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30 ottobre 2018, martedì
Le sette in punto del mattino. La sigla del notiziario si somma alla colonna sonora delle onde che si infrangono sulle rocce. Julia apre gli occhi. È l’ora del surf. La prima notizia, però, su cui il conduttore si sofferma per lunghi minuti, le ricorda che quella mattina non ci sarà tempo per il suo quotidiano abbraccio con il mare. Quattro donne morte, già quattro, una in Galizia e tre nei dintorni di Gernika. L’allarme dell’opinione pubblica è più che considerevole. La radio le dà un quadro decisamente vivido dell’ansia generale. Le testimonianze raccolte per strada parlano di paura, di donne che escono di casa solo se accompagnate e di una generale sensazione di insicurezza. Un portavoce della Ertzaintza promette che le indagini proseguiranno con ancor più rinforzi e assicura che sono già stati fatti importanti passi avanti.
Davvero?
Julia vuole credere di sì, che troveranno qualcosa tra i documenti sequestrati nel monastero.
I bambini... I bambini...
Le vengono i brividi a ricordare lo sguardo delirante della madre superiora.
Si affaccia alla finestra. Sta facendo giorno. Il mare ha una bella tonalità metallica; il cielo è una pesante coperta grigia che lo spuntare del sole tinge timidamente di rosso dietro il promontorio di Ogoño. I profili dei surfisti più mattinieri già cavalcano le onde. Sente il richiamo dell’acqua.
No, quella mattina no.
Sono vicini alla soluzione. Lo sa, e non c’è un solo secondo da perdere.
Un paio di jeans, una felpa della Federazione Basca di Surf e poco altro. Farà colazione andando al commissariato.
L’ultima cosa che può immaginare a quell’ora del mattino è che la sua vita stia per cambiare per sempre.
«Abbiamo fatto tutto il possibile», dice Cestero dando enfasi a quel “tutto”. Ha delle occhiaie notevoli, e stamattina non si è lisciata i capelli. «La situazione non era facile. E poi, l’autopsia conferma che la donna era già morta quando la prima fotografia, quella dei piedi, è arrivata alla stampa. Non c’era niente da fare.»
Lo sconforto è evidente in tutta la squadra. L’ultimo lunedì di ottobre ha lasciato un alone di sconfitta che sarà difficile togliersi di dosso. I rinforzi sono arrivati, quattro agenti dell’Unità Centrale di Investigazione, la stessa a cui appartiene Txema. Cestero sa che non può aspettarsi niente di buono: la complicità tra loro e il sottufficiale salta subito agli occhi. Ma non vuole pensarci, non ora. Con un po’ di fortuna riuscirà a chiudere il caso prima che i problemi arrivino davvero.
«Non usciremo da questa stanza finché non avremo trovato quello che stiamo cercando», spiega indicando la montagna di quaderni, corrispondenza e incartamenti vari che hanno salvato dalle fiamme del monastero. «Dobbiamo trovare quanto prima una lista completa delle donne che sono state mandate a Lourdes nel 1979. Bisogna metterle sotto scorta prima che rischino di fare la stessa fine delle quattro vittime.»
«E se fossero decine?» A intervenire è uno dei nuovi. Anche lui indossa la cravatta, come Txema, che annuisce compiaciuto alla domanda del collega.
«Le proteggeremo tutte», sentenzia Cestero. Le sue parole non ammettono discussioni, nonostante tutti siano consapevoli che sarebbe impossibile. Non hanno i mezzi per poter fare una cosa del genere.
«Potremmo anche contattare il convento di Lourdes che all’epoca ha accolto le ragazze. Sicuramente avranno un archivio delle volontarie. Non dovranno fare molto per mostrarsi più disposte a collaborare delle suore di qui», suggerisce Aitor.
Cestero si rimprovera per non averci pensato prima. Avrebbero potuto guadagnare un po’ di tempo e forse salvare la vita all’ultima vittima.
«Buona idea. Chiami tu? Sai un po’ di francese...»
Aitor non perde tempo. Cerca su internet il numero di telefono e si allontana di qualche metro per parlare con più tranquillità.
«Merda! C’è la segreteria telefonica. Devo lasciare un messaggio e farmi richiamare», si lamenta pochi istanti dopo.
«Be’, credo che dovrai andare a Lourdes», decide la sottufficiale. Cerca in tasca le chiavi della sua Renault Clio e gliele lancia.
Aitor le prende al volo, interrompendone la parabola.
