15.



I bauli di Elisabeth vennero imbarcati sulla nave di linea inglese Calpurnia. La donna aveva detto alla sua famiglia che gli avvenimenti degli ultimi mesi avevano dato fondo alla sua pazienza e minato la sua salute, ragion per cui aveva in programma un lungo soggiorno in Europa - da sola. Sarebbe partita il mattino seguente. Chancellor Drew convenne che un viaggio le avrebbe giovato, ma insistè moltissimo perché sua madre portasse con sé una compagna. Dopo tutto, Elisabeth non era più giovane, e data la sua età avanzata qualcuno doveva accompagnarla. Le suggerì Janet.

Elisabeth suggerì che Chancellor Drew serbasse i suoi suggerimenti per la Fondazione Scarwyck, ma il problema di Janet andava affrontato lo stesso.

Così chiese alla ragazza di venirla a trovare a casa nel tardo pomeriggio del penultimo giorno prima della partenza della Calpurnia.

«E difficile credere alle cose che mi dici, Janet. Non tanto su mio figlio, quanto su di te. Lo amavi?»

«Si. Penso di si. O forse ero sopraffatta da lui. All'inizio c'erano tante persone, tanti posti. Tutto a un ritmo così intenso. E poi mi resi conto - lentamente - di non piacergli. Non sopportava di restare nella stessa stanza con me. Ero un'irritante necessità. Dio! Non chiedermi perché!» Elisabeth ricordò le parole di suo figlio. 'È ora che mi sposi... Sarà una buona moglie. Perché aveva detto quelle parole? Perché era così importante per lui?

«Ti era fedele?» La ragazza buttò indietro la testa e rise. «Hai idea di che cosa sia dividere il proprio marito con - be', non si sa mai esattamente...»

«La moderna psicologia ci dice che spesso gli uomini si comportano in questo modo per compensare, Janet. Per convincersi di essere... efficienti.»

«Altro errore, madame Scarlatti!» Janet pronunciò enfaticamente il nome di Elisabeth inserendo una nota di leggero disprezzo. «Tuo figlio era efficiente. Estremamente efficiente. Immagino che non dovrei dirlo, ma noi due facevamo l'amore moltissimo. Il momento, il posto, erano cose che non importavano a Ulster. O se io lo desideravo o no. Questa era l'ultima considerazione. Anzi, io ero l'ultima considerazione.»

«Perché lo hai tollerato? E questo che mi riesce difficile capire.» Janet Scarlett armeggiò nella borsetta. Tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne accese nervosamente una. «Fin qui te l'ho raccontato. Perché non il resto... Avevo paura.»

«Di che cosa?»

«Non so. Non ci ho mai riflettuto a fondo. Diciamo, perché no? Delle apparenze.»

«Se mi permetti di dirtelo, francamente mi sembra sciocco.»

«Tu dimentichi che ero la moglie di Ulster Stewart Scarlett. L'avevo accalappiato... Non è così semplice ammettere che non son stata capace di tenermelo più di qualche mese.»

«Capisco cosa vuoi dire... Sappiamo tutte e due che la cosa migliore per te sarebbe ottenere il divorzio sulla base di un presunto abbandono, ma verresti criticata spietatamente. Sembrerebbe una cosa di pessimo gusto.»

«Questo lo so. Ho deciso di aspettare che sia passato un anno prima di chiedere il divorzio. Un anno è un periodo ragionevole. Sarebbe comprensibile.»

«Non sono sicura che ti gioverebbe.»

«Perché no?»

«Separeresti te stessa e in parte tuo figlio dalla famiglia Scarlatti. Sarò franca con te. Non mi fido di Chancellor in queste circostanze.»

«Non capisco.»

«Non appena tu facessi la prima mossa, lui userebbe ogni arma legale disponibile per farti dichiarare indegna.»

«Cosa!»

«Controllerebbe sia il bambino sia l'eredità. Fortunatamente...»

«Sei pazza!» Elisabeth continuò come se Janet non avesse fiatato. «Fortunatamente, il senso del decoro di Chancellor - che sconfina nel ridicolo - gli impedirebbe di prendere l'iniziativa di un'azione che potrebbe causare imbarazzo... Ma se tu lo provocassi... No, Janet, la risposta non è il divorzio.»

«Ti rendi conto di quello che stai dicendo?»

«Ti assicuro di si... Se potessi garantire di essere ancora viva tra un anno, ti darei il mio beneplacito! Ma non posso farlo. E se non ci fossi io a fermarlo, Chancellor diventerebbe una belva senza scrupoli!»

«Non c'è niente, niente che Chancellor possa farmi! O possa fare al mio bambino!»

«Ti prego, cara. Io non sono una moralista. Ma il tuo comportamento non è stato propriamente irreprensibile.»

«Non sono obbligata ad ascoltare queste cose!» Janet si alzò dal divano e aprì la borsetta, rimettendo via le sigarette e tirando fuori i guanti.

«Non ti giudico. Sei una ragazza intelligente. Qualunque cosa tu faccia, sono certa che hai i tuoi motivi... E se ti può essere di qualche conforto, penso che tu abbia vissuto un anno d'inferno.»

