27.



«È fantastico!» strillò Janet sopra il frastuono delle voci al Claridge. «Dài, Matthew, non avere quell'aria seccata!»

«Non sono seccato. Solo che non ti sento.»

«Si che lo sei. Non ti è piaciuto. Lascia che mi diverta io.»

«Ma si, si. Vuoi ballare?»

«No. Tu detesti ballare. Voglio solo guardare.»

«E gratis. Guarda. C'è del buon whisky.»

«Cosa è buono?»

«Ho detto whisky.»

«No, grazie. Vedi? So essere brava. Sei a quota due più di me, sai.»

«Forse arriverò a sessanta più di te, se continua così.»

«Cosa, tesoro?»

«Ho detto che forse sarò a sessanta, quando usciremo di qui.»

«Oh, smettila. Divertiti!» Canfield guardò la ragazza davanti a lui e sentì ancora una volta un'ondata di gioia. Non c'era altra parola che gli venisse in mente. Janet era una delizia che lo riempiva di piacere, di calore. I suoi occhi avevano quell'immediatezza dell'impegno che solo un innamorato può riconoscere. Eppure Canfield cercò disperatamente di dissociare, di isolare, di oggettivare, e scoprì di non riuscirci.

«Ti amo moltissimo» disse.

Janet lo sentì attraverso la musica, le risate, il rumore di sottofondo.

«Lo so.» Janet lo guardò e i suoi occhi avevano un accenno di lacrime. «Ci amiamo. Non è straordinario?»

«Vuoi ballare, adesso?» La ragazza buttò leggermente all'indietro la testa. «Oh, Matthew! Mio caro, dolce Matthew. No, tesoro. Non sei obbligato a ballare.»

«Ma, guarda, ora ne ho voglia.» Le strinse la mano. «Balleremo da soli, noi due soli, più tardi.» Matthew Canfield decise che avrebbe avuto quella donna per il resto della sua vita.

Ma era un professionista, e i suoi pensieri si rivolsero per un momento alla vecchia signora rimasta al Savoy.

In quel momento Elisabeth Wyckham Scarlatti uscì dal letto e s'infilò una vestaglia. S'era messa a leggere il Manchester Guardian, e mentre voltava quelle pagine sottili, udì due secchi suoni metallici accompagnati da un rumore smorzato di movimenti che provenivano dal salotto. Sulle prime non si spaventò per quei rumori; aveva chiuso la porta d'ingresso col catenaccio e pensò che sua nuora stesse armeggiando con la chiave senza riuscire a entrare. Dopo tutto erano le due del mattino e la ragazza avrebbe dovuto essere già tornata. Elisabeth gridò: «Un attimo solo, mia cara. Arrivo.» Aveva lasciato accesa una lampada da tavolo e la frangia del paralume ondeggiò al suo passare producendo un tremolio di piccole ombre sul muro.

Arrivò alla porta e cominciò a togliere il catenaccio. Ma le venne in mente Canfield e si fermò un attimo. «Sei tu, vero, cara?» Non ci fu risposta.

Automaticamente Elisabeth fece scattare indietro il catenaccio. «Janet? Signor Canfield? Siete voi?» Silenzio.

La paura afferrò Elisabeth. Eppure aveva sentito qualcosa; l'età non aveva indebolito il suo udito.

Forse aveva confuso quel rumore secco con il poco familiare fruscio delle pagine leggere del giornale inglese. Non era un'idea tanto assurda, ma sebbene tentasse di crederci, non ci riuscì.

C'era qualcun altro nella stanza?

A quel pensiero sentì una fitta alla bocca dello stomaco.

Quando si voltò per tornare in camera da letto, vide che una delle grandi porte-finestre era parzialmente aperta, non più di due o tre dita, ma abbastanza perché le tende di seta ondeggiassero leggermente per la brezza che entrava.

Nella sua confusione, Elisabeth cercò di ricordare se l'aveva chiusa. Le pareva di si, ma era un gesto a cui non aveva fatto caso, dato che non aveva preso sul serio Canfield. Perché avrebbe dovuto? Erano a sette piani da terra.

Sicuramente non l'aveva chiusa. O se l'aveva fatto, non aveva assicurato il gancio, che forse era scivolato via. Niente di straordinario. Andò alla finestra e la chiuse con forza.

E poi lo sentì. «Ciao, mamma.» Dalle ombre in fondo alla stanza uscì un uomo alto, vestito di nero. Aveva la testa rasata e il viso abbronzatissimo.