La sua espressione di circostanza dice tutto: non gli piace guidare. Cestero lo sa, ma sa anche che è l’agente più diplomtico, il migliore per avere a che fare con le monache.
«Saranno almeno quattro ore di strada.»
La sottufficiale si stringe nelle spalle.
«Se schiacci un po’ sull’acceleratore saranno tre.»
Sa che Aitor non farà niente del genere, anzi rispetterà ogni singolo limite lungo la strada.
Sono passate due ore da quando se n’è andato. Al commissariato di Gernika il morale è a terra, e ancor di più grazie alla radio che rigurgita il programma di Aimar Berasarte da un angolo della sala. L’omicidio al bosco di Oma in una giornata così speciale ha fornito al giornalista combustibile a sufficienza per far scoppiettare il palinsesto radiofonico per mesi.
Nessun passo avanti. Cestero comincia a temere che la lista che stanno cercando non esista o si trovi tra le carte che le religiose hanno bruciato prima che loro gli impedissero di continuare ad alimentare la stufa.
«Dovremmo sbattere suor Teresa in carcere e buttare giù l’intero monastero», dice chiudendo il quaderno che ha controllato pagina per pagina. Sa in che anno sono state cambaite le coperte, da che fornitore hanno comprato la farina...
«Sapete che quelle suore escono dal monastero ogni due per tre? Ditemi se è clausura questa...» A parlare è uno degli agenti appena arrivati. Sta controllando un taccuino rilegato in pelle. «Qui è registrata ogni loro uscita. Chi esce, in quale giorno, quanti soldi prende dalla cassa per le sue spese... Perfino dove va e perché.»
Cestero si avvicina a dare un’occhiata. Alcune delle date che appaiono sulla pagina le sono familiari. Sono i giorni in cui i crimini hanno avuto luogo.
«Ogni volta che il nostro assassino si è mosso, una delle suore è uscita dal monastero. In teoria il pretesto è un controllo medico, una visita a un parente... si tratta di suor Teresa e suor Carmen, il più delle volte» commenta, voltandosi verso gli altri.
Txema fa schioccare la lingua.
«Non dirmi che ora la nostra ipotesi più solida sono delle suorine di clausura...»
«Non ho detto questo. Ho solo fornito un dato che bisognerà prendere in considerazione», lo affronta Cestero. È stufa che Txema si opponga a qualunque idea lei proponga.
Julia li richiama all’ordine.
«Nel ’79 hanno registrato entrate importanti. E anche nei cinque anni precedenti. E nell’80. Poi le entrate cadono in picchiata», annuncia l’agente porgendo il libro contabile alla sottufficiale.
Cestero si irrigidisce. Quello è un altro dato che potrebbe rivelarsi importante.
«È successa qualche catastrofe naturale negli anni in cui le donazioni sono più consistenti? Gente grata per aver avuto salva la vita...», sostiene uno dei nuovi.
«Non ci sono state delle inondazioni con morti e gravi danni in quel periodo?», suggerisce un altro.
«Quello è stato nell’82. A luglio. Una mia prozia era tra le dodici vittime della piena dell’estuario. No, quelle entrate coincidono con gli anni in cui hanno mandato le ragazze a Lourdes. Sicuramente le famiglie avranno pagato per sbarazzarsi delle figlie per qualche mese », suggerisce Txema.
I suoi pupilli annuiscono. Cestero riconosce che la sua ipotesi è piuttosto logica. Non immagina che suor Teresa possa fare una cosa del genere in modo disinteressato.
«Per sette anni hanno mandato giovani ragazze ribelli ad aiutare i pellegrini...» Pensa a voce alta. «Tutte le vittime, però, sono state a Lourdes nello stesso anno. Che cosa è successo nel ’79 perché qualcuno oggi voglia eliminarle?»
Nessuno risponde. È la domanda che si stanno facendo tutti. Che cosa le differenzia dalle altre, quale segreto le colloca nel mirino dell’Assassino del Tulipano?
La telefonata arriva mentre Julia sta controllando la corrispondenza. Sono due cartelline color granata, i cui elastici hanno ceduto dopo anni e anni di tensione. Due dei nuovi agenti lavorano con lei. Julia ha l’impressione che procedano troppo rapidamente, ma evita di dirglelo. Forse loro penseranno che lei è lentissima.
«La maggior parte delle lettere arrivano da famiglie di benefattori che sostengono il monastero con offerte piuttosto generose», dice dopo aver letto una mezza dozzina di missive.
