2.
La berlina marrone con le insegne dell'esercito degli Stati Uniti su entrambe le portiere svoltò a destra nella Ventiduesima ed entrò in Gramercy Square.
Sul sedile posteriore, Matthew Canfield si piegò in avanti, prese la valigetta da documenti che aveva in grembo e la depose ai suoi piedi. Tirò giù la manica destra del cappotto per coprire la grossa catena d'argento ch'era avvolta stretta attorno al suo polso e passata attraverso la maniglia di metallo della valigetta.
Canfield sapeva che il contenuto di quella borsa, o più precisamente il fatto che fosse in suo possesso, significava la fine per lui. Quando tutto sarebbe stato concluso, e se lui fosse stato ancora vivo, l'avrebbero messo in croce se solo fossero riusciti a trovare una maniera che non coinvolgesse i militari.
L'automobile dell'esercito girò due volte a sinistra e si fermò davanti all'ingresso dei Gramercy Arms Apartments. Un portiere in uniforme aprì la portiera posteriore e Canfield uscì.
«Torni qui tra mezz'ora» disse all'autista. «Non un minuto più tardi.» Il pallido sergente, evidentemente condizionato dalle abitudini del suo superiore, rispose: «Sarò di ritorno tra venti minuti, signore.» Il maggiore annuì con aria di approvazione, si voltò ed entrò nel palazzo. Mentre saliva in ascensore, si rese confusamente conto di quant'era stanco. Sembrava che ogni numero restasse illuminato molto più a lungo di quello che avrebbe dovuto; il lasso di tempo tra un piano e l'altro pareva interminabile. Eppure non aveva fretta. Nessuna fretta, affatto.
Diciott'anni. La fine della menzogna, ma non la fine della paura.
Quest'ultima sarebbe arrivata solo con la morte di Kroeger. Ciò che sarebbe restato era la colpa. E lui poteva vivere con la colpa, perché sarebbe stata esclusivamente sua, non del ragazzo o di Janet.
Sarebbe stata anche la sua morte. Non di Janet, non di Andrew.
Se qualcuno doveva morire, sarebbe stato lui. Lui stesso vi avrebbe provveduto.
Non avrebbe lasciato Berna, finché Kroeger non fosse morto.
Kroeger o lui.
Con ogni probabilità, tutti e due.
Uscito dall'ascensore, girò a sinistra e percorse il breve corridoio fino a una porta. La aprì con le chiavi ed entrò in un ampio, comodo soggiorno. Due enormi bovindi guardavano sul parco, e diverse porte conducevano alle camere da letto, alla sala da pranzo, all'anticucina e alla biblioteca. Canfield si fermò un attimo e pensò inevitabilmente che anche tutto quello risaliva a diciott'anni prima.
La porta della biblioteca si aprì e apparve un giovane che fece un cenno col capo, senza entusiasmo, a Canfield. «Ciao, papà.» Canfield fissò il ragazzo. Gli ci volle parecchia forza d'animo per non precipitarsi incontro a suo figlio e stringerlo a sé.
Suo figlio.
Che non era suo figlio.
Canfield sapeva che se avesse provato a fare un simile gesto sarebbe stato respinto. Il ragazzo ora era diffidente e, anche se cercava di non farlo vedere, aveva paura.
«Ciao» disse il maggiore. «Vuoi darmi una mano a togliere questa roba, per favore?» Il giovane si mosse verso di lui e borbottò: «Si, certo.» Insieme aprirono la chiusura principale della catena, e il ragazzo tenne la cartella dritta in fuori, in modo che Canfield potesse maneggiare la serratura secondaria a combinazione che era assicurata sul dorso del suo polso. Slegata finalmente la valigetta, Canfield si tolse il cappello, il cappotto e la giacca dell'uniforme, gettandoli su una poltrona.
Il ragazzo teneva in mano la valigetta, restando in piedi, immobile, davanti al maggiore. Era straordinariamente bello. Aveva gli occhi di un azzurro intenso sotto delle sopracciglia scurissime, il naso dritto ma leggermente all'insù e i capelli neri ordinatamente pettinati all'indietro. La sua carnagione era scura, come fosse perennemente abbronzato. Era alto un po' più di un metro e ottanta e indossava dei pantaloni di flanella grigia, una camicia azzurra e una giacca di tweed.
