12.
Dopo due mesi, quando ormai non c'era più niente di nuovo da raccontare sui giornali o alla radio, la scomparsa di Ulster Scarlett era già passata in sordina. Perché, a dire il vero, le sole informazioni ulteriori scoperte dagli sforzi combinati della polizia, dell'Ufficio Persone Scomparse e degli investigatori federali riguardavano il carattere di Scarlett e non portavano da nessuna parte. Era come se si fosse letteralmente dissolto nell'aria. Una creatura viva un momento, un ricordo scolorito il momento dopo.
La vita, i possedimenti, i pregiudizi e le inquietudini di Ulster, tutto venne sottoposto all'esame minuzioso di professionisti. E il risultato di queste fatiche portò a ricostruire uno straordinario ritratto di vacuità. Un uomo che aveva quasi tutto ciò che un essere umano può chiedere su questa terra era apparentemente vissuto in un vuoto. Senza scopi, senza mete.
Elisabeth Scarlatti si scervellava sui voluminosi rapporti forniti dalle autorità. Era diventata un'abitudine, un rituale, una speranza. Se suo figlio era stato ucciso, certo, sarebbe stato doloroso; ma lei poteva sostenere la perdita di una persona. E c'erano migliaia di modi... fuoco, acqua, terra... per far sparire un corpo. Ma non poteva accettare quella conclusione. Era possibile, naturalmente. Lui aveva conosciuto la malavita, ma solo marginalmente.
Un mattino Elisabeth stava davanti alla finestra della sua biblioteca a guardare il mondo esterno che affrontava un nuovo giorno. I pedoni camminavano sempre così in fretta, il mattino. Le automobili erano molto più soggette a ritorni di fiamma dopo una notte d'inattività. Poi Elisabeth vide una delle sue cameriere là fuori, sui gradini d'ingresso. La cameriera stava spazzando.
Mentre guardava la donna dondolare la scopa avanti e indietro, Elisabeth si ricordò di un'altra cameriera. Di altri gradini.
Una cameriera di Ulster. Una cameriera che una mattina spazzava i gradini della casa di Ulster e si ricordava di suo figlio che dava istruzioni a un tassista.
Cos'erano quelle istruzioni?
Una fermata della metropolitana. Ulster doveva andare a una fermata della metropolitana.
Suo figlio aveva dovuto prendere la metropolitana, un mattino, e lei non aveva capito.
Era solo una fioca, tremolante candela in una buia foresta, ma era una luce. Elisabeth raggiunse velocemente il telefono.
Trenta minuti dopo, il terzo vicepresidente Jefferson Cartwright stava in piedi davanti a Elisabeth Scarlatti. Non aveva ancora recuperato del tutto il fiato dopo lo sforzo nervoso che gli era costato rifare il programma della giornata per presenziare a quello spettacolo ordinato da Sua Maestà.
«Si, certamente» disse l'uomo della Virginia strascicando le parole. «Tutti i conti furono minuziosamente esaminati non appena venimmo a conoscenza della scomparsa del signor Scarlett. Un ragazzo meraviglioso. Diventammo piuttosto amici durante quelle sedute alla banca.»
«Qual è lo stato dei suoi conti?»
«Perfettamente normale.»
«Temo di non sapere che cosa significhi.» Cartwright esitò per qualche istante - il pensoso banchiere. «Naturalmente, le cifre finali non sono complete ma non abbiamo ragione di credere che abbia superato la rendita annuale del suo fondo fiduciario.»
«Qual è questa rendita, signor Cartwright?»
«Be', naturalmente, il mercato fluttua - per fortuna verso l'alto - perciò sarebbe difficile darle una cifra precisa.»
«Basta una approssimativa.»
«Dunque, vediamo...» A Jefferson Cartwright non piaceva la direzione che stava prendendo il discorso. Improvvisamente fu molto felice di aver avuto la previdenza di mandare a Chancellor Drew quei vaghi memorandum sulle spese fatte da suo fratello in Europa. La sua pronuncia meridionale diventò più accentuata. «Potrei chiedere ad alcuni dirigenti che conoscono meglio il portafoglio del signor Scarlett... Ma era considerevole, madame Scarlatti.»
«Allora immagino che lei abbia un'idea almeno approssimativa della cifra.» Elisabeth non amava Jefferson Cartwright, e il tono della sua voce era minaccioso.