«Dividete la corrispondenza per anno. Ci interessa solo quella del ’79. Non perdete tempo con il resto», ordina Cestero mentre afferra il suo cellulare, che squilla insistente sul tavolo. «È Aitor. Forse ha trovato qualcosa.»
Julia guarda l’orologio. Sono le due del pomeriggio. Il tempo è corso via come sabbia fine tra le dita. Goenaga è partito in direzione Lourdes quasi cinque ore fa. Le sembra troppo poco tempo per aver ottenuto già delle risposte, ma non si sa mai.
«Come niente di niente?», chiede Cestero, accorgendosi che d’un tratto tutti la osservano, in attesa. Attiva il vivavoce del telefono.
«Niente. Le suore dicono di non aver mai ricevuto quelle ragazze. Le uniche persone che sono state qui come volontarie sono proprio le religiose del monastero di Gernika. Mi hanno mostrato i registri. Indovinate che nome ci ho trovato?»
«Suor Teresa», azzarda Cestero.
«Esatto. E anche la madre superiora, che all’epoca non era ancora badessa.»
«Di che anno stiamo parlando?»
«La superiora nel ’74, suor Teresa nell’81.»
Cestero prende nota delle date sul suo taccuino.
«Dev’esserci un errore. Forse non hanno tenuto un registro delle volontarie che non appartenevano all’ordine», suggerisce la sottufficiale rivolgendo uno sguardo a Julia, che scuote quasi impercettibilmente la testa. Non ha domande da fare.
«Ho provato a chiedere proprio questo», confessa Aitor. «Mantieni la calma, Ane. L’hanno negato fino alla nausea. Qui quelle ragazze non ci sono mai state. E credimi, queste monache si ricordano perfino se pioveva o no il giorno della Domenica delle Palme del 1979.»
Cestero lo ringrazia per il suo lavoro e gli raccomanda di fare attenzione per strada al ritorno. Poi scruta gli altri membri della squadra. Julia nota lo sconcerto nei loro occhi.
«Chiama la giudice», ordina a Txema. «Fatti firmare un mandato di cattura. Se suor Teresa ha bisogno di finire in manette sulle prime pagine dei giornali di domattina per confessare cosa facevano con quelle ragazze, così sarà. Dobbiamo interrogare lei, la madre superiora e tutte le suore che si trovavano al monastero in quegli anni.»
«Sarà difficile», riconosce il sottufficiale prendendo il telefono.
«Voialtri, continuare a cercare. Non è possibile che non ci siano altri indizi.»
Julia si immerge di nuovo nella corrispondenza. È sorprendente la quantità di soldi che certe persone sono in grado di donare alla congregazione. Alle lettere a volte sono allegati documenti bancari che giustificano le entrate, anche se nella maggior parte dei casi si intuisce che la donazione era contenuta nella busta stessa.
«Famiglie che pagano per togliersi dai piedi le proprie figlie», sentenzia Cestero. «Che cosa avranno mai fatto con quelle ragazze se non le mandavano a Lourdes?»
«Bisognerà chiedere alle famiglie. Non credo che ingannassero anche i parenti», argomenta Julia.
«Ho trovato qualcosa!», la interrompe uno dei rinforzi. Sta controllando un registro dalla copertina annerita. È uno di quelli che hanno salvato dal fuoco della stufa. «Qui ci sono delle liste di ragazze, divise per anni. Dal ’74 all’80.»
«Le ragazze di Lourdes! Cazzo, sono quasi riuscite a bruciarlo...» esclama Ane, avvicinandosi a lui.
«Merda!» L’agente mostra il pezzo di carta strappato a cui è ridotta una delle pagine del registro. «Manca il ’79.»
«Solo quell’anno?»
L’ertzaina scorre velocemente i fogli e annuisce, accigliata.
«Gli altri ci sono tutti.»
«Figlie di...!», esclama Cestero dando un pugno sul tavolo.
«Suor Teresa ha detto che le avevano rubato la lista di quell’anno... Magari è la verità», interviene Julia.
Prende una manciata di lettere e le agita di fronte ad Ane.
«Non importa, possiamo ricavare la lista da qui. Ci metteremo un po’ di più, ma basterà isolare tutti i mittenti delle lettere.»
Cestero annuisce lentamente. Prende uno straccio e cancella tutto quello che c’è scritto sulla lavagna.
