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3 novembre 2018, sabato

Il paesaggio comincia a sfilare rapidamente oltre il finestrino. Il canale che la fa da protagonista per i primi minuti si apre poi in un’incontenibile estensione di acquitrini e isolotti di sabbia. È un panorama splendido, ma Cestero lo nota appena. Il suo sguardo perso non vede il cormorano che si tuffa a pochi metri dalle rotaie, per poi tornare in superficie con un pesce argenteo in bocca. Né sente le conversazioni dei pochi passeggeri presenti, che girano tutte intorno all’unico argomento possibile.

Niente.

Ci sono agenti da tutte le parti in azione per localizzare quel disgraziato di Aimar Berasarte, è questione di tempo prima che lo trovino. Eppure, Ane non è tranquilla. Qualcosa le sfugge. Ha rivisto con Aitor la cronologia dei fatti e si sono resi conto che il giornalista ha un alibi per gli omicidi di Araceli e Charo. Migliaia di ascoltatori hanno sentito il suo programma in diretta.

I moli e la fabbrica di tegole di Murueta sfilano ora oltre il finestrino. Il senso di colpa cresce. A quell’ora Julia potrebbe essere già morta. Ha deluso anche lei.

«Julia», mormora a voce bassa.

La sua relazione con il caso scuote d’un tratto la ertzaina. E se la sua collega non fosse stata sequestrata, ma fosse l’assassina che loro stanno cercando? La figlia che non mollerà il suo folle piano finché non avrà ucciso la sua vera madre...

Il treno si è fermato a San Kristobal. Scendono tre donne, sale un uomo con occhiali e txapela, tutti anziani. Vari edifici alti, di quelli costruiti in tutta fretta negli anni Sessanta per accogliere i lavoratori arrivati da lontano, imbruttiscono per un attimo la visuale.

No, non può essere. Julia non è un’assassina.

Compone ancora una volta il numero del tatuatore. L’auricolare le restituisce una lunga successione di squilli che si estingue senza ottenere risposta. Proprio come nei tentativi precedenti.

«Merda.»

Non le piace affatto quel silenzio. Sicuramente Raúl è sott’acqua, tra granchi e gronghi, e non sa ancora nulla di quel che è successo a Julia. Quando lo scoprirà non potrà perdonarsi di non aver partecipato alle operazioni di ricerca.

Eppure, Ane non riesce a togliersi dalla testa il fatto che tre delle vittime avevano dei tatuaggi. Forse anche la galiziana. Avrebbero dovuto indagare di più su quella coincidenza. Anche Julia ha il tatuaggio di un eguzkilore, il fiore del cardo silvestre. Si rimprovera per non aver dato a quella pista l’importanza che forse ha.

Si alza in piedi. Il tizio con la txapela e le altre due passeggere che condividono il vagone con lei la osservano con curiosità. Non serve che aprano la bocca per sapere quello che stanno pensando. Forestiera... Capita sempre sui treni regionali, si conoscono tutti.

Cammina verso il fondo del vagone e sbuffa. Poi torna al suo posto. Che cosa può fare? Prende di nuovo il telefono. Questa volta fa il numero di Aitor. Come starà andando la ricerca dei figli delle ragazze di Lourdes? Non vuole ammetterlo, ma ha paura che in quella lista appaia il nome di Raúl.

«Goenaga», saluta il suo collega.

«Novità?»

«A dire il vero, sì. Aimar Berasarte è appena stato rintracciato sui Pirenei. Hanno localizzato il segnale del suo cellulare e una volante della Guardia Civil l’ha raggiunto lì. Non c’è traccia di Julia o Sara. Al rifugio di montagna hanno confermato anche che lui è arrivato lì giovedì sera. Non può esser stato lui.»

«Cazzo, qualcosa mi diceva che questa storia del trekking era un’altra stronzata per tenerci occupati...», si lamenta Cestero. «Come sta andando con le identificazioni?»

«Bene. Ho già trovato quattro figli. Cinque, se contiamo anche Julia. Due vivono a Bilbao, una a Markina e la terza proprio qui, a Gernika. Ho già dato ordine agli agenti perché li trovino. Quella di Markina ce l’abbiamo già, è al lavoro, in una fabbrica di biciclette. Degli altri dovremmo sapere qualcosa a breve.»

Cestero è contenta per la diligenza del suo collega.