«La rendita del signor Scarlett proveniente dal fondo destinato alle spese personali, da distinguersi dal secondo fondo destinato agli investimenti, era in eccedenza su settecentottantatremila dollari.»
«Sono molto contenta che i suoi bisogni personali superino raramente quella somma insignificante.» Elisabeth si sistemò sulla sedia dal rigido schienale in modo da concedere al signor Cartwright il pieno beneficio del suo sguardo. L'uomo riprese a ciarlare a un ritmo accelerato. Fu un profluvio di frasi senza pause, e il suo accento si fece più pronunciato che mai.
«Be', certamente lei era a conoscenza degli sperperi del signor Scarlett. Penso che i giornali ne abbiano parlato in molti casi. Come ho detto, io personalmente ho fatto il possibile per metterlo in guardia, ma era un ragazzo molto testardo. Se lei ricorda, solo tre anni fa il signor Scarlett acquistò un dirigibile per circa mezzo milione di dollari. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per dissuaderlo, ma fu semplicemente impossibile. Disse che doveva assolutamente avere un dirigibile! Se esaminerà i conti di suo figlio, madame, troverà molti altri acquisti sconsiderati.» Cartwright era decisamente sulla difensiva, sebbene sapesse benissimo che difficilmente Elisabeth poteva ritenerlo responsabile.
«E quanti ce ne sono stati di questi... acquisti?» A un ritmo ancora più rapido il banchiere rispose: «Be', certamente, nessuno eccessivo come il dirigibile! Riuscimmo a impedire il ripetersi di simili episodi spiegando al signor Scarlett che non era corretto che prelevasse somme dal secondo fondo per questi scopi. Che doveva... limitare le spese alla rendita prodotta dal primo fondo. Nelle nostre sedute alla banca insistemmo ripetutamente su questo aspetto. Tuttavia, solo l'anno scorso, mentre era in Europa con la bella signora Scarlett, noi restammo in contatto con le banche del Continente per i suoi conti personali. Senza esagerare, suo figlio fu di grande aiuto all'economia europea... Fu anche necessario fare... numerosi pagamenti diretti garantiti dalla sua firma... Certo il signor Chancellor Scarlett le avrà parlato delle molte, molte note che gli ho mandato a proposito delle grosse somme di denaro che spedimmo a suo figlio in Europa».
Elisabeth sollevò le sopracciglia. «No, non mi ha detto nulla.»
«Be', madame Scarlatti, era il viaggio di nozze di suo figlio. Non c'era motivo...»
«Signor Cartwright,» la vecchia signora lo interruppe bruscamente «lei conserva una contabilità accurata dei prelevamenti di mio figlio, qui e all'estero, relativi all'anno scorso?»
«Ma naturalmente, madame.»
«E una lista dei pagamenti fatti direttamente da lei sulla base della sua firma?»
«Certamente.»
«Conto di averli in mano non più tardi di domani mattina.»
«Ma ci vorrebbero parecchi contabili e un'intera settimana di lavoro per compilare tutto quanto. Il signor Scarlett non era esattamente la persona più precisa di questo mondo quando si trattava di queste cose.»
«Signor Cartwright! Tratto con la Waterman Trust da più di un quarto di secolo. Le Industrie Scarlatti operano esclusivamente con la Waterman Trust perché lo decido io. Credo nella Waterman Trust perché non mi è mai stato dato motivo di non farlo. Mi spiego?»
«Si, perfettamente. Domani mattina.» Jefferson Cartwright uscì dalla stanza con un inchino, come uno schiavo perdonato prenderebbe congedo da uno sceicco arabo.
«Ah, signor Cartwright.»
«Si?»
«Non penso, effettivamente, di averla lodata per aver contenuto le spese di mio figlio nei limiti della sua rendita.»
«Sono spiacente...» La fronte di Cartwright si imperlò di sudore. «C'era poco...»
«Non credo che lei mi capisca, signor Cartwright. Sono assolutamente sincera. Mi congratulo con lei. Buongiorno.»
«Buongiorno, madame.» Cartwright e i tre contabili stettero alzati tutta la notte per cercare di aggiornare i conti di Ulster Stewart Scarlett. Era un lavoro difficile.