«D’accordo. Concentriamoci tutti sulla corrispondenza» dice, disegnando una tabella con un pennarello nero che maneggia a fatica. «Ci segneremo il mittente, la quantità donata e la data del bonifico bancario. Date priorità ai pagamenti del ’79. Così avremo una lista delle famiglie. Poi bisognerà contattarle tutte e fornire protezione alle figlie che sono state nelle mani di quelle streghe. Questa è la prima cosa da fare. Evitare un’altra morte. E poi ci occuperemo dell’Assassino del Tulipano.»
«O Assassina», aggiunge Txema rientrando nella stanza.
«O Assassina», ammette Cestero. Julia ha l’impressione che non lo stia dicendo tanto per dire. La sottufficiale forse sta davvero valutando l’ipotesi che ci sia una donna dietro a quegli omicidi. «Cosa dice la giudice? Abbiamo un mandato di arresto?»
«Ci proverà il segretario giudiziario. Appena finisce l’udienza che la giudice sta presiedendo glielo chiederà. Non mi ha promesso nulla.»
Cestero mormora un’imprecazione a bassa voce. Julia le rivolge uno sguardo complice e poi torna a concentrarsi sulle lettere. Prende una busta che il passare degli anni ha tinto di un color giallo spento. Il timbro indica che risale a giugno 1979. È aperta con un tagliacarte, come tutte. Non fatica a immaginarsi una monaca con un vecchio attrezzo come quello in una biblioteca male illuminata.
Prende la lettera. Contiene solo parole di ringraziamento. «Grazie per questo regalo del cielo, grazie per aver portato la felicità in casa nostra.» Gratitudine e il giustificativo di un versamento a diversi zeri: ottantamila pesetas. La stessa cifra che si ripete in continuazione nelle varie lettere.
Si alza in piedi, prende il pennarello e segna sulla lavagna l’importo e la data. Poi gira la busta, annota il mittente e passa alla lettera successiva. Contiene sempre un ringraziamento e una donazione, anche se il tono del messaggio è un po’ diverso. Volta la busta e legge chi l’ha inviata.
«Famiglia Etxano Garcibuey», legge a voce alta. «La giornalista. È una delle ragazze di Lourdes.»
«Non poteva essere altrimenti», commenta Cestero. «E suor Teresa lo sa. Sicuramente sono orgogliose del fatto che una giornalista famosa sia passata per il monastero. Quella monaca è tremenda. E la situazione mi sembra sempre più grave. Che cosa è successo quell’anno perché qualcuno oggi voglia eliminare quelle donne?»
Julia scarabocchia il nome della famiglia di Natalia Etxano sulla lavagna. Poi prende un’altra busta, guarda il messaggio e infine legge il mittente.
Non può essere vero.
Lo legge di nuovo.
No, non è vero. Ha passato così tante ore in mezzo a quei documenti che di sicuro il cervello le sta facendo un brutto scherzo.
«Quante altre morti permetteremo? Non è forse il momento di far sentire la nostra voce? Di dire che non paghiamo certo le tasse per poi essere abbandonati in questo modo al nostro destino?», rigurgita la voce di Aimar Berasarte dalla radio.
«Qualcuno può spegnere una volta per tutte quella cazzo di radio?», esplode Julia girandosi verso i colleghi.
Txema fa segno a uno dei nuovi di staccare l’apparecchio.
È grata per quel silenzio, ma il mittente sulla busta non è cambiato.
Julia si sente stordita. Ha bisogno di riposare.
«Cestero, puoi dirmi che cosa c’è scritto qui?» chiede, porgendole la busta.
La sottufficiale le rivolge uno sguardo pieno di stupore. Non capisce. In ogni caso, decide di non fare domande. Prende la busta e si dispone a leggere il mittente a voce alta. Gli altri hanno smesso di controllare i documenti e osservano la scena intrigati.
Julia sa che quello che sta per ascoltare non le piacerà.
«Famiglia Lizardi Castro.»
«Questa sei tu!», esclama Txema.
Julia si siede su un tavolo. Non capisce che cosa sta succedendo.
«I miei genitori. La mia famiglia», ammette con lo sguardo perso.
Cestero fa un respiro profondo.
«Grazie per questo regalo del cielo...» legge, con la fronte aggrottata. Un silenzio, un lungo silenzio. Poi arriva la domanda che Julia si aspetta, la cui risposta le martella in testa da quando ha letto quel nome sulla busta: «In che anno sei nata, Julia?».