«Come va?» domandò Canfield.
Il giovane esitò un attimo, poi rispose a bassa voce. «Be', per il mio dodicesimo compleanno tu e la mamma mi regalaste una barca a vela. Quello l'ho apprezzato di più.» L'uomo più anziano ricambiò il sorriso del più giovane. «Ne sono convinto.»
«E questo?» Il ragazzo mise la valigetta sul tavolo e la toccò.
«Si, c'è tutto.»
«Suppongo che dovrei sentirmi privilegiato.»
«C'è voluto un ordine esecutivo del Presidente per ottenerlo dal dipartimento di Stato.»
«Davvero?» Il ragazzo alzò gli occhi.
«Non t'allarmare. Dubito che sappia cosa c'è dentro.»
«Come mai?»
«E stato fatto un patto. Si è arrivati a un accordo.»
«Non ci credo.»
«Penso che ci crederai dopo che l'avrai letto. Non più di dieci persone l'hanno mai visto tutt'intero, e la maggior parte di loro è morta. Quando compilammo l'ultimo quarto dell'incartamento, lo facemmo per sezioni... nel 1938. È nella cartelletta coi sigilli di piombo. Le pagine non sono in sequenza e bisogna metterle in ordine. La chiave è nella prima pagina.» Il maggiore si allentò con gesto rapido la cravatta e incominciò a sbottonarsi la camicia.
«Tutto questo era necessario?»
«Noi pensavamo che lo fosse. Se ben ricordo, usammo a rotazione diversi gruppi di dattilografi.» Il maggiore si incamminò verso la porta di una stanza da letto. «Ti consiglio di mettere a posto le pagine prima di cominciare l'ultima cartelletta.» Entrò nella stanza da letto, si tolse in fretta la camicia e si slacciò le scarpe. Il ragazzo lo seguì e si fermò nel vano della porta.
«Quando partiamo?»
«Giovedì.»
«Come?»
«Bombardiere Ferry Commando Base aeronautica Matthews per Terranova, Islanda, Groenlandia, fino all'Irlanda. Dall'Irlanda, su un aereo neutrale, direttamente a Lisbona.»
«Lisbona?»
«L'ambasciata svizzera subentra da quel momento. Ci porteranno loro a Berna... Siamo perfettamente protetti.» Canfield, che si era tolto i pantaloni, ne scelse un paio di flanella grigio chiaro nella cabina-armadio e se li infilò.
«E alla mamma cosa diremo?» chiese il ragazzo.
Canfield passò nel bagno senza rispondere. Riempì il lavandino di acqua calda e incominciò a insaponarsi la faccia.
Il ragazzo lo seguì con lo sguardo, ma non si mosse, né ruppe il silenzio. Si rese conto che suo padre era molto più turbato di quanto desiderasse lasciar vedere.
«Prendimi una camicia pulita nel secondo cassetto, per favore. Mettila sul letto.»
«Certo.» Il giovane prese una camicia di popeline nel cassetto del comò.
Canfield parlò mentre si faceva la barba. «Oggi è lunedì, quindi ci restano tre giorni. Io farò gli ultimi preparativi, e questo ti darà il tempo di assimilare il dossier. Avrai delle domande da fare, e non c'è bisogno che ti dica che dovrai farle a me. Tanto non parlerai con nessun altro che potrebbe risponderti, ma comunque, se per caso ti scaldassi e volessi prendere il telefono, non farlo.»
«Intesi.»
«Incidentalmente, non pensare di dover imparare a memoria niente. Non è importante. So solo che tu devi capire.» Si stava comportando in modo onesto col ragazzo? Era veramente necessario fargli sentire il peso della verità ufficiale? Canfield si era convinto che lo era, perché nonostante gli anni vissuti insieme, nonostante l'affetto che c'era tra di loro, Andrew era uno Scarlett. E tra qualche anno avrebbe ereditato una delle più grosse fortune del mondo. Una persona così doveva venire responsabilizzata quando era necessario, non quand'era conveniente.