Alle due e mezzo del mattino Jefferson Cartwright aveva già sulla sua scrivania una lista di banche e di cambi dove l'erede Scarlatti aveva o aveva avuto dei conti. In corrispondenza con ciascun nome c'erano le cifre e le date precise dei trasferimenti. La lista sembrava sconfinata. Gli specifici depositi potevano ammontare in media al reddito annuo della stragrande maggioranza degli americani del ceto medio, ma per Ulster Stewart non erano che l'equivalente dell'assegno settimanale. Ci sarebbero voluti dei giorni per accertare cos'era rimasto. La lista includeva: the chemical corn exchange, 900 Madison Avenue, New York. maison de banque, 22 rue Violette, Parigi. la banque americaine, rue Nouveau, Marsiglia. deutsche-americanische bank, Kurfurstendamm, Berlino. banco-turista, calle de la Suenos, Madrid. maison de Montecarlo, rue du Feuillage, Monaco. wiener staedtische sparkasse, Salzburgerstrasse, Vienna. banque-FRANCAISE-algerie, Harbor al Moons, Cairo, Egitto.
E così via. Ulster e la sua sposa avevano visto l'Europa.
Naturalmente, a controbilanciare quella lista di supposte attività c'era una seconda lista di deficit nella forma di conti da pagare. Comprendevano le somme dovute a decine di hotel, grandi magazzini, negozi, ristoranti, agenzie automobilistiche, linee di navigazione, ferrovie, scuderie, club, case da gioco. Erano stati tutti pagati dalla Waterman.
Jefferson Cartwright esaminò attentamente quei minuziosi resoconti.
Secondo i criteri civili essi erano un conglomerato di assurdità finanziarie, ma la storia di Ulster Scarlett confermava che per lui questo era perfettamente normale. Cartwright raggiunse la stessa conclusione a cui erano arrivati i contabili del governo quando avevano controllato tutto per l'fbi subito dopo la scomparsa di Ulster.
Niente di strano, considerando il passato di Ulster Scarlett. Naturalmente, la Waterman Trust avrebbe richiesto informazioni alle banche americane ed estere per appurare a quanto ammontavano i rimanenti depositi. Sarebbe stato facile far ritrasferire le somme, per procura, alla Waterman Trust.
«Si, certamente» borbottò tra sé l'uomo del Sud. «Un lavoro straordinariamente completo, considerando le circostanze.» Jefferson Cartwright era convinto che la vecchia Scarlatti avrebbe avuto un atteggiamento molto diverso nei suoi confronti quella mattina. Intendeva dormire qualche ora, farsi una lunga doccia fredda, e portarle lui stesso i resoconti. In cuor suo sperava di avere un aspetto stanco, molto stanco. Forse Elisabeth ne sarebbe rimasta colpita.
«Mio caro Cartwright,» esordì tagliente Elisabeth Scarlatti «non ha mai pensato che mentre trasferiva migliaia e migliaia di dollari a banche di tutt'Europa lei stava contemporaneamente pagando debiti per una cifra totale di quasi un quarto di milione di dollari? Non le è mai balenata l'idea che mettendo insieme queste due cifre mio figlio stava compiendo ciò che è apparentemente impossibile? Ha esaurito l'intera rendita annuale del suo fondo in meno di nove mesi! Quasi fino all'ultimo centesimo!»
«Naturalmente, madame Scarlatti, questa mattina stanno partendo delle lettere per le banche con la richiesta di fornirci informazioni complete. Per nostra procura, ovviamente. Sono certo che ci verranno restituite delle somme notevoli.»
«Io non ne sono affatto certa.»
«Se posso essere franco, madame Scarlatti, non riesco assolutamente a capire dove vuole andare a parare...» Il tono di Elisabeth divenne momentaneamente garbato, riflessivo. «A dire il vero non lo so nemmeno io. Comunque, io non 'voglio', ci sono costretta...»
«Scusi?»
«Durante le sedute alla Waterman è possibile che mio figlio abbia... scoperto qualcosa... che possa averlo indotto a trasferire queste somme in Europa?»
«Anch'io mi sono posto questa domanda. In quanto suo consulente, mi sono sentito in dovere di investigare... A quanto pare, il signor Scarlett ha fatto un bel po' di investimenti in Europa.»
«Investimenti? In Europa? Sembra del tutto inverosimile!»
