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Ulster Scarlett guardava la faccia rossa, irata di Adolf Hitler. Si rendeva conto che, nonostante la sua furia, Hitler aveva una capacità di controllo che si poteva definire senz'altro miracolosa. Ma già l'uomo in sé era un miracolo. Un miracolo della storia, che li avrebbe guidati nel migliore dei mondi possibili realizzabili sulla Terra.

I tre uomini - Hess, Goebbels e Kroeger - avevano guidato tutta la notte da Montbéliard a Monaco, dove Hitler e Ludendorff aspettavano un rapporto sul loro incontro con Rheinhart. Se il colloquio era andato bene, sarebbe scattato il piano di Ludendorff. Ogni fazione del Reichstag con un seguito consistente sarebbe stata avvertita che era imminente una coalizione. Ci sarebbero state promesse, sottintese minacce. Ludendorff, in quanto unico esponente del partito nazionalsocialista membro del Reichstag e candidato l'anno precedente alla presidenza del parlamento, avrebbe raccolto un grande consenso. Era il soldato-pensatore. Poco a poco stava acquistando quell'autorità morale che aveva perduto nella disfatta della Mosa-Argonne.

Nello stesso momento, in dodici differenti città, sarebbero state inscenate dimostrazioni contro Versailles, e la polizia era stata generosamente pagata perché non intervenisse. Hitler doveva andare a Oldenburg, nel centro della Prussia nordoccidentale, dove le grandi proprietà dell'aristocrazia militare stavano lentamente maturando - sui potenti ricordi delle glorie passate. Ci sarebbe stato un immenso raduno, e si era deciso che Rheinhart avrebbe fatto la sua comparsa.

La presenza di Rheinhart era sufficiente per dare credito all'appoggio dei militari al partito. Era più che sufficiente; sarebbe stato un punto culminante del loro attuale progresso. Il riconoscimento di Hitler da parte di Rheinhart non avrebbe lasciato spazio a dubbi sulle simpatie dei generali.

Ludendorff considerava questo atto una necessità politica. Hitler lo considerava un colpo politico. Il caporale austriaco non rimaneva mai insensibile all'idea dell'approvazione degli Junker. Sapeva che era scritto nel suo destino di avere questa approvazione - di esigerla! - ma nondimeno ciò lo riempiva di orgoglio e questo era il motivo per cui ora era furioso.

Il brutto e piccolo Goebbels aveva appena finito di riferire a Ludendorff e Hitler i commenti di Rheinhart sull'austriaco.

Nel grande studio preso in affitto, che dava sulla Sedlingerstrasse, Hitler si afferrò ai braccioli della poltrona e si alzò di scatto. Per un attimo guardò di traverso Goebbels, ma il piccolo sciancato sapeva bene che Hitler non era furioso per causa sua, ma per le notizie che gli aveva dato.

«Brutto porco! Lo rispediremo al suo paese! Rimandalo dalle sue vacche!» Scarlett stava appoggiato alla parete vicino a Hess. Come sempre, quando la conversazione era in tedesco, il volonteroso Hess si voltava verso Ulster e gli parlava a bassa voce.

«E molto sconvolto! Rheinhart può essere un ostacolo.»

«Perché?»

«Goebbels non crede che Rheinhart sosterrà apertamente il movimento. Vuole avere tutti i vantaggi senza sporcarsi le mani.»

«Rheinhart ha detto che l'avrebbe fatto. A Montbéliard ha detto così! Di cosa sta parlando Goebbels?» Scarlett pensava di dover stare in guardia. Goebbels proprio non gli piaceva.

«Ha appena raccontato quello che Rheinhart ha detto di Hitler. Ricordi?» Hess bisbigliava tenendosi una mano davanti alla bocca.

Scarlett alzò la voce. «Dovrebbero dire a Rheinhart: niente Hitler, niente allori! Che vada a farsi fottere!»

«Che succede?» Hitler guardò con espressione torva Hess e Scarlett.

«Che dice quello, Hess?»

«Manda Rheinhart al diavolo!» Ludendorff ridacchiò storcendo la bocca. «Questa è buona!»