«Una cosa... Non è che Raúl, il tatuatore, è uno dei bambini del monastero?» Appena formula quella domanda si sente in colpa. Che cosa sta facendo? È così nel panico da sospettare delle persone che ha vicino?

«Raúl? Il nostro collega?» Aitor resta in silenzio per qualche istante. Sta digitando qualcosa al computer. «No, sembra di no. E poi non è nato nel ’79. Perché?»

«Non importa», si affretta a dire Cestero.

Il segnale acustico che avvisa della chiusura delle porte si insinua nella conversazione.

«Dove sei? Non avevi detto che scendevi per un caffè e tornavi?», chiede il collega.

«Sì... Poi ti racconto», dice la ertzaina senza entrare nel dettaglio.

Mentre parlava, il paesaggio ha cominciato ad assopirsi. Il mare sta passando dal blu al nero, e anche il verde dei querceti dell’isola di Txatxarramendi e dei pendii di Atxarre si sta lentamente spegnendo. L’unico colore a vincere sull’oscurità è quello dorato della sabbia, che emerge di tanto in tanto dall’acqua per formare effimeri isolotti. Lo sbocco dell’estuario è vicino; la notte, anche.

Un’idea comincia a prendere forma nella mente della ertzaina, una lucina che lampeggia in un angolo della sua testa. Non l’ha ancora individuata del tutto, ma sa che è lì. È un ricordo, parte da qualche conversazione che cerca di riportare al presente. Sa che c’è qualcosa che ha sottovalutato e che ora sta tentando di riemergere. Chiude gli occhi, forse questo la aiuterà a concentrarsi.

«Arratsalde on1

Cestero si gira stupita verso chi la sta salutando. Impiega qualche secondo a mettere a fuoco l’omone dalla barba bianca e la giacca blu mare che tende la mano in attesa del biglietto.

«Sono ertzaina», dice a mo’ di scusa. È salita sul treno senza passare dalla macchinetta dei biglietti.

«E io controllore.» Non c’è traccia di un sorriso sul volto dell’uomo. Anzi, è piuttosto inespressivo.

Cestero gli mostra il distintivo.

«Sono in servizio.»

L’impiegato della Euskotren si fa scappare un sospiro. Scarabocchia qualcosa su un blocchetto.

«Dove va?»

La ertzaina si gira verso il finestrino.

«Dove va il treno?»

Il tizio alza le sopracciglia e la osserva, incredulo. Poi scrive qualcos’altro e strappa un foglio dal blocchetto.

«Le do un biglietto fino a Bermeo. Faccia come vuole.»

Cestero tira fuori il portafoglio.

«Quanto...?»

Il controllore rifiuta le monete che lei gli offre.

«Non importa, ma la prossima volta faccia il biglietto prima di salire. È obbligatorio. Se non lo fa e succede un incidente, non è coperta dall’assicurazione.» Prima di allontanarsi, posa una mano sulla spalla di Cestero. Il suo sguardo si inumidisce. «Trovatele e fermate quel mostro spietato una volta per tutte.»

La ertzaina lo vede sfilare lungo il corridoio. È grande. Non grasso, grande. Deve pesare più di cento chili e riesce a malapena a passare tra i sedili. Vederlo sul punto di piangere l’ha commossa. La situazione che l’intera regione deve sopportare non è certo facile, e nonostante le micce che molti giornalisti si impegnano ad accendere è strano che non ci siano ancora stati dei veri e propri attacchi contro la Ertzaintza.

Il controllore si ferma a parlare con l’uomo con la txapela. Non del tempo né della partita dell’Athletic... Ci sono parole solo per le due donne scomparse. Il senso di colpa le martella in testa sempre più forte. Quante donne sono state uccise da quando lei ha preso in carico il caso?

Troppe.

Una sarebbe già una tragedia, ma qua si è andati ben oltre.

«Ora basta», esclama a voce alta. Non può continuare a fustigarsi così. Deve agire, non lamentarsi.

Un gregge di pecore attende dietro un passaggio a livello. È ora di tornare all’ovile. La pastora solleva la mano per salutare qualche passeggero conosciuto.