O no?
Oppure Canfield stava semplicemente prendendo la strada più facile per sé stesso? Fate che le parole vengano da qualcun altro. Oh, Dio! Fate parlare qualcun altro!
Il maggiore si asciugò il viso con una salvietta, ci spruzzò su un po' di acqua di colonia, e incominciò a infilarsi la camicia.
«Se ti può interessare, ti sei lasciato metà barba.»
«Non m'interessa.» Canfield prese una cravatta da una rastrelliera nella porta della cabina-armadio e tolse un blazer blu scuro da una gruccia. «Quando me ne vado, puoi cominciare a leggere. Se esci per cena, metti la valigetta nell'armadietto a destra della porta della biblioteca. Eccoti la chiave.» Sganciò una chiavetta dal suo portachiavi.
I due uomini uscirono dalla stanza da letto e Canfield si avviò verso l'uscita.
«O non mi hai sentito o non vuoi rispondere, ma come la mettiamo con la mamma?»
«Ti ho sentito.» Canfield si voltò verso il giovane. «Janet non deve sapere niente.»
«Perché no? E se succedesse qualcosa?» Canfield era visibilmente turbato. «Sono dell'idea che non bisogna dirle nulla.»
«Non sono d'accordo con te.» Il giovane conservò un tono pacato.
«La cosa non mi interessa!»
«Forse dovrebbe interessarti. Sono piuttosto importante per te, adesso... Non ho scelto io di esserlo, papà.»
«E credi che questo ti dia il diritto di dare ordini?»
«Credo di avere il diritto di essere ascoltato... Senti, lo so che sei sconvolto, ma si tratta di mia madre.»
«E di mia moglie. Vedi di non dimenticare questo aspetto, d'accordo, Andy?» Il maggiore fece alcuni passi verso il ragazzo, ma Andrew Scarlett si allontanò, raggiungendo il tavolo dov'era posata, vicino alla lampada, la valigetta di pelle nera.
«Non mi hai mai fatto vedere come si apre la tua borsa.»
«Non è chiusa a chiave. L'ho aperta in macchina. Si apre come tutte le altre.» Il giovane Scarlett toccò i fermagli, che si aprirono di scatto. «Non ti ho creduto ieri sera, sai» disse con tono tranquillo mentre apriva il coperchio della valigetta.
«Non c'è da meravigliarsi.»
«No. Non su di lui. A quella parte credo, perché risponde a molte domande su di te.» Si voltò e guardò l'uomo più anziano. «Be', non proprio delle domande, perché ho sempre pensato di sapere per quale ragione hai agito come hai agito. M'immaginavo che ce l'avessi semplicemente con gli Scarlett... Non con me. Gli Scarlett. Lo zio Chancellor, la zia Allison, tutti i ragazzi. Tu e mamma ridevate sempre di loro. E io pure... Ricordo come fu penoso per te dirmi perché il mio cognome non poteva essere come il tuo. Te lo ricordi?»
«Con dolore.» Canfield sorrise lievemente.
«Ma negli ultimi due anni... sei cambiato. Sei diventato piuttosto malevolo verso gli Scarlett. Stavi male ogni volta che qualcuno nominava le società Scarlatti. Perdevi le staffe ogni volta che gli avvocati della Scarlatti fissavano un appuntamento per discutere la mia situazione con te e con mamma. Lei si arrabbiava e diceva che eri irragionevole...
Solo che aveva torto. Ora capisco... Così, vedi, sono pronto a credere a qualunque cosa ci sia qui dentro.» Chiuse il coperchio della valigetta.
«Non sarà facile per te.»
«Non è facile già adesso, e sto appena superando il primo shock.» Fece un sorriso sforzato. «Comunque, imparerò a vivere con questa consapevolezza, immagino... Non l'ho mai conosciuto. Non è mai stato niente per me. Non ho mai prestato molta attenzione alle storie di zio Chancellor. Capisci, io non volevo sapere niente. Sai perché?» Il maggiore guardò attentamente il giovane. «No, non lo so» rispose.
