e bussò.
Charles Conaway Boothroyd, vicepresidente esecutivo della Godwin & Rawlins Securities perse i sensi crollando sul pavimento della sala di ritrovo.
Tre steward, due brilli partecipanti alla festa, sua moglie e un ufficiale di rotta di passaggio, riuscirono a trascinare fuori dalla sala il suo gigantesco corpo e a portarlo fino alla sua cabina. Ridendo, tolsero le scarpe e i pantaloni al biondo gigante e gli stesero sopra una coperta.
La signora Boothroyd tirò fuori due bottiglie di champagne e versò da bere ai soccorritori. Per sé riempi un bicchier d'acqua.
Gli steward e l'ufficiale della Calpurnia bevvero solo perché la signora Boothroyd aveva insistito moltissimo, e se ne andarono appena poterono. Non prima, però, che la donna gli avesse impresso bene in testa in quale stato di profonda incoscienza fosse caduto suo marito.
Rimasta sola con i due volontari, la signora Boothroyd fece in modo che finissero lo champagne. «Chi ha una cabina?» domandò.
Si scoprì che solo uno dei due uomini era scapolo; l'altro aveva la moglie su alla festa.
«Falle prendere una sbronza e continuiamo tra noi.» Lanciò la sfida a entrambi. «Voi ragazzi credete di potermi tenere a bada?» chiese la signora Boothroyd.
I ragazzi risposero come un sol uomo, scuotendo la testa come criceti che sentano l'odore di trucioli di cedro.
«Vi avverto. Alzerò le gonne per tutti e due, e ancora non mi basterete!» La signora Boothroyd ondeggiò leggermente aprendo la porta. «Dio! Spero che a voi due non secchi guardarvi a vicenda. A me piace da pazzi!» I due uomini andarono a sbattere uno contro l'altro per seguire la signora fuori della cabina.
«Puttana!» borbottò Charles Conaway Boothroyd.
Poi si tolse di dosso la coperta e si rimise i pantaloni; infilò la mano in un cassetto e tirò fuori una delle calze di sua moglie.
Come per allenarsi, si infilò sul viso la parte che corrisponde alla coscia, si alzò e si contemplò nello specchio. Fu soddisfatto di quello che vide. Si tolse la calza e aprì la valigia.
Sotto alcune camicie c'erano un paio di scarpe da tennis e una sottile corda elasticizzata lunga circa un metro.
Charles Conaway Boothroyd si allacciò le scarpe da tennis mentre la corda giaceva ai suoi piedi. Infilò sul suo robusto torace un maglione nero fatto a mano. Era un uomo felice.
Elisabeth Scarlatti era già a letto quando sentì bussare alla porta. Mise la mano nel cassetto del comodino e prese una piccola rivoltella.
Si alzò e andò alla porta che dava sulla stanza esterna. «Chi è?» domandò a voce alta.
«Matthew Canfield. Ci terrei molto a parlare con lei.» Elisabeth era confusa. Non se l'aspettava che venisse, ed esitò un istante a trovare le parole. «Sono sicura che lei ha bevuto un goccio di troppo, signor Canfield. È una cosa che non può attendere fino a domattina?» Non era convincente neppure alle proprie orecchie.
«Lei sa perfettamente che non sono ubriaco e che non si può aspettare. Credo che dovremo parlare ora.» Canfield contava sul vento e sul mare perché la sua voce risultasse velata. Contava anche sul fatto che doveva svolgere delle attività che gli avrebbero impedito di stare male, molto male.
Elisabeth si avvicinò alla porta. «Non riesco a immaginare una sola ragione per cui dovremmo parlare adesso. Spero che non sarà necessario chiamare la polizia di bordo.»
«Per amor di Dio, signora, vuole aprire questa porta? O devo essere io a chiamare la polizia spiegando che siamo tutti e due interessati a un tale che porta in giro per l'Europa delle obbligazioni che valgono milioni di dollari, nessuno dei quali, incidentalmente, finirà a me?»
«Che cosa ha detto?» Elisabeth era ormai vicino alla porta della cabina.
«Senta, madame Scarlatti,» Matthew unì le mani a coppa contro il legno della porta «se le mie informazioni sono pressappoco giuste, lei ha una rivoltella. Bene. Apra la porta, e se non ho le mani alzate sopra la testa e c'è qualcuno dietro di me, faccia fuoco! Posso essere più onesto di così?» Elisabeth aprì la porta e Canfield restò fermo. Solo il pensiero dell'imminente conversazione riusciva a impedire all'uomo di vomitare. Chiuse la porta ed Elisabeth Scarlatti vide quanto stava male. Come sempre, quella donna capì quale era l'ordine delle priorità in condizioni di emergenza.