«Aveva un vasto giro di amici, madame Scarlatti. Amici ai quali, sono sicuro, non mancavano i progetti... E devo dire, suo figlio stava diventando sempre più bravo nell'analisi degli investimenti...»
«Come?»
«Mi riferisco ai suoi studi sui portafogli Scarlatti. Be', s'era messo di impegno ed era inflessibile con sé stesso. Ero molto orgoglioso dei suoi risultati. Stava veramente prendendo sul serio le nostre sedute. Ce la metteva tutta per capire il fattore di diversificazione... Si figuri, s'è persino portato centinaia di relazioni della Scarlatti in viaggio di nozze!» Elisabeth s'alzò dalla sedia e camminò con passo lento, cauto, verso la finestra che guardava sulla strada, ma il suo pensiero era tutto concentrato su quell'improvvisa, incredibile rivelazione. Come le era successo tante volte in passato, si rese conto che le sue intuizioni - astratte, oscure - la stavano portando alla verità. La sentiva, c'era vicina. Ma ancora non riusciva ad afferrarla.
«Presumo che lei voglia dire i rendiconti - i rapporti analitici - sulle azioni delle Industrie Scarlatti?»
«Anche quello, naturalmente. Ma molto, molto di più. Ha analizzato i lasciti fiduciari, sia i propri sia quelli di Chancellor e persino i suoi, madame Scarlatti. Sperava di scrivere un rapporto completo in cui avrebbe dato particolare rilievo ai fattori di sviluppo. Era un'impresa molto ambiziosa e lui non esitò mai...»
«Molto più che ambiziosa, signor Cartwright» intervenne Elisabeth. «Senza preparazione, direi impossibile.» Continuò a guardare la strada.
«In effetti, cara signora, noi della banca la vedevamo così. Perciò lo convincemmo a limitare le ricerche alle sue proprietà. Pensavo che fosse più semplice da spiegare e di certo non volevo smorzare il suo entusiasmo, così...» Elisabeth si girò, dando le spalle alla finestra, e fissò il banchiere, che ammutolì sotto quello sguardo. La donna sapeva che ormai la verità era a portata di mano. «Per piacere, si spieghi meglio. Come procedette mio figlio... nelle ricerche sulle sue proprietà?»
«Dai titoli del fondo fiduciario. Soprattutto dalle obbligazioni del secondo lascito - il fondo d'investimento - i titoli sono molto più stabili. Li catalogò e poi li confrontò con altre scelte che si sarebbero potute fare all'epoca in cui furono acquistati originariamente. Se posso aggiungere una cosa, suo figlio fu molto colpito dalla selezione. Così mi disse.»
«Li... catalogò? Cosa intende dire esattamente?»
«Che catalogò le obbligazioni separatamente. Le cifre equivalenti a ciascuna e gli anni e i giorni in cui scadevano. Partendo dalle date e dalle somme fu in grado di fare confronti con numerosi altri titoli in commercio.»
«E qui come ha fatto?»
«Come ho accennato, è partito dalle stesse obbligazioni. Dai portafogli annuali.»
«Dove?»
«Le camere blindate, madame. Quelle della Scarlatti.» Mio Dio!, pensò Elisabeth.
L'anziana donna posò la mano tremante sul davanzale. Parlò con voce calma nonostante la paura che l'avviluppava. «Per quanto tempo mio figlio fece... questa ricerca?»
«Be', per alcuni mesi. Dal suo ritorno dall'Europa, per l'esattezza.»
«Capisco. Qualcuno lo aiutò? Voglio dire, era così inesperto.» Jefferson Cartwright ricambiò lo sguardo di Elisabeth. Non era uno sciocco. «Non c'era nessuna necessità. Catalogare delle obbligazioni non ancora maturate non è difficile. Si tratta semplicemente di fare un elenco di nomi, di cifre, di date... E suo figlio è... Era uno Scarlatti.»
«Si... Lo era.» Elisabeth sapeva che il banchiere stava incominciando a leggerle nel pensiero. Non aveva importanza. Niente aveva importanza, tranne la verità.
Le camere blindate.
«Signor Cartwright, sarò pronta tra dieci minuti. Farò venire la mia macchina e torneremo insieme al suo ufficio.»