«Perché non ho mai desiderato appartenere a nessun altro che non fossi tu... e Janet.» Oh, Dio del cielo misericordioso, pensò Canfield.
«Devo andare.» Ancora una volta si avviò verso la porta.
«Non ancora. Non abbiamo sistemato niente.»
«Non c'è niente da sistemare.»
«Non hai sentito cos'era quello a cui non ho creduto ieri sera.» Canfield si fermò, con la mano sulla maniglia. «Che cos'era?»
«Che la mamma... non sa di lui.» Canfield tolse la mano dalla maniglia e restò in piedi accanto alla porta. Quando parlò, la sua voce era bassa e controllata. «Speravo di rimandare quest'argomento a più tardi. A quando tu avessi letto l'incartamento.»
«Dev'essere ora, altrimenti non voglio leggerlo. Se bisogna tenerle nascosto qualcosa, devo sapere il perché, prima di andare avanti.» Il maggiore ritornò nel centro della stanza. «Che cosa vuoi che ti dica? Che questa rivelazione l'ucciderebbe?»
«Veramente?»
«Probabilmente no. Ma non ho il coraggio di fare questa verifica.»
«Da quando lo sai?» Canfield andò alla finestra. Nel parco non c'erano più i bambini. Il cancello era chiuso.
«Il 12 giugno del 1936 l'identificai con sicurezza. Emendai l'incartamento un anno e mezzo più tardi, il 2 gennaio del '38.»
«Cristo.»
«Si... Cristo.»
«E non gliel'hai mai detto?»
«No.»
«Perché no, papà?»
«Potrei darti venti o trenta ragioni eccellenti» disse Canfield continuando a guardare il Gramercy Park. «Ma ce ne sono tre che mi sono sempre parse decisive. La prima è che lui gliene ha fatte abbastanza; è stato il suo inferno personale. La seconda, che una volta morta tua nonna, nessun altro al mondo poteva identificarlo. E la terza ragione è che tua madre mi credette quando le dissi che... che l'avevo ucciso.»
«Tu!» Il maggiore si scostò dalla finestra. «Si, io. Io credevo di averlo fatto... Tanto che costrinsi ventidue testimoni a firmare degli affidavit in cui si dichiarava che era morto. Corruppi una corte fuori Zurigo perché rilasciasse il certificato di morte. Tutto molto legale... Quel mattino di giugno del '36, quando scoprii la verità, eravamo nella casa sulla baia, e io ero nel patio a prendere il caffè. Tu e tua madre stavate lavando un dinghy e mi chiamavate per metterlo in acqua. Tu continuavi a spruzzarla col tubo di gomma e lei rideva e strillava e correva attorno alla barca con te dietro. Era così felice! Non glielo dissi. Non sono fiero di me, ma è andata così.» Il giovane si sedette vicino alla tavola. Incominciò a parlare diverse volte, ma le sue frasi erano sconnesse e prive di senso.
Canfield parlò con tono calmo. «Sei sicuro di voler appartenere a me?» Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui. «Devi averla amata molto.»
«E ancora così.»
«Allora io... Voglio ancora appartenere a te.» Di fronte alla sfumata, pudica dichiarazione contenuta nelle parole del ragazzo, per poco Canfield non crollò. Ma aveva giurato a sé stesso di non farlo a nessun costo. C'erano ancora troppe cose da affrontare.
«Ti ringrazio di questo.» Ritornò alla finestra. Avevano acceso i lampioni - uno si e uno no, quasi a ricordare alla gente che poteva succedere qui, ma probabilmente non sarebbe successo, perciò potevano rilassarsi.
«Papà?»
«Si?»