«Usi la mia stanza da bagno, signor Canfield. E là... Si rimetta a posto e poi parleremo.» Charles Canoway Boothroyd ficcò due cuscini sotto la coperta del suo letto. Raccolse la corda e fulmineamente formò un cappio da lazo. Lo scricchiolio delle fibre era musica per le sue orecchie. Si mise in tasca la calza di seta della moglie e silenziosamente lasciò la cabina. Dal momento che era sul ponte A, a tribordo, doveva solo girare attorno al ponte di passeggio di prua per raggiungere la sua destinazione. Constatò quant'erano forti il rollio e il beccheggio della nave in quel mare infuriato e determinò rapidamente qual era il preciso momento del rollio laterale in cui un corpo umano avrebbe toccato l'acqua con il minimo rischio di interferenze strutturali. Boothroyd era indiscutibilmente un perfetto professionista. Presto avrebbero saputo quanto valeva.
Canfield uscì dalla toilette di Elisabeth Scarlatti sentendosi molto sollevato. Lei lo fissava da una poltrona distante qualche metro dall'altro lato del letto, puntandogli contro la pistola.
«Se mi siedo, metterà via quel maledetto aggeggio?»
«Probabilmente no. Ma si sieda e ne parleremo.» Canfield si sedette sul letto ruotando le gambe in modo da starle di fronte. La donna alzò il cane della sua rivoltella.
«Alla porta, lei ha parlato di una cosa, signor Canfield, che è il solo motivo per cui questa pistola non ha sparato. Le spiacerebbe continuare?»
«Si. La prima cosa che penso di dover dire è che io non sono...» Canfield raggelò.
Qualcuno stava aprendo la serratura della porta esterna. L'ispettore contabile tese la mano alla donna e questa gli passò immediatamente, istintivamente, la pistola.
Canfield le afferrò rapido la mano, e con una presa delicata ma salda la fece sedere sul letto. Lo sguardo nei suoi occhi le trasmise gli ordini ed Elisabeth obbedì.
La donna si stese sul letto, illuminata solo dalla lampada sul comodino, mentre Canfield arretrava nell'ombra dietro la porta aperta della camera da letto. Le fece segno di chiudere gli occhi, senza aspettarsi veramente che lei eseguisse. Invece Elisabeth obbedì e lasciò cadere la testa a sinistra; il giornale era a qualche centimetro dalla sua mano destra. Sembrava che si fosse addormentata mentre leggeva.
La porta della cabina fu rapidamente aperta e chiusa.
Canfield si appiattì contro la parete e strinse saldamente in mano la piccola pistola. Tra i due profili d'acciaio del bordo interno della porta c'era uno spazio di cinque centimetri attraverso cui Canfield poteva guardare fuori. Gli venne in mente che quello spazio aperto dava lo stesso vantaggio all'intruso, solo che lui era in ombra e per di più, sperava, inaspettato.
Poi il visitatore apparve, e Canfield si ritrovò a deglutire involontariamente, un po' per lo stupore, un po' per la paura.
L'uomo era enorme, di parecchi centimetri più alto di lui, con spalle e petto immensi. Aveva indosso un maglione nero e guanti neri, e tutta la testa era coperta da una stoffa traslucida velata, seta forse, che dava al gigante un aspetto soprannaturale, inumano, e cancellava completamente il suo viso.
L'intruso passò per la porta della camera da letto e si fermò ai piedi del letto a neanche un metro da Canfield.
Sembrava che stesse valutando la donna mentre tirava fuori una corda sottile dalla tasca dei pantaloni.
Poi si mosse verso il lato sinistro del letto, curvandosi in avanti.
Allora Canfield balzò vicino a lui, pestandogli la pistola sulla testa con tutta la forza che trovò. Quel colpo menato dall'alto in basso causò immediatamente una lacerazione della pelle, e un fiotto di sangue sgorgò attraverso la seta che copriva la testa. L'intruso cadde in avanti, frenò la caduta con le mani e rotolò su sé stesso fino a guardare in faccia Canfield. L'uomo restò allibito, ma solo per qualche secondo.
