25.
A una quarantina di chilometri dagli antichi confini di Cardiff, in una remota valletta in mezzo a una foresta gallese, si trova il Convento della Vergine, la casa delle suore carmelitane. Le mura si ergono con alabastrina purezza, come una novella sposa che stia ritta in piedi nella sua santa attesa in un Eden lussureggiante ma privo di serpenti.
Canfield e la giovane moglie di Scarlett arrivarono davanti all'entrata. L'uomo uscì dalla macchina e andò verso un piccolo portale ad arco incassato nel muro, in mezzo al quale si trovava uno spioncino. Su un lato della porta c'era un battente di ferro nero: Canfield l'usò, e passarono diversi minuti prima che venisse una suora.
«Posso esserle utile?» Il contabile tirò fuori la carta d'identità e la tenne alzata perché la suora potesse vedere. «Mi chiamo Canfield, sorella. Sono venuto per madame Elisabeth Scarlatti. Sua nuora è qui con me.»
«Se può attendere, per favore. Posso...» La suora indicò che desiderava portare con sé la carta d'identità. Canfield gliela passò attràverso la piccola apertura.
«Certamente.» Lo spioncino fu richiuso e sprangato. Canfield tornò con calma alla macchina e disse a Janet: «Sono molto prudenti.»
«Cosa succede?»
«Si è portata dentro la carta d'identità per controllare che quello della fotografia sia io e non qualcun altro.»
«E meraviglioso qui, non trovi? Così tranquillo.»
«Adesso si. Ma non prometto niente per quando finalmente vedremo la vecchietta.»
«La sua fredda, disumana indifferenza per il mio benessere, per non parlare delle mie comodità, è veramente ineffabile! Ha una vaga idea di dove dormono queste idiote? Ve lo dirò io! Brande militari!»
«Mi dispiace.» Canfield si sforzò di non ridere.
«E sapete che brodaglie mangiano? Ve lo dirò io! Del cibo che vieterei nelle mie stalle!»
«Mi dicono che coltivano le loro verdure» ribatté garbatamente il contabile.
«Raccolgono il concime e lasciano le piante!» In quel momento le campane dell'Angelus cominciarono a suonare a distesa.
«Questo va avanti giorno e notte! Ho chiesto a quella maledetta stupida, madre McCree, o come si chiama, perché cominciano così presto il mattino, e sapete cosa ha detto?»
«Cosa, mamma?» chiese Janet.
«Che così vuole Cristo, ecco cosa ha detto. Ah, ma non il buon Cristo episcopale! le ho risposto... È stato intollerabile! Perché è arrivato così tardi? Il signor Derek aveva detto che lei sarebbe stato qui quattro giorni fa.»
«Ho dovuto aspettare un corriere da Washington. Andiamo. Ora le spiego.» Elisabeth sedeva sul sedile posteriore della Bentley e leggeva la lista di Zurigo. «Conosce nessuna di quelle persone?» chiese Canfield.
«Non personalmente. Però ne conosco la maggior parte per sentito dire.»
«Per esempio?»
«Gli americani, Louis Gibson e Avery Landor, sono due texani che si son fatti da sé. Pensano di aver costruito loro i distretti petroliferi. Landor è un porco, mi dicono. Harold Leacock, uno degli inglesi, è una potenza della Borsa di Londra. In gamba. Myrdal, lo svedese, è anche lui nel mercato europeo. Stoccolma...» Elisabeth alzò lo sguardo e diede segno di aver colto l'occhiata di Canfield nello specchietto.
«Nessun altro?»
«Si. Un tedesco, Thyssen. Fritz Thyssen. Acciaierie. Tutti conoscono Kindorf - carbone della Ruhr, e von Schnitzler. Adesso è I.G. Farben... Uno dei francesi, D'Almeida, ha il controllo di alcune ferrovie, credo. Non so Daudet, ma riconosco il nome.»
«Possiede petroliere. Piroscafi.»
«Ah, si. E Masterson. Sydney Masterson. Inglese. Importazioni dall'Estremo Oriente, credo. Non conosco Innes-Bowen, ma anche di lui ho già sentito il nome.»