«Dite a Rheinhart che faccia come diciamo noi oppure se ne stia fuori! Niente truppe! Niente armi! Niente uniformi! Nessuno da pagare per tutto questo! Io non pagherò! Non avrà nessun posto dove addestrarli senza avere le squadre d'ispezione alle calcagna! Vedrà!» Scarlett ignorava Hess, che stava traducendo rapidamente parola per parola.

Ludendorff interruppe Hess mentre stava finendo di tradurre.

«Man kann einen Mann wie Rheinhart nicht drohen. Er ist ein einflussreich Preusse!» Hess si voltò verso Scarlett. «Herr Ludendorff dice che Rheinhart non si deve minacciare. È uno Junker!»

«È un soldatino di latta tremebondo, ben pasciuto, ecco cos'è! Un fifone che se la batte! Ha la tremarella per i russi! Ha bisogno di noi, e lo sa!» Hess ripetè le osservazioni di Scarlett. Ludendorff fece schioccare le dita secondo l'uso di Heidelberg, come per deridere un'affermazione assurda.

«Non rida di me! Io gli ho parlato, non lei! Sono miei i quattrini, non suoi!» Non ci fu bisogno che Hess traducesse. Ludendorff si alzò dalla sedia infuriato quanto Scarlett.

«Di' all'americano che il suo denaro non gli darà ancora per molto tempo il diritto di darci degli ordini.» Hess esitò. «Herr Ludendorff non crede che i tuoi contributi finanziari... per quanto graditissimi...»

«Non occorre che finisca! Digli che vada a farsi fottere anche lui! Si comporta proprio nel modo che Rheinhart si aspetta!» Scarlett, che non si era mosso dal suo posto contro il muro, si staccò di là balzando agilmente in avanti in tutta la sua altezza.

Per un attimo, il maturo, l'intellettuale Ludendorff, fu preso da una vera paura fisica. Non si fidava delle motivazioni di quel nevrotico americano. Ludendorff aveva insinuato spesso con Hitler e gli altri che quell'uomo che si faceva chiamare Heinrich Kroeger era un pericoloso acquisto per il loro circolo operativo. Ma era stato sempre messo a tacere, perché Kroeger non solo possedeva delle risorse finanziarie illimitate, ma sembrava capace di assicurarsi l'appoggio, o almeno l'interesse, di uomini indicibilmente influenti.

Eppure non si fidava di lui.

Essenzialmente perché Ludendorff era convinto che Kroeger fosse uno stupido.

«Posso ricordarle, Herr Kroeger, che io ho una... più che discreta padronanza della lingua inglese?»

«Allora perché non la usa?»

«Non mi sembra che sia - come dire? - del tutto necessario.»

«E invece si, maledizione!» Adolf Hitler a un tratto batté le mani due volte, come per indicare che voleva il silenzio. Fu un gesto che irritò Ludendorff, ma il suo rispetto per le doti di Hitler - rispetto che confinava con la soggezione - lo costringeva ad accettare quegli eccessi.

«Finitela! Tutti e due!» Hitler si allontanò dalla tavola, dando le spalle a tutti loro. Distese le braccia, poi si strinse le mani dietro la schiena. Non disse nulla per un po' di tempo, ma nessuno interruppe quel silenzio. Perché era il suo silenzio, e Goebbels, che aveva un amore sviscerato per gli atteggiamenti teatrali, osservava con soddisfazione l'effetto che Hitler produceva sugli altri.

Ludendorff, d'altra parte, stava al gioco, ma era seccato. Quell'Hitler che lui conosceva bene non era dotato di grande buon senso. Di larghe vedute, forse, ma spesso confuso e trascurato nelle decisioni riguardanti i problemi pratici di tutti i giorni. Peccato che non tollerasse neanche che si discutesse su argomenti del genere. Era pesante per Rosenberg e per lui, che sapevano di essere i veri architetti del nuovo ordine. Ludendorff sperò che in questo caso particolare Hitler, per una volta, tenesse conto della sua valida analisi. Come lui, anche Rheinhart era uno Junker, fiero e inflessibile. Doveva essere trattato con astuzia. Chi poteva saperlo meglio del maresciallo dell'armata imperiale che era stato costretto a conservare la sua dignità nel pieno di una tragica disfatta? Ludendorff capiva.

