9.
Chancellor Drew Scarlett percorreva a gran passi lo spesso tappeto orientale del suo ufficio al civico 525 della Quinta Strada. Continuava a respirare profondamente, spingendo in fuori lo stomaco mentre inspirava - nel modo giusto - perché il massaggiatore del suo club gli aveva detto ch'era un metodo per calmarsi quando si era molto tesi.
Non stava funzionando.
Avrebbe cambiato massaggiatore.
Si fermò davanti alla parete rivestita di mogano tra le due grandi finestre che guardavano sulla Quinta Strada. Sulla parete c'erano vari articoli di giornale in cornice, tutti sulla Fondazione Scarwyck. Tutti parlavano di lui, dandogli un notevole spazio - e in alcuni c'era il suo nome in neretto sopra il testo.
Tutte le volte che era agitato, il che avveniva molto spesso, guardava quegli attestati di successo incorniciati. La cosa aveva sempre un effetto calmante.
Chancellor Scarlett aveva accettato il ruolo di marito di una moglie noiosa come un fatto inevitabile. Il letto coniugale aveva prodotto cinque figli. Sorprendentemente - specie per Elisabeth lui aveva finito anche per interessarsi alle imprese familiari. Quasi in risposta al comportamento del suo celebre fratello, Chancellor si era ritirato nel mondo sicuro del quasi intraprendente uomo d'affari. E in effetti di idee ne aveva.
Dato che la rendita annuale proveniente dalle proprietà Scarlatti eccedeva di gran lunga i bisogni di una piccola nazione, Chancellor convinse Elisabeth che la linea fiscale da seguire era quella di creare una fondazione filantropica. Esibendo alla madre dati incontrovertibili - compresa la possibilità di cause in base alla legge antitrust - Chancellor ottenne il consenso della madre alla creazione della Fondazione Scarwyck. Chancellor ebbe il posto di presidente e la madre di presidentessa del comitato di direzione. Lui non era un eroe di guerra, ma i suoi figli avrebbero riconosciuto i suoi contributi economici e culturali.
La Fondazione Scarwyck profuse denaro in monumenti ai caduti; nel mantenimento delle riserve indiane; in un Dizionario dei grandi patrioti da distribuirsi in tutte le scuole medie; nei Roland Scarlett Field Clubs, una catena di campeggi per la gioventù della chiesa episcopale dedicati alla vita all'aria aperta e agli alti principi cristiani del loro democratico - ma episcopale - patrocinatore. E decine di simili imprese. Non si poteva prendere in mano un giornale senza vedere qualche nuovo progetto sovvenzionato dalla Scarwyck.
Guardare quegli articoli puntellò la vacillante fiducia in sé stesso di Chancellor, ma l'effetto fu di breve durata. Riuscì a sentire debolmente attraverso la porta del suo ufficio lo squillo del telefono della sua segretaria, che gli riportò immediatamente il ricordo della chiamata furente che gli aveva fatto la madre. Era dal giorno prima che Elisabeth cercava di trovare Ulster.
Chancellor tirò su il citofono.
«Riprovi il numero di casa di mio fratello, miss Nesbit.»
«Si, signore.» Doveva trovare Ulster. Sua madre era inflessibile. Insisteva che voleva vederlo prima della fine del pomeriggio.
Chancellor si sedette sulla sua sedia e cercò di nuovo di respirare correttamente. Il massaggiatore gli aveva detto che era un buon esercizio da fare stando seduti.
Trasse un profondo respiro, spingendo in fuori lo stomaco più che poteva. Il bottone di mezzo della sua giacca si staccò e cadde sul morbido tappeto, ruzzolando prima sulla sedia tra le sue gambe.
Maledizione!
Miss Nesbit lo chiamò al citofono. «Si.»
«La cameriera dice che suo fratello sta venendo da lei, signor Scarlett.» La voce di miss Nesbit tradiva l'orgoglio per il risultato ottenuto.
«Vuol dire che è sempre stato in casa?»
«Non lo so, signore.» Miss Nesbit era offesa.