«Come desidera.» Il viaggio verso il centro si svolse in silenzio. Il banchiere e la vecchia signora sedevano uno accanto all'altra nei posti di dietro, ma nessuno dei due parlò. Ciascuno era preso dai suoi pensieri.
Per Elisabeth: la verità.
Per Cartwright: la sopravvivenza. Perché se quello che sospettava era giusto, lui era rovinato. Anche la Waterman Trust poteva essere rovinata. E lui era il consulente incaricato di Ulster Stewart Scarlett.
Mentre l'autista apriva la portiera, Cartwright uscì dalla macchina e porse la mano a Elisabeth. Notò che la stringeva forte, troppo forte, scendendo con difficoltà dall'automobile, e fissando lo sguardo in basso, nel vuoto.
Lui le fece rapidamente strada attraverso la banca. Oltre gli sportelli, oltre i cassieri, oltre le porte degli uffici fino al retro dell'edificio. Presero l'ascensore per scendere negli immensi sotterranei della Waterman. Usciti dall'ascensore voltarono a sinistra e si avvicinarono all'ala orientale.
I muri erano grigi, le superfici lisce, e lo spesso cemento racchiudeva da tutti e due i lati le luccicanti sbarre d'acciaio. Sopra il cancello c'era una semplice iscrizione. ala orientale scarlatti.
Elisabeth pensò, ancora una volta, che l'effetto era lugubre. Oltre le sbarre c'era uno stretto corridoio illuminato dal soffitto con delle forti lampade ricoperte di rete metallica. A parte le entrate, due su ciascun lato, quel corridoio somigliava a una galleria che portava al luogo del riposo eterno di qualche faraone, al centro di una spaventosa piramide. La porta in fondo dava accesso alla camera blindata delle Industrie Scarlatti.
Tutto.
Giovanni.
Le due porte su ciascun lato si aprivano sui compartimenti della moglie e dei tre figli. Quelli di Chancellor e di Ulster erano a sinistra. Quelli di Elisabeth e di Roland a destra. Elisabeth era accanto a Giovanni.
Lei non aveva mai voluto che i beni di Roland venissero assorbiti. Sapeva che alla fine se ne sarebbero occupati i tribunali. Era stato il suo unico sentimentale verso il figlio scomparso. Era giusto. Anche Roland faceva parte dell'impero.
Il guardiano in uniforme fece un cenno col capo, con aria funerea, e aprì la porta dalle sbarre d'acciaio.
Elisabeth si fermò davanti all'entrata del primo compartimento sulla sinistra. La targa al centro della porta di metallo diceva: Ulster Stewart Scarlatti.
Il guardiano aprì la porta ed Elisabeth entrò nella piccola stanza.
«Richiuda a chiave e aspetti fuori.»
«Naturalmente.» La donna restò sola in quella specie di cella. Considerò che prima di allora era stata nel compartimento di Ulster solo una volta. Con Giovanni. Anni, secoli prima... Lui l'aveva convinta a venire in centro per visitare la banca senza parlarle delle disposizioni che aveva preso riguardo alle camere blindate dell'ala orientale. L'aveva portata in giro per le cinque stanze così come un cicerone potrebbe accompagnare i turisti in un museo. Aveva studiato a fondo le difficoltà dei vari lasciti fiduciari. Elisabeth si ricordò di come Giovanni avesse dato delle gran pacche agli armadietti, quasi fossero del bestiame premiato che un giorno avrebbe prodotto mandrie smisurate.
E aveva avuto ragione.
La stanza non era cambiata.
Da un lato, incassate nella parete, c'erano le cassette di deposito che contenevano i beni industriali - le azioni, i certificati di proprietà relativi a centinaia di società. Il necessario per la vita di tutti i giorni. Il primo fondo di Ulster. Sulle altre due pareti c'erano degli schedari, sette su ogni lato. Ogni cassetto era contrassegnato da una data, che veniva cambiata ogni anno dagli esecutori della Waterman. Ogni mobile-schedario aveva sei cassetti.
Obbligazioni a cui attingere per i prossimi ottantaquattro anni.
Il secondo fondo. Destinato all'espansione della Scarlatti.
Elisabeth studiò i cartellini sugli schedari.
1926,1927,1928,1929,1930,1931.
Questi erano sul primo.
Vide che c'era uno scanno da frate a circa un metro dallo schedario, sulla destra. Chiunque l'avesse usato l'ultima volta era stato seduto tra il primo e il secondo schedario. Guardò i cartellini su quello adiacente.