«Perché sei tornato indietro e hai cambiato l'incartamento?» Ci fu un lungo silenzio prima che Canfield rispondesse. «Ho dovuto farlo... Detto adesso suona strano: Ho dovuto farlo. Mi ci vollero diciotto mesi per prendere quella decisione. Quando finalmente lo feci, ci misi meno di cinque minuti a convincermi.» Si fermò un istante domandandosi se fosse necessario dirlo al ragazzo. Non serviva a niente non dirglielo. «Il capodanno del '36 tua madre mi comprò una nuova Packard Roadster. Dodici cilindri. Una macchina splendida. La presi per fare un giretto sulla strada per Southampton... Non so bene cosa accadde - penso si fosse bloccato lo sterzo. Non so, ma ci fu un incidente. La macchina capottò due volte prima che venissi scagliato lontano. L'auto era distrutta, ma io stavo bene. A parte un po' di sangue. Ma mi venne in mente che avrei potuto restare ucciso.»
«Me lo ricordo. Telefonasti da casa di qualcuno e io e la mamma saltammo in macchina per venire a prenderti. Eri conciato malissimo.»
«Esatto. Fu allora che mi decisi a tornare a Washington per correggere l'incartamento.»
«Non capisco.» Canfield si sedette sul sedile della finestra. «Se mi fosse successo qualcosa, Scarlett... Kroeger avrebbe potuto mettere in scena una storia dell'orrore, e l'avrebbe fatto se gli fosse servito. Janet era vulnerabile, perché non sapeva niente. Perciò prima o poi bisognava dire la verità... Ma in modo tale da non lasciare a nessuno dei due governi altra alternativa che quella di fare eliminare Kroeger... immediatamente.
Per quanto riguarda questo Paese, Kroeger ha preso in giro un sacco di uomini importanti. Alcuni di quei distinti signori oggi sono in politica. Altri producono aerei, carri armati e navi. Identificando Kroeger con Scarlett, ci ritroviamo tutta una nuova serie di domande. Domande che il nostro governo non vorrà che vengano poste adesso. O forse mai.» Si sbottonò lentamente il cappotto di tweed, ma non volle toglierselo.
«Gli avvocati delle società Scarlatti hanno una lettera che dovrà essere consegnata alla mia morte, o scomparsa, al ministro più importante di qualunque governo ci sia a Washington in quel periodo. Gli avvocati della Scarlatti sono bravi in quel genere di cose... Sapevo che ci sarebbe stata la guerra. Lo sapevano tutti. Ricordati, era il 1938... La lettera indirizza quella persona all'incartamento e alla verità.» Canfield trasse un profondo respiro e guardò il soffitto.
«Come vedrai, ho abbozzato una specifica linea di condotta per il caso che fossimo in guerra e una variante per il caso contrario. Solo in circostanze di estrema gravità tua madre sarebbe stata messa al corrente.»
«Perché qualcuno dovrebbe prestarti attenzione dopo quello che hai fatto?» Andrew Scarlett era acuto. Canfield se ne compiacque.
«Ci sono periodi in cui i Paesi... persino i Paesi in guerra tra loro hanno gli stessi obiettivi. Per questi scopi sono sempre aperte delle linee di comunicazione... Heinrich Kroeger è un esempio calzante. Infatti rappresenta un imbarazzo troppo grave per tutte e due le parti... Questo, l'incartamento lo mette in chiaro.»
«Sembra piuttosto cinico.»
«Lo è... Ho dato istruzione che entro quarantott'ore dalla mia morte venga contattato l'alto comando del Terzo Reich e gli venga comunicato che alcuni funzionari del massimo livello del nostro servizio segreto militare da tempo sospettavano che Heinrich Kroeger fosse un cittadino americano.» Andrew Scarlett si sporse sull'orlo della sedia. Canfield proseguì, apparentemente senza notare la crescente preoccupazione del ragazzo.
«Dal momento che Kroeger prende in modo costante contatti sotterranei con parecchi americani, si ritiene che questi sospetti siano confermati. Tuttavia, come risultato...» Canfield si fermò un istante per cercare di ricordare le parole esatte. «... 'della morte di tale Matthew Canfield, un ex collega dell'uomo conosciuto come Heinrich Kroeger...', il nostro governo ha in suo possesso... documenti che affermano inequivocabilmente che Heinrich Kroeger è... un pazzo criminale. Non vogliamo avere nulla a che fare con lui. Né come ex cittadino, né come transfuga.» Il giovane si alzò dalla sedia, fissando il patrigno. «È vero?»