Cestero le sorride meccanicamente prima di richiudere le palpebre. Perché ha l’impressione di non aver seguito tutte le piste possibili? Sente di avere la chiave del caso lì, a portata di mano. Il controllore è apparso proprio nel momento sbagliato. Fa un respiro profondo, lentamente, ha bisogno di espellere il groviglio di idee contrapposte che le bombardano la mente. Le conversazioni e lo sferragliare del treno passano in secondo piano. I suoi neuroni cominciano a frenare.

Eccolo. L’ha trovato. È solo un dettaglio, forse insignificante, ma forse cruciale.

Mentre compone di nuovo l’ultimo numero che ha chiamato, si rimprovera di non averlo notato prima.

«Goenaga», sente nell’auricolare.

Cestero va subito al sodo.

«Qualche giorno fa hai menzionato una tesi sull’ibridazione dei tulipani alla quale aveva collaborato la Sociedad de Ciencias.»

«Così mi hanno detto, sì.»

«Voglio sapere tutto sull’autore di quello studio. Chi è, dove vive...? Tutto! Capito?»

«Di sabato? Vediamo se sono fortunato e riesco a trovare qualcuno... E immagino che vorrai sapere anche se si tratta di uno dei bambini nati al monastero», ipotizza Aitor.

«Esattamente», sentenzia Cestero. Quanto è semplice comunicare con il suo collega, si capiscono al volo, anche senza troppe parole.

Il treno si è fermato. Non ci sono binari in vista, solo il mare e la lunga lingua di sabbia che le cartine battezzano come spiaggia di Laida. Il controllore si affaccia al finestrino aggrottando la fronte prima di dirigersi verso la locomotiva. La ertzaina sente un nodo allo stomaco. Pensa a Julia e a Sara, ma anche a Natalia Etxano. Ogni singolo fotogramma del video del suo omicidio si riproduce di nuovo davanti ai suoi occhi.

«Ci risiamo!», sente protestare una delle donne. Si è alzata in piedi e cerca di scoprire attraverso il finestrino che cosa sta obbligando il convoglio a fermarsi.

L’uomo con la txapela non sembra molto preoccupato. Ha aperto il giornale e non alza nemmeno gli occhi.

Cestero serra la mandibola. Le piace sempre meno quella fermata inattesa. È sul punto di alzarsi in piedi per correre verso la locomotiva quando una scossa accompagna la ripresa del cammino.

Il messaggio di Aitor arriva appena gli alberi cominciano a sfilare di nuovo oltre il finestrino. È stato fortunato. Alla Sociedad de Ciencias non solo hanno il suo nome, ma anche la fotografia usata per la tessera di accesso all’istituto.

Cestero legge il nome. Non le dice niente. Aitor assicura che non è nella lista dei bambini adottati. Ovviamente questo non permette di scartare nulla, magari ha utilizzato una falsa identità. Sarebbe strano che qualcuno che ha curato con tanta precisione ogni sua mossa non abbia pensato di farlo.

La foto non è di buona qualità. Mostra un uomo sulla trentina, con gli occhi neri e una faccia simpatica. Ha un bel sorriso. Cestero lo studia aggrottando la fronte. Le risulta vagamente familiare.

Il piercing sulla lingua della ertzaina si muove inquieto da una parte all’altra della bocca, scontrandosi con gli incisivi o i molari. I suoi neuroni macinano informazioni a tutta velocità. È sicura di averlo visto da qualche parte. Sì, ma quando? Dove?

Cerca di immaginarselo con la barba, con i baffi, con gli occhiali, calvo... Mille composizioni diverse si formano una dietro l’altra nella sua testa. Nei sei anni che sono passati da quando la foto è stata consegnata alla Sociedad de Ciencias, il tizio potrebbe essere cambiato, e molto.

«Merda!», esclama d’un tratto. Fa il numero di Aitor: «È Álvaro, l’amico di Julia, quello che lavorava per Facebook», annuncia alzandosi in piedi. Deve scendere da quel treno.

«Álvaro Orduña? È nella lista. È nato al monastero nel 1979.»

Cestero parte di corsa verso la porta. Gli altri viaggiatori si voltano curiosi verso di lei. Il treno sta rallentando la marcia. I cartelli della stazione di Mundaka si affacciano al finestrino.

«Quello stronzo ci ha preso in giro sin dall’inizio», si lamenta la sottufficiale con un restrogusto amaro in bocca. «Manda una volante a prendermi e scopri dove vive quel figlio di puttana. Il gioco è finito!»

1. Buonasera.

La danza dei tulipani
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