1932,1933,1934,1935,1936,1937.
Scese dallo scanno e lo tirò davanti al primo schedario, mettendosi a sedere. Guardò il cassetto in fondo.
1926.
Lo aprì.
L'anno era diviso in dodici mesi, e ciascun mese era separato da un piccolo cartellino. Davanti a ciascun cartellino c'era una sottile scatola di metallo con due minuscole biette, unite da un unico filo di ferro immerso nella cera. Sulla cera erano impresse in vecchi caratteri inglesi le iniziali W.T.
L'anno 1926 era intatto. Nessuna delle sottili scatolette metalliche era stata aperta. Il che significava che Ulster non aveva soddisfatto la richiesta della banca di dar loro istruzioni sugli investimenti. Alla fine di dicembre gli esecutori si sarebbero assunti personalmente la responsabilità e avrebbero indubbiamente consultato Elisabeth, come avevano sempre fatto in passato, sul fondo di Ulster.
Tirò fuori l'anno 1927.
Anche questo non era stato toccato. Nessuna delle creste di cera era stata rotta.
Elisabeth stava per richiudere lo schedario del 1927 quando si fermò. I suoi occhi intravidero una macchia sulla cera. Una piccolissima, leggera imperfezione che sarebbe passata inosservata se non si fosse concentrata l'attenzione sulle creste.
La T. della sigla W.T. era mal fatta e pendeva all'ingiù sul mese d'agosto. Lo stesso valeva per settembre, ottobre, novembre e dicembre.
Tirò fuori la scatola di agosto e la scosse. Poi strappò via il fil di ferro: la cresta di cera si spezzò e cadde.
La scatola era vuota.
Tutte lo erano.
Rimise a posto le scatole e aprì lo schedario del 1928. In ogni scatoletta la T della cresta di cera era imperfetta e inclinata all'ingiù.
Tutte vuote.
Per quanti mesi Ulster aveva sostenuto questa straordinaria pantomima? Andando da un assillato banchiere all'altro e sempre, sempre - alla fine - ritornando alle camere blindate. Documento per documento. Titolo per titolo.
Tre ore prima non ci avrebbe creduto. E tutto perché la vista di una cameriera che spazzava i gradini di casa sua aveva innescato il ricordo di un'altra cameriera che spazzava dei gradini. Una cameriera che ricordava un breve ordine dato da suo figlio a un tassista.
Ulster Scarlett aveva preso la metropolitana.
Una mattina Ulster non potè correre il rischio di una corsa in taxi nel traffico. Era in ritardo per le sue sedute alla banca.
Quale momento migliore delle ore centrali della mattinata? Quando si cominciano a passare gli ordini, nel caos dei primi traffici di Borsa.
Persino Ulster Scarlett sarebbe passato inosservato in quelle ore centrali del mattino.
Non aveva capito il perché della metropolitana.
Adesso era chiaro.
Come se stesse eseguendo un doloroso rituale, Elisabeth controllò i restanti mesi e anni del primo schedario. Fino al dicembre del 1931.
Vuoto.
Chiuse il cassetto del 1931 e incominciò il secondo schedario dal fondo. 1932.
Vuoto.
Era arrivata a metà dello schedario - 1934 - quando udì il rumore della porta di metallo che si apriva. Chiuse rapidamente il cassetto e si girò, irata.
Jefferson Cartwright entrò e chiuse la porta.
«Credevo di averle detto di restare fuori!»
«Parola mia, madame Scarlatti, dal suo aspetto sembrerebbe che abbia visto non uno, ma dieci spettri!»
«Fuori!» Cartwright raggiunse rapidamente il primo schedario e con gesto prepotente tirò fuori uno dei cassetti centrali. Vide i sigilli rotti sulle scatole metalliche, ne estrasse una e l'aprì. «Sembra che manchi qualcosa.»
«La farò licenziare!»
«Forse... Forse lo farà.» L'uomo tirò fuori un altro cassetto e si convinse che parecchie altre scatole coi sigilli rotti erano vuote.
Elisabeth era in piedi, muta e sdegnata, vicino al banchiere. Quando parlò, lo fece con l'intensità che nasce dal disgusto. «Lei ha definitivamente concluso il suo rapporto con la Waterman Trust!»