Adolf Hitler parlò a bassa voce. «Faremo come dice Herr Kroeger.»

«Herr Hitler è d'accordo con te, Kroeger!» Hess toccò la manica di Scarlett, felice. Veniva sempre trattato con condiscendenza dall'arrogante Hitler, e questa non era una piccola vittoria su di lui. Rheinhart era un bel colpo! Se Kroeger aveva ragione, Ludendorff avrebbe fatto la figura dello sciocco.

«Perché? E molto pericoloso.» Ludendorff ebbe qualcosa da ridire, anche se capì subito che non serviva a nulla.

«Lei è troppo prudente per i tempi che corrono, Ludendorff. Kroeger ha ragione, ma faremo un ulteriore passo avanti.» Rudolf Hess si gonfiò il torace. Guardò in modo penetrante Ludendorff e Goebbels dando di gomito a Scarlett.

«Herr Hitler dice che il nostro amico Ludendorff è troppo prudente. Ha ragione. Ludendorff è sempre prudente... Ma Herr Hitler desidera elaborare la tua proposta...» Adolf Hitler cominciò a parlare lentamente ma risolutamente in tedesco, dando a ogni frase un carattere conclusivo. Mentre parlava osservava con soddisfazione le facce degli ascoltatori. Alla fine della sua tirata, sputò fuori: «Ecco Montbéliard!» Le valutazioni diverse che ciascuno dava avevano però un comune denominatore: quell'uomo era un genio.

Per Hess, la conclusione di Hitler era un lampo folgorante di acume politico.

Per Goebbels, Hitler aveva dimostrato ancora una volta la sua capacità di sfruttare la fondamentale debolezza dell'avversario.

Per Ludendorff, l'austriaco era partito da un'idea mediocre, vi aveva aggiunto la sua audacia, ed era venuto fuori con una brillante strategia.

Heinrich Kroeger parlò. «Cosa ha detto, Hess?» Ma non fu Rudolf Hess a rispondere. Lo fece Heinrich Ludendorff, che non toglieva gli occhi di dosso a Hitler. «Herr Hitler ci ha appena... assicurato l'appoggio dei militari, Kroeger. Con una breve dichiarazione ci ha conquistato i riluttanti prussiani.»

«Cosa?» Rudolf Hess si volse a Scarlett. «Diremo al generale Rheinhart che, se non farà quello che gli chiediamo, i funzionari di Versailles saranno informati delle sue trattative segrete per approvvigionamenti illegali. E la verità. Non potrà negare Montbéliard!»

«È uno Junker!» soggiunse Ludendorff. «Montbéliard è la chiave di tutto perché è la verità! Rheinhart non può disconoscere ciò che ha fatto! Anche se fosse tentato di farlo, sono troppi quelli che sanno - von Schnitzler, Kindorf. Perfino Krupp! Rheinhart non ha tenuto fede alla sua parola.» Poi Ludendorff ruppe in un'aspra risata. «La sacra parola di uno Junker!» Hitler fece un breve sorriso e disse qualcosa velocemente a Hess, accennando col capo a Ulster Scarlett.

«Der Fiihrer ti ammira e ti apprezza, Heinrich» disse Hess. «Vuol sapere come va con i nostri amici di Zurigo.»

«Tutto procede secondo il programma. Alcuni errori sono stati corretti. Può darsi che perdiamo uno dei tredici che restano... Ma è meglio perderlo che trovarlo: è un ladro.»

«Chi è?» Ludendorff mise in pratica la sua più che accettabile conoscenza dell'inglese.

«Thornton.»

«E la sua terra?» chiese ancora Ludendorff.

Scarlett, ora Kroeger, guardò l'accademico Ludendorff, il militare intellettuale, con l'arroganza che viene dal denaro. «Intendo comprarla.»

«Non è pericoloso?» Hess osservava Ludendorff, che aveva tradotto a Hitler a bassa voce quello che Scarlett aveva detto. Tutti e due avevano l'aria allarmata.