Per alcuni secondi Elisabeth non lo riconobbe. La luce diffusa dell'unica lampada sul tavolo era debole, e la figura restò in fondo alla stanza. Appena s'abituò alla luce e all'oggetto del suo sguardo, capì perché quell'uomo le sembrava un estraneo. Il viso era cambiato. I lucenti capelli neri erano stati tagliati completamente; il naso era stato rimodellato, più piccolo e con le narici molto più distanti; le orecchie erano diverse, più attaccate alla testa; persino gli occhi - che un tempo avevano una caratteristica piega all'ingiù - quegli occhi erano spalancati, come se non avessero palpebre. C'erano delle macchie rossastre attorno alla bocca e sulla fronte. Non era una faccia. Era una maschera. Impressionante. Mostruosa. Ed era suo figlio.

«Ulster! Mio Dio!»

«Se adesso muori d'infarto, farai fare la figura dei cretini a parecchi killer superpagati.» L'anziana donna cercò di pensare, cercò con tutte le sue forze di resistere al panico. Strinse lo schienale d'una sedia finché le vene delle sue vecchie mani non parvero schizzarle fuori dalla pelle.

«Se sei venuto a uccidermi, mi resta ben poco da fare, ormai.»

«Ti interesserà sapere che l'uomo che ha ordinato di ucciderti tra poco sarà morto lui stesso. Era uno stupido.» Il figlio andò con passo tranquillo alla porta-finestra e controllò il saliscendi. Scrutò guardingo attraverso il vetro e parve soddisfatto. Sua madre notò che la grazia che aveva sempre caratterizzato il suo portamento era rimasta, ma ora non c'era più traccia di quella morbidezza, di quella delicata rilassatezza che un tempo rendevano la sua andatura aristocraticamente dinoccolata. Ora c'era un che di teso, di duro nei suoi movimenti, che era accentuato dalle mani, ricoperte da guanti neri aderentissimi, con le dita aperte e rigidamente incurvate.

Lentamente Elisabeth trovò le parole: «Perché sei venuto qui?»

«Per via della tua ostinata curiosità.» Ulster raggiunse rapidamente il telefono sul tavolo con la lampada accesa e toccò la forcella come per controllare che fosse salda. Tornò indietro, fermandosi a poco più di un metro da sua madre, e lo spettacolo del suo volto, ora chiaramente visibile, costrinse Elisabeth a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, Ulster si stava strofinando il sopracciglio destro, che era un po' infiammato. Egli osservò l'espressione sofferente della madre.

«Le cicatrici non sono guarite completamente. Di tanto in tanto prudono. Preoccupazione materna?»

«Che cosa hai fatto?»

«Una nuova vita. Un nuovo mondo per me. Un mondo che non ha niente a che vedere col tuo. Non più!»

«T'ho chiesto cosa hai fatto!»

«Lo sai che cosa ho fatto, altrimenti non saresti qui a Londra. Quello che devi capire, ora, è che Ulster Scarlett non esiste più.»

«Se è questo che vuoi far credere al mondo, perché venire proprio da me?»

«Perché tu hai giustamente presunto che non fosse vero, e la tua ingerenza poteva finire per procurarmi delle seccature.» La vecchia signora si fece forza prima di parlare. «Allora è più che possibile che le istruzioni per la mia morte non fossero stupide.»

«Questo è molto coraggioso. Mi domando, però, se hai pensato agli altri.»

«Quali altri?» Scarlett si sedette sul divano e disse in italiano con una sarcastica intonazione dialettale: «La Famiglia Scarlatti! Questa è l'espressione giusta, vero? Undici membri, per essere esatti. Due genitori, una nonna, una moglie alcolizzata e puttana e sette bambini. La fine della tribù! La stirpe Scarlatti bruscamente estinta da un unico atroce massacro!»

«Tu sei pazzo! Io te lo impedirei. Non vorrai contrapporre il tuo furto insignificante a quello che possiedo io, ragazzo mio!»

«Sei una stupida vecchia! Noi siamo al di sopra dei soldi. Ora conta soltanto come vengono usati. Questo me lo insegnasti tu!»

«Farò in modo che tu non possa raggiungerli! Ti farò dare la caccia e distruggere!» L'uomo balzò su dal divano con agile scatto.

«Stiamo perdendo tempo. Tu ti preoccupi della meccanica, che è pedestre. Mettiamo le cose in chiaro. Io faccio una telefonata e parte l'ordine per New York. Tempo quarantott'ore e gli Scarlatti saranno annientati! Estinti! Sarà un funerale molto costoso. La fondazione non baderà a spese per avere quanto c'è di meglio.»