«Tu!» Non era un'esclamazione, ma un riconoscimento che non dava scampo. «Tu, figlio di puttana!» La memoria di Canfield corse indietro nella nebbia dei ricordi, sottraendo momenti ed episodi, ma niente, non aveva la più vaga idea di chi fosse quella gigantesca creatura. Che dovesse conoscerlo era evidente; che lui non lo riconoscesse era forse pericoloso.
Madame Scarlatti si rannicchiò contro la testiera del letto osservando la scena con paura ma senza panico. Piuttosto, era arrabbiata perché era una situazione che non poteva controllare in nessun modo. «Telefonerò alla polizia di bordo» disse piano.
«No!» Il tono di Canfield fu duro. «Non tocchi quel telefono! Per favore!»
«Lei deve essere pazzo, giovanotto!»
«Vuoi fare un patto, amico?» Anche la voce era vagamente familiare. Il contabile puntò la pistola sulla testa dell'uomo.
«Niente patti. Togliti quella maschera.» L'uomo alzò lentamente entrambe le braccia.
«No, bello! Una mano sola. Siediti sull'altra. Col palmo all'insù!»
«Furbo, il tipo.» L'intruso abbassò un braccio.
«Signor Canfield, devo proprio insistere! Quest'uomo ha fatto irruzione nella mia cabina. Molto probabilmente stava per derubarmi o uccidermi. Me, non lei! Devo telefonare alle autorità competenti!» Canfield non sapeva assolutamente cosa fare perché la vecchia signora capisse. Lui non era portato all'eroismo, e il pensiero di una protezione formale era allettante. Ma sarebbe stata una protezione, poi? E anche se lo fosse stata, quell'omaccione ai suoi piedi era l'unica connessione, o connessione possibile, che lui o chiunque altro del Gruppo Venti avesse con lo scomparso Ulster Scarlett. Canfield capì che se si fossero rivolti alla polizia di bordo, l'intruso sarebbe stato sacrificato semplicemente come ladro. Era possibile che lo fosse, ma Canfield ne dubitava fortemente.
Seduto ai piedi dell'ispettore contabile, il mascherato Charles Boothroyd pervenne alla stessa identica conclusione riguardo al suo futuro. La prospettiva del fallimento unito alla prigione incominciò a scatenargli un'incontrollabile disperazione.
Canfield parlò con tono calmo alla vecchia signora: «Vorrei farle notare che quest'uomo non ha fatto irruzione. Ha aperto la porta, il che fa supporre che qualcuno gli abbia dato una chiave».
«Esatto! Proprio così. Tu non vuoi fare nessuna sciocchezza, vero, amico? Facciamo un affare. Io ti pagherò cinquanta volte quello che prendi vendendo guanti da baseball! Che ne dici?» Canfield guardò con stupore l'uomo ai suoi piedi. Questa era una nota nuova e inquietante. Conoscevano la sua copertura? Ebbe un'improvvisa fitta allo stomaco rendendosi conto che potevano anche esserci due capri espiatori, in quella cabina.
«Togliti quella maledetta calza dalla testa!»
«Signor Canfield, migliaia di passeggeri hanno viaggiato su questa nave. Non sarebbe tanto difficile procurarsi una chiave. Devo insistere...» La mano destra dell'intruso afferrò di scatto il piede di Canfield, ma mentre veniva tirato in avanti, questi gli sparò alla spalla. Era un revolver di piccolo calibro, e lo sparo non fece molto rumore.
La mano dello sconosciuto mascherato si contrasse e rilasciò la caviglia di Canfield mentre con l'altra mano afferrava la spalla nel punto in cui s'era piantata la pallottola. Canfield s'alzò rapido e gli tirò un calcio con tutta la sua forza mirando alla testa. La punta della sua scarpa di vernice lo colpì di lato sul collo e lacerò la pelle sotto la maschera di seta. Eppure l'uomo si lanciò verso Canfield, placcandolo alla vita. Canfield sparò ancora; questa volta la pallottola entrò nel fianco dell'altro. Poi si schiacciò contro la parete della cabina mentre l'uomo cadeva in ginocchio, torcendosi dal dolore. La pallottola, penetrando in profondità, aveva squarciato l'osso e i tessuti muscolari.