«Niente affatto.»

«Forse non per lei personalmente, mio impetuoso giovanotto.» Il tono di Ludendorff era lievemente accusatorio. «Chi può sapere a chi andranno le sue simpatie fra sei mesi?»

«Lei mi offende!»

«Lei non è tedesco. Questa non è la sua battaglia.»

«Non è necessario che io sia tedesco. E non ho bisogno di giustificarmi con lei! Mi vuole fuori? Benissimo! Sono fuori! E con me una dozzina di uomini tra i più ricchi del mondo... Petrolio! Acciaio! Industria! Compagnie di navigazione!» Hess non cercò più di essere diplomatico. Guardò Hitler alzando le braccia esasperato.

A Hitler non occorrevano suggerimenti, perché sapeva esattamente quello che doveva fare. Attraversò rapidamente la stanza, si avvicinò all'ex generale dell'armata imperiale tedesca e lo colpì leggermente sulla bocca col dorso della mano. Era un gesto offensivo - la stessa leggerezza del colpo ricordava i castighi che si danno a un bambino piccolo. I due uomini si scambiarono qualche parola e Scarlett capì che il vecchio Ludendorff era stato duramente, crudelmente redarguito.

«Sembra che si mettano in dubbio le mie ragioni, Herr Kroeger. Stavo solo - come dire? - mettendola alla prova.» Si portò la mano alla bocca. Il ricordo dell'insulto di Hitler era intollerabile per lui. Si sforzò di rimuoverlo.

«Sono stato assolutamente sincero, ad ogni modo, sulla proprietà svizzera. Il suo... lavoro con noi è stato veramente magnifico e senza dubbio è stato notato da molti. Se dall'acquisto si dovesse risalire attraverso di lei al partito, l'intera organizzazione potrebbe - come si dice - diventare inutile.» Ulster Scarlett rispose con un tono di presuntuosa disinvoltura.

Si divertiva a mettere al loro posto i pensatori. «Non ci sono problemi. L'operazione verrà fatta a Madrid.»

«A Madrid?» Joseph Goebbels non capiva completamente cosa volesse dire Scarlett, ma quella città aveva per lui un particolare significato.

I quattro tedeschi si guardarono. Nessuno di loro era soddisfatto.

«Perché Madrid sarebbe... così sicura?» Hess era preoccupato che l'amico avesse fatto qualcosa di avventato.

«L'attaché pontificio. Molto cattolico. Assolutamente irreprensibile. Soddisfatti?» Hess automaticamente ripetè in tedesco le parole di Scarlett. Hitler sorrise mentre Ludendorff faceva schioccare le dita, ora in sincero plauso.

«E questo come avverrà?»

«Molto semplicemente. La corte di Alfonso sarà informata che la terra verrà acquistata col denaro dei russi bianchi. Se non si agisce in fretta, il capitale potrebbe ritornare a Mosca. Il Vaticano è solidale. E così Rivera. Non sarà la prima volta che viene fatta un'operazione di questo genere.» Hess spiegava tutto ciò a Adolf Hitler mentre Goebbels ascoltava attentamente.

«Le mie congratulazioni, Herr Kroeger. Sia prudente.» Ludendorff era colpito.

All'improvviso Goebbels incominciò a chiacchierare, gesticolando freneticamente. I tedeschi ridevano tutti e Scarlett non era ben sicuro se lo sgradevole fascistello lo stesse prendendo in giro o no.

Hess traduceva. «Herr Goebbels dice che se racconti al Vaticano che puoi impedire a quattro comunisti affamati di mangiare anche solo un tozzo di pane, il papa ti farà ridipingere la Cappella Sistina!» Hitler scoppiò in una risata. «Was horst du aus Ziirich?» Ludendorff si voltò verso Scarlett. «Stava dicendo qualcosa sui nostri amici in Svizzera?»