«Può darsi. Mi scusi, per favore.» L'uomo scostò garbatamente Elisabeth dal secondo schedario e continuò la sua ricerca. Arrivò fino all'anno 1936 e si rivolse alla vecchia signora. «Non c'è rimasto molto, vero? Mi domando fin dove è arrivato, lei no? Naturalmente, farò un'analisi il più presto possibile per lei. Per lei e per i miei superiori.» Chiuse il cassetto del 1937 e sorrise.
«Questi sono affari familiari riservati. Lei non farà niente. Lei non può fare niente!»
«Oh, andiamo! Questi schedari contenevano titoli al portatore. Titoli al portatore girabili... Il possesso equivale alla proprietà. Sono esattamente come dei soldi... Suo figlio è sparito portandosi via un bel pezzo della Borsa di New York! E non abbiamo ancora finito di guardarci in giro. Vogliamo aprire qualche altro schedario?»
«Questo non lo sopporterò!»
«Allora d'accordo. Lei farà a modo suo, e io mi limiterò a riferire ai miei superiori che la Waterman Trust è fino al collo in un letamaio. Dimenticando grossissime commissioni che spettano alla banca e mettendo da parte ogni considerazione sul fatto che le società interessate potrebbero diventare apprensive riguardo a chi possiede qualcosa - certe azioni potrebbero persino crollare - io sono in possesso di informazioni che dovrei riferire immediatamente alle autorità!»
«Lei non può. Non deve!»
«Perché no?» Jefferson Cartwright tese i palmi di entrambe le mani.
Elisabeth si allontanò da lui e tentò di mettere ordine nei suoi pensieri. «Faccia un calcolo di quello che è sparito, signor Cartwright...»
«Posso fare un calcolo solo in base a quello che abbiamo visto. Undici anni, a circa tre milioni e mezzo per anno, si arriva a qualcosa come quaranta milioni. Ma può darsi che siamo solo all'inizio.»
«Le ho detto... prepari una stima. Credo di non aver bisogno di dirle che se apre bocca con qualcuno, una sola parola, io la distruggerò. Troveremo il modo di metterci d'accordo.» Si voltò lentamente e guardò Jefferson Cartwright. «Deve sapere, signor Cartwright, che per puro caso lei ha avuto il privilegio di possedere delle informazioni che la pongono molto al di sopra delle sue attitudini o capacità. Quando un uomo è così fortunato, dev'essere prudente.» Elisabeth Scarlatti passò una notte insonne.
Anche Jefferson Cartwright passò una notte insonne. Ma non a letto. Restò seduto su uno scanno da frate, con montagne di carte ai suoi piedi.
Le cifre salivano mentre confrontava scrupolosamente gli schedari con i rapporti sui beni Scarlatti.
Jefferson Cartwright credette di diventare pazzo.
Ulster Stewart aveva asportato obbligazioni per il valore di più di duecentosettanta milioni di dollari.
Rifece più volte la somma delle cifre.
Una somma che avrebbe provocato una crisi in Borsa.
Uno scandalo internazionale che poteva - se fosse scoppiato - paralizzare le Industrie Scarlatti... E sarebbe scoppiato quando fosse venuto il momento di convertire le prime obbligazioni mancanti. A occhio e croce, neanche un anno.
Jefferson Cartwright piegò insieme le ultime pagine che gli restavano e se le ficcò nella tasca interna della giacca. Strinse forte il braccio contro il petto, come per assicurarsi che l'agitazione della sua carne fosse trattenuta dalla carta, e lasciò i sotterranei.
Richiamò con un fischio il guardiano dell'ingresso. L'uomo s'era appisolato su una sedia di pelle nera vicino alla porta.
«Oddio, signor Cartwright! Mi ha spaventato!» Cartwright lo oltrepassò e uscì sulla strada.
Guardò la luce grigiastra, quasi bianca, del cielo. Presto sarebbe stato mattino. E la luce era il suo segnale.
Perché lui - Jefferson Cartwright, di cinquantanni, ex giocatore di calcio della Virginia University, che aveva sposato il denaro e poi l'aveva perduto - aveva in tasca carta bianca per ottenere tutto ciò che aveva sempre desiderato. Era di nuovo nello stadio e le folle ruggivano. Gol!
Ormai nulla poteva essergli negato.
***