Canfield si piegò per strappare via la maschera di seta, ormai zuppa di sangue, quando il colosso l'assalì fulmineo col braccio sinistro inchiodandolo di nuovo alla parete. Il contabile gli vibrò un colpo in testa con la pistola, cercando nello stesso tempo di smuovere quel braccio saldo come l'acciaio. Mentre lo tirava verso l'alto per il polso, il maglione nero si strappò scoprendo la manica di una camicia bianca. Sul polsino c'erano dei grossi gemelli a righe diagonali rosse e nere.
Un attimo dopo Canfield sospese il suo assalto, cercando di assimilare quella nuova informazione. L'uomo, insanguinato, ferito, grugniva per il dolore e la disperazione. Ma Canfield lo conosceva, ed era spaventosamente confuso. Mentre cercava di dare forza e fermezza alla sua mano destra, puntò attentamente la rivoltella sulla rotula dell'uomo. Non era facile: quel braccio possente lo schiacciava sopra l'inguine con la forza di un grosso pistone. Quando stava per sparare, l'intruso balzò verso l'alto inarcando la schiena e si scaraventò con tutta la sua mole contro di lui. Canfield tirò il grilletto, più per reazione che intenzionalmente. La pallottola perforò la parte superiore dello stomaco del suo avversario.
Charles Boothroyd cadde di nuovo.
Matthew Canfield guardò l'anziana donna che stava cercando di prendere il telefono sul comodino. Superò l'uomo con un balzo e le strappò di mano l'apparecchio. «Per favore! So quello che sto facendo!»
«Ne è sicuro?»
«Si. La prego! Mi creda!»
«Buon Dio! Attento!» Canfield girò su sé stesso rapidissimo, evitando per un pelo di farsi spezzare la spina dorsale da Boothroyd che, vacillante e ferito, aveva intrecciato le dita a formare una specie di mazza.
L'uomo si rovesciò in fondo al letto e rotolò giù. Canfield tirò via la donna e puntò la pistola contro l'aggressore.
«Non so come tu faccia, ma se non la smetti, il prossimo colpo ti arriverà dritto nella fronte. Parola di cecchino, amico!» Canfield si ricordò che era l'unico membro del gruppo di addestramento ad essere stato bocciato due volte di fila all'esame del corso di tiro al bersaglio con armi leggere.
Accasciato sul pavimento, con la vista offuscata dal dolore oltre che dalla seta intrisa di sangue che gli copriva la faccia, Charles Boothroyd capiva che non c'era quasi più nulla da fare. Il suo respiro era irregolare; il sangue gli colava nella trachea. C'era solo una speranza: arrivare alla sua cabina e trovare sua moglie. Lei avrebbe saputo cosa fare. Avrebbe pagato una fortuna al dottore della nave per guarirlo. E in qualche modo loro avrebbero capito. Nessuno poteva ricevere una punizione di quella portata e venire anche sospettato.
Con uno sforzo enorme, Boothroyd incominciò ad alzarsi. Borbottò frasi sconnesse mentre si sosteneva contro il materasso. «Non cercare di metterti in piedi, amico. Rispondi solo a una domanda» disse Canfield.
«Cosa? Cosa? Lascia perdere...»
«Dov'è Scarlett?» Canfield capiva di stare lottando contro il tempo. L'uomo sarebbe crollato da un momento all'altro.
«Non so...»
«E vivo?»
«Chi...»
«Lo sai benissimo chi! Scarlett! Suo figlio!» Chiamando a raccolta le sue estreme riserve di forza, Boothroyd compì ciò che era apparentemente impossibile. Afferrandosi al materasso, vacillò all'indietro come se stesse per crollare. I suoi movimenti fecero scivolare giù il pesante copriletto imbottito e allentare le coperte, e appena Canfield fece un passo avanti, Boothroyd sollevò improvvisamente il materasso dal letto e glielo buttò addosso. Come il materasso si drizzò in aria, Boothroyd gli si gettò contro con tutto il suo peso. Canfield sparò selvaggiamente nel soffitto mentre cadeva, assieme alla donna, per il violento urto. Boothroyd fece un ultimo sforzo e schiacciò i due tra la parete e il pavimento, lasciandosi proiettare indietro e rimettere in piedi dalla sua stessa spinta. Poi si voltò, e senza vedere quasi nulla, uscì barcollando dalla stanza. Appena raggiunse l'altra cabina, si tirò via la calza, aprì la porta e uscì precipitosamente.
Elisabeth Scarlatti si lamentava per il dolore, cercandosi a tastoni la caviglia. Canfield spinse via il materasso e, fattolo cadere a terra, cercò di aiutare l'anziana donna a rimettersi in piedi.