«Si. Un anno d'inferno.» Janet Scarlett cominciò a infilarsi i guanti.

Elisabeth parlò rapidamente mentre andava alla sua scrivania vicino alla finestra. «Ma siamo sinceri. Se Ulster fosse qui, o in qualsiasi altro posto, purché si facesse vivo, si potrebbe arrivare, senza difficoltà, a un divorzio incontestato. Dopo tutto, nessuno di voi è senza macchia. Ma, come dice la legge, uno dei coniugi è scomparso, forse deceduto, ma non legalmente morto. E c'è un figlio, e un figlio unico. Quel bambino è l'erede di Ulster. Questo è il problema, Janet.» Elisabeth si chiese se la ragazza stesse incominciando a capire.

Il problema coi ragazzi ricchi, decise, non era che davano per scontati i loro quattrini, ma non riuscivano a capire che il denaro, anche se è un sottoprodotto, è un vero e proprio catalizzatore del potere e, per questa ragione, è una cosa spaventosa.

«Quando avrai fatto la prima mossa, caleranno gli uccelli da preda di entrambi i campi. In ultima analisi, il nome Scarlatti diventerebbe una barzelletta da spogliatoi di club sportivi. E questo non deve succedere!» Elisabeth tirò fuori dal cassetto della scrivania parecchie cartellette, ne scelse una, e rimise a posto le altre. Si sedette dietro la scrivania e guardò la ragazza.

«Capisci quello che sto dicendo?»

«Si, credo di si» disse lentamente la ragazza, abbassando lo sguardo sulle mani guantate. «Mi vuoi nascondere opportunamente in un angolo in modo che niente disturbi i tuoi preziosi Scarlett.» La ragazza esitò, alzando la testa per rispondere allo sguardo della suocera. «E dire che per un attimo ho pensato che saresti stata buona.»

«Non hai proprio tutti i requisiti per essere un caso da opera di carità» disse Elisabeth.

«No, suppongo di no. Ma dal momento che non cerco carità, la cosa non ha importanza, ti pare? Immagino che tu stia cercando di essere buona, a modo tuo.»

«Allora farai come ti consiglio?» Elisabeth mosse la cartelletta per rimetterla nel cassetto.

«No» disse decisa Janet Saxon Scarlett. «Farò esattamente come mi pare. E non penso che diventerò una barzelletta nei club sportivi.»

«Non esserne troppo sicura!» Elisabeth sbatté la cartelletta sulla scrivania.

«Aspetterò che sia passato un anno,» disse Janet «e poi farò tutto quello che sarà necessario. Mio padre saprà cosa fare. Farò come dice lui.»

«Tuo padre può avere qualche dubbio. È un uomo d'affari.»

«E anche mio padre!»

«Lo posso capire benissimo, mia cara. Lo capisco così bene che ti consiglio di permettermi di farti qualche domanda prima che te ne vada.» Elisabeth si alzò, raggiunse la porta della biblioteca, e la chiuse girando la chiave nella serratura d'ottone.

Janet osservò il movimento della vecchia donna con un misto di curiosità e di timore. Non era nello stile di sua suocera preoccuparsi minimamente della possibilità di essere interrotta. Qualsiasi intruso veniva immediatamente cacciato fuori.

«Non c'è nient'altro da dire. Voglio andare.»

«Sono d'accordo. Hai poco da dire» proruppe Elisabeth, che era tornata alla scrivania. «Ti è piaciuta l'Europa, mia cara? Parigi, Marsiglia, Roma? Devo dire, però, che a quanto parrebbe New York è un posto noioso per te. Suppongo che, date le circostanze, ci siano molte più possibilità al di là dell'oceano.»

«Cosa vuoi dire?»

«Quello che ho detto. Sembra che tu ti sia divertita smodatamente. Mio figlio si era trovato una compagna adattissima per i suoi passatempi. Comunque, se mi è. lecito dirlo, era spesso più discreto di te.»

«Non capisco di cosa stai parlando.» Elisabeth aprì la cartelletta e girò di scatto alcune pagine. «Dunque, vediamo... c'è stato un trombettista di colore a Parigi...»

«Un cosa? Di cosa stai parlando?»

«Ti riportò al tuo albergo, scusa, all'albergo tuo e di Ulster, alle otto di mattina. Ovviamente eri stata con lui tutta la notte.» Janet fissò incredula la suocera. Sebbene fosse sbalordita, le rispose rapidamente, tranquillamente. «Si. Parigi, si! E sono stata con lui, ma non nel modo che pensi tu. Stavo cercando di rintracciare Ulster. L'ho cercato per metà notte.»

«Questo fatto qui non risulta. Ti hanno vista rientrare all'albergo con un uomo di colore che ti sorreggeva.»

«Ero sfinita.»

«Ubriaca è la parola che usano qui...»

«E una menzogna!» La vecchia donna girò la pagina. «E poi una settimana nel Sud della Francia? Ricordi quel weekend, Janet?»