«Sarebbe sufficiente, il che è più pertinente. La combinazione è sufficiente a garantire una rapida esecuzione. Un traditore, oltre che un pazzo.»
«Non è questo che ho chiesto.»
«Tutte le informazioni sono nell'incartamento.»
«Vorrei saperlo ora. È vero? È... era pazzo? O è un trucco?» Canfield si alzò. La sua risposta fu poco più di un sussurro. «Ecco la ragione per cui volevo aspettare. Tu vuoi una risposta semplice, e non c'è.»
«Io voglio sapere se mio... padre era pazzo.»
«Se intendi dire se abbiamo veramente delle prove documentate delle autorità mediche che era squilibrato... No. D'altra parte, a Zurigo c'erano ancora dieci uomini, personaggi potenti - sei sono ancora vivi - che avevano tutte le ragioni possibili per volere che Kroeger, come lo conoscevano, venisse considerato un pazzo... Era la loro unica via d'uscita. Ed essendo quelli che erano, fecero in modo che fosse così. Tutti e dieci confermarono che l'Heinrich Kroeger di cui si parla nell'incartamento originale era pazzo. Un pazzo schizofrenico. Fu uno sforzo collettivo che non lasciò spazio a nessun dubbio. Non avevano scelta... Ma se lo domandi a me... Kroeger era l'uomo più sano di mente che si possa immaginare. E il più crudele. Leggerai anche questo.»
«Perché non lo chiami col suo vero nome?» Improvvisamente, come se la tensione gli fosse ormai diventata intollerabile, Canfield si voltò di scatto.
Andrew guardò quell'uomo di mezza età arrabbiato e rosso in viso. L'aveva sempre amato, perché era un uomo ch'era impossibile non amare. Positivo, sicuro, capace, divertente e - qual'era la parola che aveva usato il suo patrigno? - vulnerabile.
«Non cercavi soltanto di proteggere la mamma, vero? Cercavi di proteggere me. E sempre per proteggermi hai fatto quello che hai fatto... Se mai lui dovesse ritornare, io sarei un disgraziato per tutto il resto della mia vita.» Canfield si girò lentamente e si mise di fronte al ragazzo. «Non solo tu. Ci sarebbero molti disgraziati.»
«Ma non sarebbe lo stesso per loro.» Il giovane Scarlett ritornò verso la valigetta.
«Te lo concedo. Non sarebbe lo stesso.» Canfield seguì il ragazzo e si fermò dietro di lui. «Avrei dato qualsiasi cosa per non dirtelo, penso che tu lo sappia. Non ho avuto scelta. Facendo di te una parte delle condizioni finali, Kroeger non mi ha lasciato altra scelta che dirti la verità. Questo non lo potevo falsificare... Credeva che, quando avresti saputo la verità, saresti stato terrorizzato, e che io avrei fatto qualunque cosa tranne ucciderti - forse anche quello - per impedirti di essere preso dal panico. Ci sono delle informazioni in questo fascicolo che potrebbero distruggere tua madre. E mandarmi in prigione, probabilmente per il resto della mia vita. Oh, Kroeger ha valutato tutto. Ma ha fatto male i suoi conti. Non ti conosceva.»
«Devo veramente vederlo? Parlargli?»
«Ci sarò anch'io nella stanza. Cioè dove si farà il patto.» Andrew Scarlett lo guardò sbigottito. «Allora farai un patto con lui.» Era una constatazione sgradevole.
«Dobbiamo sapere cosa può darci. Appena sarà persuaso che ho tenuto fede alla mia parte dell'accordo, portandoti, sapremo cosa offre. E cosa vuole in cambio.»
«Allora non c'è bisogno che legga questo, vero...» Non era una domanda. «Tutto quello che devo fare è esserci... D'accordo, ci sarò.»
«Lo leggerai perché te lo ordino io!»
«Va bene. Va bene, papà. Lo leggerò.»
«Grazie... Mi dispiace di averti dovuto parlare in questo modo.» Cominciò ad abbottonarsi il cappotto.