«Credo di essermi rotta la caviglia o qualche parte del piede.» Canfield voleva solo inseguire Boothroyd, ma non poteva lasciare la donna così. E poi, se l'avesse fatto, lei avrebbe ripreso immediatamente il telefono, e in quella circostanza non era proprio il caso. «La trasporterò a letto.»
«Per amor del cielo, prima rimetta a posto il materasso. Sono a pezzi!» Canfield era atrocemente indeciso, non sapendo se togliersi la cintura, legare le mani alla donna e correre dietro a Boothroyd, oppure eseguire le sue istruzioni. La prima ipotesi era assurda: Elisabeth avrebbe strillato come un'aquila. Perciò rimise a posto il materasso e la sollevò delicatamente, posandola sul letto.
«Fa male?»
«Tremendamente.» Elisabeth sussultò quando Canfield le sistemò i cuscini dietro la testa.
«Penso che farei meglio a chiamare il medico di bordo.» Con ciò, Canfield non fece una mossa verso il telefono. Cercava di trovare le parole per convincerla a lasciargli fare a modo suo.
«Per questo c'è ancora un mucchio di tempo. Lei vuole inseguire quell'uomo, vero?» Canfield la guardò con occhio severo: «Si.»
«Perché? Pensa che abbia qualcosa a che vedere con mio figlio?»
«Ogni secondo che spreco in spiegazioni diminuisce le possibilità che riusciremo mai a scoprirlo.»
«Come faccio a sapere che lei agirà nel mio interesse? Non ha voluto che chiamassi aiuto quando certamente ne avevamo bisogno. Ci ha fatto quasi ammazzare, per dire le cose come sono. Penso di meritare una spiegazione.»
«Ora non c'è tempo. La prego, si fidi di me.»
«Perché dovrei?» Canfield intravide la corda lasciata cadere da Boothroyd. «A parte altri motivi che sarebbe troppo lungo illustrarle, c'è che se io non fossi stato qui, quello l'avrebbe uccisa.» Indicò la sottile corda sul pavimento. «Se crede che quella dovesse servire a legarle le mani, mi ricordi di spiegarle i vantaggi dello strangolamento con una fune elastica rispetto a quello con una corda di tela. Da questa qui i suoi polsi avrebbero potuto liberarsi.» Raccolse la corda e la gettò davanti a lei. «Ma non la sua gola!» Elisabeth lo guardò attentamente. «Lei chi è? Per chi lavora?» Canfield ricordò qual era lo scopo della sua visita: dire parte della verità. Aveva deciso di raccontare che era stato assunto da una ditta privata che s'interessava ad Ulster Scarlett - una rivista o una pubblicazione di qualche tipo. Ma ora, date le circostanze, era chiaramente un'idea assurda. Boothroyd non era affatto un ladro; era un sicario. Qualcuno aveva deciso di eliminare Elisabeth. E lei non faceva parte di nessuna cospirazione. Canfield aveva bisogno di tutte le risorse di cui disponeva. «Sono un rappresentante del governo degli Stati Uniti.»
«Oh, mio Dio! Quell'idiota del senatore Brownlee! Non avevo idea!»
«Neanche lui, gliel'assicuro. Senza saperlo, ci ha messo in moto, ma niente di più.»
«E ora immagino che l'intera Washington stia giocando al detective e si guardi bene dall'informarmi!»
«Se ci sono dieci persone in tutta Washington che sanno della cosa, mi sorprenderei. Come va la sua caviglia?»
«Sopravviverà, come me, date le circostanze.»
«Se chiamo il dottore, inventerà qualche storia su una caduta? Mi dia tempo. È tutto quello che chiedo.»
«Farò qualcosa di meglio, signor Canfield. La lascerò andare, ora. Possiamo chiamare il dottore più tardi, se sarà necessario.» Elisabeth aprì il cassetto del comodino e gli porse la chiave della cabina.
Canfield s'avviò verso la porta.
«A una condizione.» La vecchia signora alzò la voce quel tanto che bastò a fermarlo.
«E cioè?»
«Che lei prenda nella dovuta considerazione una proposta che devo farle.» Canfield si voltò e la guardò con aria interrogativa. «Che genere di proposta?»
«Di lavorare per me.»
«Tornerò presto» disse l'ispettore contabile infilando di corsa la porta.
***