«No» rispose esitante la ragazza. «Cosa stai facendo? Che cos'hai li?» Elisabeth si alzò, tenendo la cartelletta lontana dagli occhi della ragazza. «Oh, andiamo. Quel weekend da madame Auriole. Come chiamano il suo castello... la Silhouette? Un nome che fa molta scena.»

«Era un'amica di Ulster!»

«E naturalmente tu non avevi idea di cosa la Silhouette di Auriole voleva dire, e vuole ancora dire, suppongo, in tutto il Sud della Francia.»

«Non vorrai insinuare che io avessi qualcosa a che fare con tutto questo?»

«Dimmi solo cosa intendeva la gente quando diceva che andava da Auriole Silhouette.»

«Non puoi pensarlo sul serio.»

«Cosa succede da Auriole Silhouette?» La voce di Elisabeth si alzò rabbiosamente.

«Io non... non lo so. Non lo so!»

«Cosa succede laggiù?»

«Non ti risponderò.»

«Ciò è molto prudente, ma temo che non funzionerà. Lo sanno tutti che le specialità del menu di madame Auriole sono l'oppio, l'hashish, la marijuana, l'eroina... Un rifugio per i consumatori di qualunque tipo di droga!»

«Io non lo sapevo!»

«Non ne sapevi niente? Per un intero weekend? Per tre giorni nel pieno della stagione?»

«No... Si, l'ho scoperto e me ne sono andata. Me ne sono andata appena mi sono resa conto di cosa facevano!»

«Orge per tossicomani. Occasioni meravigliose per dei sofisticati voyeur. Giorno e notte. E la signora Scarlett non ne sapeva assolutamente niente.»

«Giuro che non lo sapevo!» Il tono della voce di Elisabeth si mutò in uno di gentile fermezza. «Ne sono sicura, mia cara, ma non so chi ti crederebbe.» Fece una breve pausa. «Ci sono molte altre cose qui.» Girò rapida le pagine, sedendosi ancora una volta dietro la scrivania. «Berlino, Vienna, Roma. Specialmente il Cairo.» Janet corse verso Elisabeth e si protese sulla scrivania, con gli occhi sbarrati per la paura. «Ulster mi abbandonò per quasi due settimane! Non sapevo dove fosse. Ero annichilita.»

«Sei stata vista andare nei posti più strani, mia cara. Hai persino commesso uno dei più gravi crimini internazionali. Hai comprato un altro essere umano. Hai preso una schiava.»

«No! No! Questo non è vero!»

«Oh, si che è vero. Hai comprato una ragazzina araba tredicenne che stavano vendendo come prostituta. In quanto cittadina americana, sei soggetta a specifiche leggi...»

«E una menzogna!» interruppe Janet. «Mi dissero che se avessi pagato, l'araba avrebbe potuto dirmi dov'era Ulster! E tutto ciò che ho fatto!»

«No, non è tutto. Gli hai fatto un regalo. Una ragazzina tredicenne fu il tuo regalo per lui, e lo sai. Mi chiedo se hai mai pensato a lei.»

«Volevo solo trovare Ulster! Ne fui disgustata quando lo scoprii. Io non capivo! Non sapevo neanche di cosa parlavano! Tutto quello che volevo era trovare Ulster e andarmene da quell'orribile posto!»

«Non pretenderei di mettere in dubbio quello che dici. Altri, però, lo farebbero.»

«Chi?» La ragazza stava tremando.

«I tribunali, per fare un esempio. I giornali, per farne un altro.» Elisabeth fissò la ragazza spaventata. «I miei amici - Persino i tuoi amici.»

«E tu lasceresti... Che qualcuno usasse quelle menzogne contro di me?» Elisabeth si strinse nelle spalle.

«E contro tuo nipote?»

«Dubito che sarebbe tuo figlio, legalmente, cioè, per molto tempo ancora. Sono certa che verrebbe posto sotto tutela del tribunale finché non venisse stabilito che è Chancellor il tutore adatto per lui.» Janet si sedette lentamente sull'orlo della sedia. La bocca dischiusa, incominciò a piangere.

«Per favore, Janet. Non ti sto chiedendo di chiuderti in convento. Non ti sto neanche chiedendo di rinunciare alle normali soddisfazioni di una donna della tua età e coi tuoi appetiti. Non ti sei molto limitata negli ultimi mesi, e non mi aspetto che tu lo faccia ora. Ti chiedo solo una buona dose di discrezione, forse un po' di più di quella che hai osservato finora, e un sano grado di prudenza fisica. Se mancherà quest'ultima, immediato rimedio.» Janet Saxon Scarlett distolse lo sguardo, chiudendo stretti gli occhi. «Sei un mostro» mormorò.

«Immagino di apparirti così in questo momento. Spero che un giorno tu possa cambiare idea.» Janet s'alzò di scatto dalla sedia.

«Fammi uscire da questa casa!»

«In nome di Dio, cerca di capire. Chancellor ed Allison saranno qui tra poco. Ho bisogno di te, cara.» La ragazza corse alla porta, dimenticando che la serratura era chiusa. Non riusciva ad aprirla. La sua voce era bassa per il panico che l'invadeva. «Cos'altro potresti volere ancora?» Ed Elisabeth capì di aver vinto.



***