«Sul programma. Alla fine del mese prossimo... Diciamo fra cinque settimane, le costruzioni saranno completate... Ecco, vi faccio vedere.» Kroeger si avvicinò alla tavola, tirando fuori dalla tasca della giacca una carta piegata. La distese sulla tavola. «Questa grossa linea blu è il perimetro delle proprietà adiacenti. Questa parte... nel Sud è di Thornton. Noi ci estendiamo a ovest fin qui, a nord fino a Baden, a est fino alla periferia di Pfaffikon. Ogni due chilometri circa c'è una costruzione che può ospitare cinquanta uomini - sono diciotto in tutto. Novecento uomini. La parte visibile è bassa, il grosso è sotto. Ogni costruzione sembra un fienile o un granaio. Non si può capire la differenza finché non si è dentro.»

«Eccellente!» Ludendorff si mise il monocolo nell'occhio sinistro e guardò la carta attentamente. Hess traduceva per un Hitler curioso e per un Goebbels scettico. «Questo... perimetro tra le... Keserne... Caserme... È recintato?»

«C'è un muro alto più di tre metri e mezzo, collegato con un sistema di allarme a ciascuna costruzione. Pattuglie ventiquattro ore su ventiquattro. Uomini e cani... Ho pagato per tutto.»

«Eccellente. Eccellente!» Scarlett guardò Hitler. Sapeva che l'approvazione di Ludendorff non veniva mai concessa facilmente e, nonostante lo spiacevole scontro di poco prima, Scarlett si era accorto che Hitler teneva in grande considerazione l'opinione di quell'uomo, forse più di quella di tutti gli altri. A Scarlett parve che lo sguardo penetrante di Hitler diretto in quel momento a lui fosse di ammirazione. Kroeger contenne la sua esaltazione e riprese presto a parlare.

«La preparazione sarà concentrata - questi periodi dureranno quattro settimane con qualche giorno tra l'uno e l'altro per il trasporto e l'alloggiamento. Ogni contingente è di novecento uomini... Alla fine di un anno...» Hess interruppe. «Prachtvoll! Alla fine di un anno diecimila uomini addestrati!»

«Pronti per distribuirsi in tutto il Paese come unità militari. Addestrati per l'insurrezione!» Scarlett traboccava di entusiasmo.

«Non più plebaglia, ma la base di un corpo scelto! Forse addirittura lo stesso corpo scelto!» Persino Ludendorff era contagiato dall'entusiasmo del giovane. «Il nostro esercito privato!»

«Proprio così! Una macchina perfetta, capace di spostarsi velocemente, di colpire forte e di raggrupparsi con rapidità e in segreto.» Mentre Kroeger parlava, era Ludendorff ora che traduceva le sue parole in tedesco per Hitler e Goebbels.

Ma Goebbels era preoccupato. Parlava piano come se questo Kroeger potesse in qualche modo afferrare il significato recondito delle sue osservazioni. Goebbels era ancora sospettoso. Quell'enorme, strano americano era troppo loquace, troppo disinvolto, per il suo zelo. Nonostante il potere del suo denaro. Adolf Hitler fece un cenno di assenso col capo.

Hess parlò. «Vedi, Heinrich, Herr Goebbels è giustamente inquieto. Questi uomini di Zurigo, le loro richieste sono così... Nebulose.»

«Non per loro. Sono molto specifiche. Quelli sono uomini d'affari... E per di più, sono della nostra idea.»

«Kroeger ha ragione.» Ludendorff guardò Scarlett, sapendo che Hess avrebbe usato il tedesco per far capire agli altri. Non stette a riflettere prima di cominciare, per non lasciare a Kroeger il tempo di formulare risposte o commenti. Kroeger, anche se non parlava bene la loro lingua, capiva molto di più di quanto non desse a vedere; di questo, Ludendorff era convinto. «Siamo già arrivati a firmare degli accordi, no? O dei patti, se preferite, per i quali con l'avvento del nostro potere sulla scena politica della Germania, ai nostri amici di Zurigo saranno date certe priorità... Priorità economiche... Siamo impegnati, no?» Non c'era nessun dubbio nell'ultima frase di Ludendorff.

«E giusto.»

«Cosa accadrà, Herr Kroeger, se non teniamo fede a questi impegni?» Ulster Scarlett esitò un attimo guardando a sua volta Ludendorff con un'occhiata interrogativa. «Strilleranno come delle aquile e faranno di tutto per rovinarci.»