Dopo venti tormentosi minuti arrivò Ulster Scarlett.
«Buon Dio! Dove sei stato? La mamma ti sta cercando da ieri mattina! Abbiamo chiamato dappertutto!»
«Sono stato a Oyster Bay! Nessuno di voi ha pensato di chiamarmi là?»
«In febbraio? No, naturalmente... O forse lei l'ha fatto, non so.»
«Non sareste riusciti a trovarmi comunque. Ero in una delle casette.»
«Cosa diavolo ci facevi là? Voglio dire, in questo periodo dell'anno!»
«Diciamo che facevo l'inventario, fratello mio... Bell'ufficio, Chance. Non riesco a ricordare quando sono stato qui l'ultima volta.»
«Circa tre anni fa.»
«Còsa sono tutti questi aggeggi?» chiese Ulster, indicando la scrivania.
«L'ultimissima apparecchiatura. Vedi... Qui c'è un calendario elettrico che si accende su determinati giorni per ricordarmi gli appuntamenti. Questo è un telefono interno collegato con diciotto uffici del palazzo. Poi, questa è una linea privata per...»
«Non importa. Sono davvero colpito, ma non ho molto tempo. Pensavo che probabilmente t'avrebbe fatto piacere sapere che... forse mi sposo.»
«Cosa? Ulster, santo cielo! Tu! Sposato! Stai per sposarti?»
«Sembra che sia una richiesta generale.»
«Chi, in nome di Dio...»
«Oh, ho ridotto gli articoli, bello. Non agitarti. Lei sarà accettabile.» Chancellor guardò il fratello con occhio gelido. Era pronto a sentirsi dire che si era scelto qualche puttanella di Broadway di uno spettacolo di Ziegfield, o magari una di quelle balorde scrittrici in maglione nero pettinate da uomo che c'erano sempre alle feste di Ulster.
«Accettabile per chi?»
«Be', vediamo, ne ho provato la maggior parte.»
«Non sono interessato alla tua vita sessuale! Chi è?»
«Oh, invece dovresti. La maggior parte delle amiche di tua moglie - sposate e non - sono dei fior di zoccole.»
«Dimmi solo a chi intendi fare questo onore, se non ti spiace.»
«Che ne diresti della giovane Saxon?»
«Janet! Janet Saxon!» gridò Chancellor felice.
«Penso che andrebbe bene» mormorò Ulster.
«Andar bene? Altro che, è meravigliosa! La mamma sarà così contenta. E proprio una ragazza fantastica!»
«Andrà bene.» Ulster era stranamente calmo.
«Ulster, non posso dirti come sono contento. Gliel'hai chiesto, naturalmente...» Era un'affermazione.
«Ma via, Chance, come ti viene in mente? Non ero sicuro che avrebbe passato l'esame.»
«Capisco cosa vuoi dire. Certo... Ma sono sicuro che lo passerà. L'hai detto alla mamma? E per questo che telefona così istericamente?»
«Non ho mai visto la mamma isterica. Dev'essere uno spettacolo mica male.»
«Davvero, dovresti telefonarle subito.»
«Lo farò. Dammi un minuto... Voglio dirti qualcosa. E molto personale.» Ulster Scarlett si sedette con fare disinvolto su una sedia davanti alla scrivania di suo fratello.
Chancellor, sapendo che raramente suo fratello voleva metterla sul personale, si mise a sedere, in apprensione. «Di cosa si tratta?»
«Ti ho preso in giro, qualche minuto fa. Cioè, sulla faccenda delle donne.»
«Mi solleva sentirtelo dire!»
«Oh, non fraintendermi: non sto dicendo che non sia vero, solo è di cattivo gusto da parte mia parlarne... Volevo vederti arrabbiato. Piano, avevo un motivo per farlo... penso che rafforzi la mia posizione.»
«Che posizione?»
«È la ragione per cui sono andato all'isola... Per riflettere... La mia vita vuota, pazza, sta per finire. Non da un giorno all'altro, certo; ma scomparirà poco a poco.» Chancellor guardò intensamente il fratello. «Non ti ho mai sentito parlare così prima d'ora.»