«Anche tuo figlio?»

«Sarebbe il primo. Tutti morti. Senza motivi apparenti. Il mistero dei folli Scarlatti.»

«Sei pazzo.» Le parole di Elisabeth si udirono a malapena.

«Parla forte, mamma! O stai pensando a quei marmocchi ricciuti che giocano sulla spiaggia di Newport, e ridono nelle loro piccole barche sullo stretto. Tragico, vero? Uno solo di loro! Uno solo di tutto il gruppo potrebbe bastare per te, e la tribù Scarlatti continua in gloria! Vuoi che faccia quella telefonata? Per me è indifferente.» L'anziana donna, che non s'era mossa, raggiunse lentamente una delle poltrone. «Quello che vuoi da me ha tanto valore che ne dipende la vita dei miei familiari?»

«Non per te. Solo per me. Potrebbe essere peggio, sai. Potrei pretendere un altro centinaio di milioni.»

«Perché non lo fai? Date le circostanze, sai che pagherei.» L'uomo rise. «Certo che pagheresti. Li prenderesti da una fonte che creerebbe il panico nella stanza della telescrivente. No, grazie. Non ne ho bisogno. Ricorda, noi siamo al di sopra dei soldi.»

«Cos'è che vuoi?» Elisabeth si sedette in poltrona, incrociando le magre braccia in grembo.

«Le lettere della banca, per cominciare. A te non servono comunque, quindi non dovresti avere conflitti di coscienza.» Dunque lei aveva visto giusto! Il concetto era giusto! Cercare sempre il lato pratico. Il denaro. «Lettere della banca?»

«Le lettere della banca che ti ha dato Cartwright.»

«L'hai ucciso tu! Sapevi del nostro accordo?»

«Via, mamma. Uno stupido meridionale viene fatto vicepresidente della Waterman Trust! E gli vengono veramente affidate delle responsabilità. L'abbiamo seguito per tre giorni. Abbiamo il vostro accordo. Almeno le copie. Non prendiamoci in giro. Le lettere, per favore.» La vecchia signora si alzò dalla poltrona e andò in camera da letto. Ritornò e gli porse le lettere. Aperte velocemente le buste, l'uomo le tirò fuori, le spiegò sul divano e le contò.

«Cartwright se li è guadagnati, i suoi soldi.» Ulster raccolse le lettere e si sedette con fare disinvolto sul divano.

«Non avevo idea che quelle lettere fossero così importanti.»

«Non lo sono, in effetti. Non si potrebbe ottenere nulla con quelle. Tutti i conti sono stati chiusi e il denaro... inoltrato ad altri, diciamo.»

«Allora perché eri così ansioso di averle?» Elisabeth restò in piedi.

«Se venissero presentate alle banche, potrebbero mettere in moto un mucchio di speculazioni. Noi non vogliamo troppe chiacchiere, per il momento.» La donna scrutò gli occhi di suo figlio. Vide sicurezza di sé, distacco, autocompiacimento, rilassatezza, quasi.

«Noi chi? In che cosa sei coinvolto?» Di nuovo quel sorriso grottesco dalla bocca storta sotto le narici dalla forma innaturale. «Saprai a tempo debito. Non i nomi, naturalmente, ma saprai. Potresti persino esserne fiera, ma non lo ammetteresti mai.» Ulster guardò l'orologio che aveva al polso. «Al lavoro.»

«Cos'altro vuoi?»

«Cos'è accaduto sulla Calpurnia? Non mentire!» Il suo sguardo s'appuntò sulla vecchia signora e non si mosse.

Elisabeth contrasse i muscoli dell'addome per aiutarsi a nascondere le sue reazioni alla domanda. Capì che la verità era probabilmente tutto ciò che le restava. «Non ti capisco.»

«Menti!»

«Su che cosa? Ricevetti un telegramma da un uomo chiamato Boutier a proposito della morte di Cartwright.»

«Smettila!» Ulster si piegò in avanti. «Non ti saresti presa la briga di depistarli tutti con quella storia dell'Abbazia di York se non fosse successo qualcosa. Voglio sapere dov'è.»

«Dov'è chi? Cartwright?»

«Forza!»

«Non ho la minima idea di cosa vuoi dire!»

«Un uomo è scomparso su quella nave! Dicono che è caduto in mare.»

«Ah, si, ricordo... E questo cos'ha a che fare con me?» Elisabeth sembrava l'innocenza personificata.

Nessuno dei due si mosse.

«Non sai niente dell'incidente?»

«Non ho detto questo.»

«Cos'hai detto, allora?»