«Come?»

«Con tutti i mezzi, Ludendorff. E i loro mezzi sono considerevoli.»

«La preoccupa?»

«Solo se ci riuscissero... Thornton non è l'unico. Sono tutti dei ladri. L'unica differenza è che gli altri sono in gamba. Sanno che siamo nel giusto. Noi vinceremo! Non c'è nessuno che non voglia mettersi in affari col vincitore! Sanno quello che fanno! Vogliono lavorare con noi!»

«Lei ha l'aria di esserne convinto.»

«Altroché se lo sono! Noi faremo andare le cose a modo nostro. Nel modo giusto! Nel modo che vogliamo noi! Ci sbarazzeremo della feccia! Gli ebrei, i rossi, i fetenti borghesucci leccapiedi!» Ludendorff osservò attentamente quel presuntuoso americano.

Aveva ragione, Kroeger era stupido. La sua descrizione delle razze inferiori era emotiva, non si basava sui solidi principi dell'integrità razziale. Anche Hitler e Goebbels avevano debolezze di questo genere, ma il loro pensiero era una piramide logica - sapevano perché vedevano; avevano studiato come Rosenberg e lui stesso. Questo Kroeger aveva una mentalità infantile. In realtà era un fanatico.

«C'è molto di vero in quello che lei dice. Chiunque sappia ragionare vorrà appoggiare la propria razza... Fare affari con la propria razza.» Ludendorff avrebbe sorvegliato attentamente le azioni di Kroeger. Quell'esaltato poteva procurare dei guai spaventosi. Era un delirante pagliaccio.

Ma, a conti fatti, la loro corte aveva bisogno di un simile buffone. E del suo denaro.

Come sempre, Hitler aveva ragione. Non dovevano rischiare di perderlo.

«Andrò a Madrid domattina. Ho già spedito gli ordini riguardo a Thornton. L'intera faccenda non dovrebbe prendermi più di due o tre settimane, e poi sarò a Zurigo.» Hess riferì a Hitler e Goebbels quanto aveva detto Kroeger. Der Fiihrer fece una domanda in tono brusco, iroso.

«Dove possiamo raggiungerla a Zurigo?» tradusse Ludendorff. «Il suo programma, se procederà come ha fatto finora, richiederà che entriamo in comunicazione con lei.» Heinrich Kroeger restò un attimo in silenzio prima di rispondere. Sapeva che quella domanda gli sarebbe stata fatta un'altra volta. Glielo chiedevano sempre, ogni volta che andava a Zurigo. Ma lui rispondeva evasivamente. Capiva che buona parte del suo mito, del suo carisma all'interno del partito, era dovuto al fatto di non rivelare l'identità delle persone o delle società con cui trattava. In passato aveva lasciato un numero di telefono o di una casella postale, o forse anche il nome in codice di uno dei quattordici uomini di Zurigo con istruzioni di chiedere di lui.

Non avevano mai compreso che le identità, gli indirizzi, i numeri di telefono non avevano nessuna importanza. L'essenziale era la capacità di fare. Zurigo aveva capito.

Quei giganti del capitale mondiale capivano. I finanzieri internazionali con i loro labirinti intricati di manovre capivano.

I loro accordi con il nascente nuovo ordine della Germania assicuravano mercati e potere economico oltre ogni immaginazione.

E a nessuno importava sapere chi fosse e da dove venisse.

Ma in quel preciso momento, Ulster Stewart Scarlett comprese che quei titani del nuovo ordine avevano bisogno di sentirsi ricordare l'importanza di Heinrich Kroeger.

Avrebbe detto loro la verità.

Avrebbe detto il nome dell'unico uomo in Germania desiderato da tutti quelli che miravano al potere. L'unico uomo che si rifiutava di parlare, di essere coinvolto, di incontrarsi con qualsiasi fazione.

L'unico uomo in tutta la Germania che viveva dietro un muro di assoluta segretezza. In un completo isolamento politico.

L'uomo più temuto e più rispettato di tutta l'Europa.

«Sarò con Krupp. Essen vi dirà dove potete raggiungerci.»



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