«Quando sei solo in una casetta non fai altro che pensare. Niente telefoni, nessuno che ti viene a scocciare... Oh, non sto facendo delle grandi promesse che poi non posso mantenere. Non sono obbligato a farlo... Ma voglio provare... Penso che tu sia l'unica persona alla quale posso rivolgermi.» Chancellor Scarlett era commosso. «Cosa posso fare?»
«Mi piacerebbe avere un qualche lavoro. Informale, i primi tempi. Niente di irreggimentato. Vedi se non sono capace di interessarmi a qualcosa!»
«Certamente! Ti troverò un lavoro qui! Sarà semplicemente fantastico lavorare assieme.»
«No. Non qui. Questo non sarebbe che un altro regalo. No. Voglio fare quello che avrei dovuto fare tanto tempo fa. Fare quello che hai fatto tu. Cominciare proprio a casa.»
«A casa? Che razza di lavoro sarebbe?»
«Metaforicamente parlando, voglio imparare tutto quello che posso su di noi. La famiglia. La Scarlatti. I suoi interessi, i suoi affari, questo genere di cose... È quello che hai fatto tu, e io ti ho sempre ammirato per questo.»
«Dici davvero?» Chancellor era serissimo.
«Si, davvero... Mi sono portato un sacco di carte all'isola. Rapporti e cose che ho preso nell'ufficio della mamma. Lavoriamo molto con quella banca in centro, vero? Come diavolo si chiama?»
«Waterman Trust. Eseguono tutte le operazioni per la Scarlatti. Da anni.»
«Forse potrei cominciare lì... In modo informale. Un paio d'ore al giorno.»
«Nessun problema! Sistemerò tutto io nel pomeriggio.»
«Un'altra cosa. Pensi che potresti telefonare alla mamma? Sarebbe un gran favore. Dille che sto arrivando. Non serve che la chiami io. Puoi accennare alla nostra conversazione. Dille di Janet, se vuoi.» Ulster Scarlett si alzò in piedi davanti a suo fratello. C'era qualcosa di pudicamente eroico in lui, in quel cavaliere errante che stava cercando di trovare le sue radici.
L'effetto non andò perduto con Chancellor, che si alzò dalla sedia e gli tese la mano. «Benvenuto in famiglia, Ulster. E l'inizio di una nuova vita per te. Ricorda le mie parole.»
«Si, penso di si. Non da un giorno all'altro, ma almeno è un inizio.» Elisabeth Scarlatti batté il palmo della mano sulla scrivania mentre si alzava dalla sedia.
«Ti spiace? Ti spiace? Non m'imbrogli neanche per un secondo! Hai una paura matta e fai bene! Brutto stupido! Imbecille! Cosa credevi di fare? Pensavi fosse un gioco? Un gioco da bambini?» Ulster Scarlett strinse il bracciolo del divano in cui era seduto e continuò a ripetersi incessantemente: Heinrich Kroeger, Heinrich Kroeger.
«Esigo una spiegazione, Ulster!»
«Te l'ho detto. Mi annoiavo. Nient'altro che questo.»
«Quanto sei coinvolto?»
«Oh, Cristo! Non lo sono. Tutto quello che ho fatto è stato dare un po' di soldi per una partita. Un carico. E tutto.»
«A chi hai dato il denaro?»
«A dei tizi. Gente che ho conosciuto ai circoli.»
«Erano dei criminali?»
«Non so. Chi non lo è, oggigiorno? Si, penso che lo fossero. Lo sono. Ecco perché ne sono fuori. Completamente fuori!»
«Hai mai firmato niente?»
«Gesù, no! Pensi che sia matto?»
«No. Penso che tu sia stupido.» Heinrich Kroeger, Heinrich Kroeger. Ulster Scarlett si alzò dal divano e si accese una sigaretta. Andò al caminetto e gettò il fiammifero sui ceppi crepitanti.
«Non sono stupido, mamma» replicò.