«Non ha nominato Rawlins. Thomas Rawlins.»
«Non pensavo di doverlo fare. Godwin e Rawlins. Il suocero di Boothroyd.»
«Non conosce il quarto americano, Howard Thornton? È di San Francisco.» !
«Non ne ho mai sentito parlare.»
«Janet dice che suo figlio conosceva un Thornton di San Francisco.»
«Non mi sorprende affatto.» Lungo la strada che partiva da Pontypridd, appena fuori della Rhondda Valley, Canfield s'accorse di una macchina che compariva regolarmente nello specchietto laterale. Era molto distante da loro, poco più di un puntino nello specchietto, ma non usciva mai di vista, salvo che nelle curve. E ogni volta che Canfield usciva da una curva, l'automobile ricompariva in seguito molto prima di quanto la sua distanza precedente avrebbe indicato. Sui lunghi tratti diritti, restava molto lontana e appena possibile lasciava passare avanti altre macchine.
«Cosa c'è, signor Canfield?» Elisabeth osservava l'uomo che continuava a spostare lo sguardo sullo specchietto fuori del finestrino.
«Niente.»
«Qualcuno ci sta seguendo?»
«Probabilmente no. Non ci sono poi tante strade buone per il confine con l'Inghilterra.» Venti minuti dopo Canfield vide che l'automobile si stava avvicinando. Cinque minuti dopo, incominciò a capire. Ora non c'erano macchine tra di loro. Solo un tratto di strada - una lunghissima curva - che da un lato era delimitata dalla discesa rocciosa di un piccolo pendio e dall'altro da uno strapiombo di quindici metri che finiva nelle acque di un lago gallese.
Canfield vide che dopo la fine della curva il terreno si spianava in un pascolo o in un campo d'erba alta. Diede gas alla Bentley. Voleva raggiungere quella zona pianeggiante.
La macchina inseguitrice sfrecciò in avanti colmando la distanza che li separava. Girò stringendo a destra sul lato della strada che dava sullo strapiombo. Canfield sapeva che se la macchina lo avesse affiancato, avrebbe potuto facilmente mandarlo fuori strada, oltre il bordo, spingendo la Bentley giù per il precipizio fino in acqua. Il contabile tenne premuto il pedale e sterzò verso il centro, cercando di tagliare la strada all'inseguitore.
«Cosa c'è? Cosa stai facendo?» Janet si afferrava alla parte sporgente del cruscotto.
«Reggetevi forte! Tutte e due!» Canfield teneva la Bentley al centro della strada, tagliando a destra ogni volta che l'auto che li seguiva tentava di infilarsi tra lui e il terreno roccioso. Il campo pianeggiante ormai era vicino. Solo altri cento metri.
S'udirono due forti colpi appena la Bentley sbandò spasmodicamente sotto l'impatto della seconda macchina. Janet Scarlett gridò. Sua suocera restò muta e afferrò da dietro le spalle della ragazza, per aiutarla a sostenersi.
Il pascolo pianeggiante era ora sulla sinistra: Canfield sterzò di colpo in quella direzione e uscì di strada, correndo sul bordo di terriccio a lato della corsia d'asfalto.
La macchina inseguitrice si slanciò in avanti a una velocità pazzesca. Canfield puntò lo sguardo sulla targa bianca e nera che s'allontanava rapidamente. Gridò: «E, Bi... I o Elle! Sette! Sette o nove! Uno, uno, tre!» Ripetè i numeri a voce bassa, in fretta. Frenò lentamente fino a fermarsi.
La schiena di Janet era inarcata contro il sedile. La ragazza teneva le braccia di Elisabeth con tutte e due le mani, mentre quest'ultima era piegata in avanti, con la guancia premuta contro la testa della nuora.
Elisabeth parlò per prima.
«Le lettere che ha gridato erano E, Bi, I o Elle, i numeri, sette o nove, uno, uno, tre.»
«Non saprei dire che macchina era.» Elisabeth parlò ancora ritirando le braccia dalle spalle di Janet: «Era una Mercedes-Benz.»
***