38.



Elisabeth Scarlatti era seduta sul letto con la schiena appoggiata alla spalliera. Accanto a lei c'era un tavolino da gioco, e tutt'intorno erano sparse delle carte - sul letto, sul tavolino, e su tutto il pavimento libero della stanza. Alcune erano ammucchiate in pile ordinate, altre buttate alla rinfusa. Alcune erano attaccate insieme e contrassegnate con un cartellino da schedario; altre gettate in un canto, pronte per il cestino della carta straccia.

Erano le quattro del pomeriggio ed era uscita dalla sua stanza solo una volta, per far entrare Janet e Matthew. Aveva notato che i due avevano un aspetto terribile: esausti, malati, forse. Sapeva cos'era accaduto. La pressione era diventata eccessiva per l'uomo del governo. Canfield doveva staccare, tirare un po' il fiato. Ora che l'aveva fatto, sarebbe stato più preparato a ricevere la sua proposta.

Elisabeth diede un'ultima occhiata alle pagine che teneva in mano.

Dunque era così! L'immagine ora era chiara, lo sfondo s'era popolato.

Elisabeth aveva detto che gli uomini di Zurigo potevano aver escogitato una strategia eccezionale. Ora sapeva che l'avevano fatto.

Se non fosse stata una cosa così grottescamente malvagia, avrebbe anche potuto trovarsi d'accordo con suo figlio. Magari sarebbe stata fiera che lui vi partecipasse. Ma date le circostanze, poteva solo essere terrorizzata.

Si domandò se Matthew Canfield avrebbe capito. Poco importava. Ormai era giunto il momento di andare a Zurigo.

Si alzò dal letto, prese con sé le pagine e andò alla porta.

Janet era al suo scrittoio e stava scrivendo delle lettere. Canfield era in poltrona e leggeva nervosamente il giornale. Entrambi trasalirono quando la donna entrò nella stanza.

«Sa niente del trattato di Versailles?» gli chiese la donna. «Le restrizioni, le riparazioni?»

«Ne so quanto chiunque, credo.»

«Conosce il piano Dawes? Quel documento quanto mai imperfetto?»

«Pensavo che rendesse sopportabili le riparazioni.»

«Solo temporaneamente. E servito ai politici che avevano bisogno di soluzioni temporanee. Dal lato economico è un disastro. Non c'è un punto dove dia la cifra finale. Se un momento o l'altro venisse precisata questa cifra, l'industria tedesca - che paga le spese - potrebbe crollare.»

«Qual è la sua tesi?»

«Abbia pazienza un minuto. Voglio che lei capisca... Si rende conto di chi è che mette in esecuzione il trattato di Versailles? Sa chi ha più potere decisionale sotto il piano Dawes? Chi controlla in definitiva l'economia interna della Germania?» Canfield posò il giornale sul pavimento. «Si. Qualche comitato.»

«La Commissione di Controllo Alleata.»

«Dove vuole arrivare?» Canfield s'alzò dalla sua poltrona.

«Proprio a quello che sta cominciando a sospettare. Tre uomini del gruppo di Zurigo sono membri della Commissione di Controllo Alleata. Il trattato di Versailles è messo in esecuzione da loro. Lavorando insieme, gli uomini di Zurigo possono letteralmente manipolare l'economia tedesca. Sono tra i più grossi industriali delle maggiori potenze del Nord, dell'Ovest e del Sudovest. E come se non bastasse, ci sono i più potenti finanzieri della stessa Germania. Un branco di lupi. Faranno in modo che le forze all'opera in Germania restino in rotta di collisione. Quando ci sarà l'esplosione - come deve sicuramente avvenire - loro si presenteranno a raccogliere i pezzi. E per completare questo... piano magistrale, hanno solo bisogno di una base d'operazione politica. Mi creda se le dico che l'hanno trovata. Con Adolf Hitler e i suoi nazisti... Con mio figlio, Ulster Stewart Scarlett.»

«Mio Dio!» esclamò Canfield in tono sommesso, fissando Elisabeth.

Non aveva capito del tutto i particolari della sua relazione, ma ne aveva riconosciuto le implicazioni.

«E ora di andare in Svizzera, signor Canfield!» Le domande gliele avrebbe fatte durante il viaggio.



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