«Certo... Me lo sono meritato... A proposito, e se la mamma decide di chiamarmi a scuola? Lo fa, sai.»
«A partire da stamattina hai il telefono sotto controllo. C'è un intercettatore, per la precisione. Funziona perfettamente. Hai un nuovo amico chiamato Tom Ahrens!»
«Chi è?»
«Un tenente del controspionaggio. Assegnato a Boston. Ha il tuo orario e ti filtrerà le telefonate. Sa cosa deve dire. Sei andato a Smith per qualche giorno.»
«Gesù, le pensi proprio tutte.»
«Quasi sempre.» Canfield era già alla porta. «Può darsi che non torni, stanotte.»
«Dove vai?»
«Ho del lavoro da fare. Preferirei che non uscissi, ma se lo fai, ricordati dell'armadietto. Metti via tutto.» Aprì la porta.
«Non andrò in nessun posto.»
«Bene. E, Andy... Ti aspettano delle responsabilità spaventose. Spero che ti abbiamo tirato su in modo che tu possa farcela. Io credo di si.» Canfield uscì dalla porta e la chiuse dietro di sé.
Il ragazzo sapeva che il patrigno non trovava le parole giuste. Che stava cercando di dire qualcos'altro. Guardava fisso la porta e a un tratto capì cos'era questo qualcos'altro.
Matthew Canfield non sarebbe ritornato.
Che cosa aveva detto? In caso di estrema necessità, Janet doveva essere messa al corrente. Sua madre doveva conoscere la verità. E ora non c'era nessun altro che potesse dirgliela.
Andrew Scarlett guardò la valigetta sul tavolo.
Il figlio e il patrigno stavano per andare a Berna, ma solo il figlio sarebbe ritornato.
Matthew Canfield stava andando a morire.
* * *
Canfield chiuse la porta dell'appartamento e s'appoggiò alla parete del corridoio. Era grondante di sudore, e il battito ritmico del suo cuore era così forte che pensò si potesse sentire nell'appartamento.
Diede un'occhiata all'orologio. Ci aveva messo meno di un'ora, e aveva conservato notevolmente la calma. Ora desiderava allontanarsi il più possibile. Sapeva che secondo qualunque norma di coraggio, moralità o responsabilità sarebbe dovuto restare col ragazzo. Ma in quel momento non si poteva pretendere questo da lui. Una cosa per volta, o sarebbe uscito di senno. Una è fatta, via con la prossima.
Qual era la prossima?
Domani.
Il corriere per Lisbona con le precauzioni dettagliate. Un errore e tutto poteva andare a monte. Il corriere non sarebbe partito prima delle sette di sera.
Poteva passare la notte e la maggior parte della giornata con Janet. Si rese conto che doveva farlo: se Andy cedeva, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata raggiungere sua madre. Dato che non aveva il coraggio di restare con lui, doveva stare con lei.
All'inferno l'ufficio! All'inferno l'esercito! All'inferno il governo degli Stati Uniti!
In vista della sua imminente partenza era sotto sorveglianza, volontaria, ventiquattr'ore su ventiquattro. Che Dio li maledica!
Pretendevano che fosse sempre a non più di dieci minuti di distanza da una telescrivente.
Be', non ci sarebbe stato.
Avrebbe passato tutto il tempo che poteva con lei. Janet stava chiudendo la casa di Oyster Bay per l'inverno. Sarebbero stati soli, forse per l'ultima volta.
Diciott'anni e la pantomima stava entrando nella fase risolutiva. Fortunatamente per il suo stato ansioso, l'ascensore arrivò quasi subito. Perché ora Canfield aveva fretta. Fretta di raggiungere Janet.
Il sergente tenne aperta la portiera dell'auto e gli fece il saluto militare con tutto lo stile di cui era capace. In circostanze normali, il maggiore avrebbe rimproverato il sergente e gli avrebbe ricordato che era in abiti civili. Questa volta, invece, ricambiò il saluto con aria informale e saltò in macchina.
«In ufficio, maggiore Canfield?»
«No, sergente. A Oyster Bay.»
***