«Ci furono delle voci. Da fonti attendibili.»

«Che voci?» La vecchia signora valutò diverse risposte. Sapeva che la sua doveva suonare autentica e non presentare evidenti errori quanto al carattere e al comportamento. D'altra parte, qualunque cosa avesse detto doveva riflettere gli eccessi di approssimazione dei pettegolezzi.

«L'uomo era ubriaco e in vena di attaccar briga. C'era stata una rissa nel salone... Dovettero calmarlo e trasportarlo nella sua cabina. Lui cercò di ritornare e cadde oltre la balaustra. Lo conoscevi?» Un velo di distacco coprì la risposta di Scarlett. «No, non era dei nostri.» Era scontento, ma non insistè. Per la prima volta distolse lo sguardo dalla madre. Era immerso nei suoi pensieri. Alla fine parlò. «Un'ultima cosa. Tu eri partita con l'idea di trovare il tuo figlio scomparso...»

«Sono partita con l'idea di trovare un ladro!» lo interruppe brusca Elisabeth.

«Mettila come vuoi. Da un altro punto di vista ho semplicemente mandato avanti il calendario.»

«Non è vero! Tu hai rubato alle Scarlatti. Quello che ti era stato assegnato andava usato in combinazione con le Industrie Scarlatti!»

«Stiamo di nuovo perdendo tempo.»

«Volevo chiarire questo punto.»

«Il punto è che tu sei partita con l'idea di trovarmi e ci sei riuscita. Siamo d'accordo su questo fatto?»

«D'accordo.»

«Ora ti sto dicendo di non dire niente, non fare niente e di tornartene a New York. In più, distruggerai qualunque lettera o istruzione sul mio conto che ti possa essere rimasta.»

«Sono pretese impossibili!»

«In questo caso i miei ordini partono. Gli Scarlatti sono morti! Va' alla tua chiesa e fatti dire come sono stati bagnati nel sangue dell'agnello!» Ulster Scarlett balzò su dal divano vittoriano e prima che la donna potesse abituare gli occhi al suo movimento, raggiunse il telefono. Non ebbe la minima esitazione. Tirò su il ricevitore senza guardarla e aspettò che il centralino rispondesse.

La vecchia signora si alzò, malferma sulle gambe. «Non farlo!» Scarlett si voltò per guardarla in faccia. «Perché no?»

«Farò come chiedi!» Lui rimise a posto il telefono. «Sei sicura?»

«Sono sicura.» Aveva vinto lui.

Ulster Scarlett sorrise con le sue labbra deformi. «Allora il nostro affare è concluso.»

«Non del tutto.» Elisabeth ora avrebbe fatto un tentativo, rendendosi conto che ciò poteva costarle la vita.

«Eh?»

«Mi piacerebbe fare delle ipotesi, solo un minuto.»

«Su che cosa?»

«Tanto per sapere, supponiamo che decidessi di non tener fede al nostro accordo?»

«Sai cosa accadrebbe. Non potresti sottrarti a noi, non per molto, almeno.»

«Il tempo, però, potrebbe giocare a mio favore.»

«Le obbligazioni sono state alienate. Non c'è da pensarci.»

«Avevo immaginato che era andata così, altrimenti non sarei venuta qui.»

«E un bel gioco. Continua.»

«Sono sicura che, nel caso non ci avessi pensato tu, qualcuno ti avrà detto che il solo modo intelligente per vendere quelle obbligazioni sarebbe stato di scambiarle a un valore più basso con della valuta.»

«Non ha dovuto dirmelo nessuno.»

«Ora tocca a me fare una domanda.»

«Falla pure.»

«Quanto credi che sia difficile risalire a depositi, in oro o altro, di quelle dimensioni? Dividerò la domanda in due parti. Dove sono le uniche banche del mondo disposte o anche solo in grado di tenere questi depositi?»

«Conosciamo tutti e due la risposta. Sono codificati, numerati; impossibile scoprirli.»

«E in quale delle grandi aziende bancarie svizzere esiste l'uomo incorruttibile?» Scarlett aspettò un attimo a rispondere e socchiuse gli occhi deformi. «Adesso sei tu la pazza» disse con voce pacata.

«Niente affatto. Tu ragioni a piccoli compartimenti, Ulster. Usi grandi somme di denaro, ma ragioni a piccoli compartimenti. Circola la voce, negli atri di marmo di Berna e di Zurigo, che si può avere la somma di un milione di dollari americani in cambio di informazioni riservate...»

«Cosa ci guadagneresti?»

«Dati! Nomi! Persone!»