Elisabeth non badò minimamente alla sua risentita obiezione. «Ci hai messo solo dei soldi? Non sei mai stato coinvolto in atti di violenza?»
«No! Naturalmente!»
«Allora chi era il capitano della nave? L'uomo che è stato assassinato?»
«Non lo so! Senti, te l'ho detto. Ammetto che ero là. Certi ragazzi mi avevano detto che mi sarei divertito da morire a vedere come entra la roba. Ma è tutto, lo giuro. Ci sono state delle grane. L'equipaggio ha incominciato a fare a botte e sono andato via. Me la sono filata più in fretta possibile.»
«Non c'è niente di più? E veramente tutto?»
«Si. Cosa vuoi che faccia? Che sanguini dalle mani e dai piedi?»
«Quello non è molto probabile.» Elisabeth girò intorno alla scrivania e si avvicinò al figlio. «E questo matrimonio, Ulster? Anche questo è perché ti annoi?»
«Pensavo che avresti approvato.»
«Approvato? Non sapevo che la mia approvazione o disapprovazione ti interessasse.»
«Invece si.»
«Approvo la giovane Saxon, ma non per le ragioni per cui dovrei farlo secondo Chancellor. Mi sembra una ragazza adorabile da quel che ho visto di lei... Ma non sono affatto sicura di approvare te... La ami?» Ulster Scarlett diede un'occhiata indifferente a sua madre. «Penso che sarà una buona moglie.»
«Dato che eviti la mia domanda, credi che sarai un buon marito?»
«Eccome, mamma. Ho letto su Vanity Fair che sono il partito più desiderabile di New York.»
«Spesso un buon marito e un buon partito si escludono a vicenda... Perché vuoi sposarti?»
«Perché è ora che lo faccia.»
«Accetterei questa risposta da tuo fratello. Non da te.» Scarlett si allontanò dalla madre andando alla finestra. Questo era il momento. Questa era la parte che aveva preparato, che aveva provato. Doveva farlo e basta, dirlo e basta. L'avrebbe fatto, e un giorno Elisabeth avrebbe riconosciuto come si fosse sbagliata.
Lui non era stupido; era molto in gamba.
«Ho cercato di dirlo a Chance. Riproverò con te. Io voglio davvero sposarmi, voglio davvero interessarmi a qualcosa... Mi hai chiesto se sono innamorato della ragazza. Penso di si. Penso che lo sarò! Quello che è importante per me, adesso, è mettere la testa a posto.» Si scostò dalla finestra e si mise di fronte a sua madre. «Mi piacerebbe conoscere quello che hai costruito per noi. Voglio sapere tutto sulla famiglia Scarlatti. Sembra che tutti sappiano tranne me. E un posto dove cominciare, mamma.»
«Si, è un posto dove cominciare. Ma devo avvertirti. Quando parli della Scarlatti, non illuderti minimamente che il tuo nome ti garantisca una poltrona nella direzione. Dovrai provare che vali, prima che ti venga affidata qualunque responsabilità - o autorità. Per quanto riguarda questa decisione, sono io la Scarlatti.»
«Si. L'hai sempre messo molto in chiaro.» Elisabeth Scarlatti girò attorno alla scrivania e si sedette. «Non sono mai stata attaccata all'idea che niente cambia. Tutto cambia. Ed è possibile che tu abbia del talento. Sei figlio di Giovanni Scarlatti e, forse, sono stata una gran stupida a cambiarti il cognome. Allora sembrava giusto. Lui era un genio... Mettiti al lavoro, Ulster. Vedremo cosa succederà.» Ulster Stewart Scarlett fece a piedi la Quinta Strada. Dato che era uscito il sole, lasciò il cappotto sbottonato. Sorrise a sé stesso. Alcuni passanti notarono l'uomo alto e affascinante che girava col cappotto aperto nel freddo di febbraio. Sfacciatamente bello e privilegiato. Ogni tanto succedeva.
Ulster Scarlett, vedendo gli sguardi d'invidia della gente comune, si trovò d'accordo con quei pensieri inespressi. Heinrich Kroeger era in orario.
***