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23 ottobre 2018, martedì

«Dov’è?», chiede Cestero appena entra in commissariato. Si stava dedicando a una prima ispezione dell’appartamento di Araceli Arrieta quando le avevano comunicato il fermo del sospettato.

Aitor interrompe il rapporto che sta digitando al computer e si gira verso di lei.

«Nella prima cella. Gli ho preso i dati. Era già stato schedato per detenzione di stupefacenti, ma non per violenza domestica.»

Cestero lascia lo zaino sul tavolo.

«La maggior parte di questi stronzi non è schedata. Ci sono così tante cose da migliorare. Che società di merda... Andiamo» esclama, avviandosi in corridoio.

«E gli altri?», chiede il suo collega seguendola.

«Sono rimasti nell’appartamento della vittima, a cercare prove e a prendere le dichiarazioni dei vicini. C’erano piatti rotti a terra, uno scenario di guerra in piena regola.»

L’agente che fa la guardia alle celle si limita ad aprir loro la porta. Poi si volta e torna alla postazione di vigilanza.

Cestero fa un bel respiro e deglutisce. Sente che la rabbia le irrigidisce le mascelle e i pugni. Aitor se ne accorge e le posa una mano sulla spalla per obbligarla a guardarlo negli occhi.

«Ane...», dice con sguardo serio. Ci mette qualche secondo a concludere la frase, abbastanza perché la sottufficiale capisca che è preoccupato per lei. «Non puoi interrogarlo lì dentro.»

Cestero arriccia le labbra. Conosce fin troppo bene il regolamento. È assolutamente proibito interagire con i detenuti dentro le celle. Qualsiasi interrogatorio o presa di dati deve avere luogo in una sala disposta a tal fine.

«Piantala di fare tante cerimonie. Saranno solo un paio di domande», commenta la sottufficiale.

Aitor dissente con una smorfia. Andare contro le regole è un atteggiamento molto lontano da lui.

«Non esagerare», la avverte.

Cestero si sforza di fare un sorriso che ha il solo fine di tranquillizzarlo. Certo che non esagererà. Riempirebbe volentieri di botte lo stronzo che ha appena ucciso la moglie, ma sa stare al suo posto.

La claustrofobia che la coglie ogni volta che entra in una cella anche questa volta si fa sentire. Quelle pareti nude di finestre e quello spazio così ridotto sono più forti di lei. Non vuole nemmeno immaginare quanto soffrirebbe a stare chiusa lì dentro.

«Vado da sola», dice rivolgendosi ad Aitor. Il collega apre la bocca per protestare ma lei non gli dà modo di farlo. «Da sola, Aitor. Aspettami fuori.»

Il detenuto è seduto sulla panca di cemento che serve da branda. La testa bassa, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il volto perso tra le mani.

«Perché?», gli chiede a bruciapelo, senza presentazioni né protocolli da rispettare.

«Non sono stato io, maledizione... Come faccio a spiegarvelo?» Le mani si allontanano dal suo volto e lasciano in vista dei lineamenti deformati dalle lacrime.

«Sei molto forte, José Manuel. Molto forte.» Cestero sente l’amaro della bile in ognuna delle parole che riesce a sputargli in faccia. «Così forte che avevi bisogno di annullare tua moglie per sentirti il suo padrone; così forte che credevi di poterle mettere le mani addosso in continuazione; così forte che godevi a sottometterla, a umiliarla.»

«Vi state sbagliando!», esclama il detenuto alzandosi in piedi. Cestero fa un passo indietro. «Io non l’ho uccisa. Io la amavo!»

La sottufficiale serra la mandibola.

«Non è quello che dicono i tuoi vicini», sbotta cercando di non farsi trasportare dalla furia. «Che cosa è successo stamattina?»

«Niente! Non è successo niente!»

«Grida, colpi, lamenti... Ho raccolto con le mie mani i cocci dei piatti che hai sbattuto a terra. Ti sembra poco? Ci sono troppi testimoni di quel che è successo oggi a casa tua.»

«Chi? Ignacia, Esther, Toña?», si difende l’uomo con un’espressione di sdegno che contrasta con il suo sguardo desolato. «Sono delle streghe... Delle maledette streghe!»

«Siediti», ordina Cestero indicando la panca.

José Manuel la sfida con lo sguardo.

«Non sono stato io», mormora tra i denti, avvicinando il volto a quello della ertzaina.

L’odore di vino rancido obbliga Cestero a contenere un conato.

«Ho detto che devi sederti», insiste lentamente.

I pugni le si irrigidiscono quando capisce che il detenuto non ha alcuna intenzione di indietreggiare. Qualcosa le dice che se fosse stato un uomo a interrogarlo avrebbe obbedito alla prima.

Il sorriso burlone che comincia a disegnarsi sulle labbra di José Manuel le dà ragione, ma gli si congela in volto quando sente il ginocchio di Cestero conficcarglisi in mezzo alle gambe.

«Siediti, cazzo!», tuona la sottufficiale facendolo crollare con una spinta. «Imparerai a obbedire anche a una donna.»

«Cestero!» Aitor Goneaga la sta osservando attraverso una finestrella aperta sulla porta.

Il detenuto crolla sulla panca con le mani fra le gambe e una smorfia di dolore.

«Non l’ho uccisa io», mormora sollevando uno sguardo ferito verso Cestero. «Quelle streghe mentono.»

Nonostante la distanza, quell’alito di vino da quattro soldi colpisce di nuovo la ertzaina, che cerca di contare fino a tre nel tentativo di calmarsi.

«Sei una merda, lo sai?», dice, appoggiando la schiena alla porta. «Invece di essere grato che una donna come Araceli dividesse la vita con un rifiuto come te, l’hai uccisa. E non una volta, ma ben due. Prima l’hai seppellita viva, facendola disperare ogni volta che aprivi la porta di casa, e poi l’hai spinta giù da quella finestra.

Il detenuto si ricompone e solleva il mento.

«Smettila di perdere tempo con me e vai a cercare quel matto del tulipano. Cosa aspetti, che ne faccia fuori un’altra mentre tu sei qui a chiacchierare con me?»

Ane sente ogni muscolo delle sue mani contorcersi prima di gettarsi su di lui e prenderlo per il collo.

«Non sto chiacchierando, pezzo di merda», esclama scuotendolo su e giù, fuori di sé. «Non sto chiacchierando! Perché l’hai uccisa, eh? Perché?»

Il terrore si impossessa del volto di José Manuel. L’odore di alcol che esce dalla sua bocca, semiaperta in cerca d’aria, non fa che alimentare l’ira della ertzaina, che lo strangola sempre più forte.

«Ane! Cosa cazzo stai facendo? Aneee!» Aitor ha aperto la porta e strattona la sottufficiale cercando di separarla dal detenuto. «Lascialo!»

Cestero fa un passo indietro. Le sembra di avere la testa sul punto di scoppiare. Che cosa le è successo? Osserva le sue stesse mani inorridita da quello che ha appena fatto. Non è sicura che si sarebbe fermata in tempo senza l’intervento di Aitor.

La danza dei tulipani
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