«Mi fai ridere!»

«Non riderai a lungo... È evidente che hai dei soci; hai bisogno di loro. Dalle tue minacce risulta doppiamente chiaro, e sono sicura che li paghi bene... Il problema è: una volta che io conoscerò loro e loro me - saranno capaci di resistere alla mia offerta? Certamente tu non potresti mai arrivarci! In questo non siamo superiori ai soldi!» Quel viso grottesco si scompose ancora di più, e una risata roca uscì dalla bocca deforme. «Ho aspettato anni per dirti che le tue teorie da contabile non valgono nulla! Le tue schifose manovre di compravendita sono finite! Hai fatto a modo tuo! Ora è tutto finito! Chiuso! Chi sei tu per fare questi maneggi? Coi tuoi compiacenti banchieri! I tuoi ebrei! Sei finita! Ti ho tenuto d'occhio! La tua razza è morta! Non parlarmi dei miei soci. Non vorrebbero sentir parlare né di te né del tuo denaro!» L'uomo era infuriato.

«Ne sei convinto?» Elisabeth non si mosse. Fece una semplice domanda.

«Assolutamente!» Il violento afflusso di sangue alla testa arrossava le ferite ancora fresche sul viso di Ulster Scarlett. «Noi abbiamo qualcos'altro! E tu non ci puoi fare niente! A nessuno di noi. Noi non siamo gente che si può comprare!»

«Ammetterai, tuttavia, vedi il caso delle lettere di banca, che potrei darti delle noie. Solo, questa volta, in misura molto superiore. Vuoi correre questo rischio?»

«Firmeresti undici condanne a morte! Una sepoltura di massa! E questo che vuoi, madre?»

«La risposta a entrambe le nostre domande sembrerebbe essere no. Adesso è un accordo molto più ragionevole.» L'uomo aspettò un istante, poi disse piano, scandendo le parole: «Tu non sei uguale a me. Non illuderti neppure per un attimo di esserlo!»

«Cos'è accaduto, Ulster? Cos'è accaduto? Perché?»

«Niente e tutto! Io sto facendo quello che nessuno di voi è capace di fare! Quello che va fatto! Ma voi non potete farlo.»

«Ma io... O noi... Vorremmo farlo?»

«Più di ogni altra cosa al mondo! Ma non avete il fegato! Siete dei deboli!» Il telefono squillò, perforando l'aria.

«Non disturbarti a rispondere» disse Ulster. «Suonerà una volta sola. E il segnale che mia moglie - la devota puttana - e il suo ultimo compagno diletto hanno lasciato il Claridge.»

«Allora suppongo che la nostra riunione sia aggiornata.» Elisabeth vide, con grande sollievo, che il figlio accettò questa dichiarazione, e notò anche che in quella posizione era pericoloso. Gli si stava sviluppando un tic sulla pelle sopra l'occhio destro. Di nuovo Ulster stese le dita con un movimento lento, studiato.

«Ricordati quello che ti dico. Commetti un solo errore...» Elisabeth ribatté prima che lui potesse finire. «Ricordati chi sono, giovanotto! Stai parlando alla moglie di Giovanni Merighi Scarlatti! Non hai nessun bisogno di ripeterti. Hai il tuo accordo! Va' a occuparti dei tuoi luridi affari. Ormai non mi interessi più!» L'uomo in nero s'avviò rapidamente verso la porta. «Ti odio, mamma.»

«Spero che tu tragga altrettanto vantaggio da quelli che ti sono meno cari.»

«In modi che non capiresti mai!» Ulster aprì la porta e sgusciò fuori, sbattendola violentemente dietro di sé.

Elisabeth Scarlatti restò in piedi presso la finestra e scostò i tendaggi. Si appoggiò per sostenersi contro il freddo vetro. La città di Londra era addormentata, e solo qualche luce qua e là punteggiava la sua facciata di cemento.

Cosa aveva fatto Ulster, in nome di Dio? E soprattutto, chi gli dava retta?

Ciò che avrebbe potuto essere puro orrore diventava terrore, perché lui possedeva l'arma. L'arma del potere - che lei e Giovanni avevano innocentemente procurato alla famiglia mettendola al servizio della produttività.

Erano davvero al di là del denaro.

Le lacrime scorrevano giù dai suoi vecchi occhi, e quella coscienza riposta che affligge tutti gli esseri umani fu colta di sorpresa. Elisabeth non piangeva da più di trent'anni.

Si strappò quasi a forza dalla finestra e prese a girovagare per la stanza. Aveva moltissime cose a cui pensare.



***