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23 ottobre 2018, martedì

Il corteo funebre avanza lentamente tra le tombe. Nonostante la pioggia, che non ha smesso di cadere per tutta la notte, Cestero riesce a sentire il suono dei passi sulla ghiaia. Dal gruppo di persone riunito per congedarsi da Natalia le arriva anche un confuso mormorio strozzato, di conversazioni altrui. Sono quasi tutti vestiti di nero, anche se tra i più giovani qualcuno indossa i jeans. Gli ombrelli danno una nota di colore alla triste scena. Lo stesso fanno i fiori che gli impiegati delle pompe funebri portano dietro al feretro.

La ertzaina ha preferito mantenersi a una prudente distanza. La prima linea non le appartiene, anche se probabilmente non è il luogo adatto nemmeno per molti di quelli che ora si congedano da Natalia pur avendola appena conosciuta.

Il parroco alza la mano chiedendo silenzio mentre il marito cerca di soffocare il pianto che, oggi sì, si è impadronito del suo volto. Cestero lo intravede appena nella folla riunita lì intorno. Calcola che ci siano più di cento persone, forse duecento. Un numero considerevole, visto che si tratta di un cimitero defilato, che si raggiunge prendendo una stretta strada di campagna dal centro di Mundaka. Il panorama ripaga dello sforzo. Pochi cimiteri godono di una vista tanto bella, anche se oggi la pioggia e la foschia fanno del loro meglio per offuscare l’abbraccio dell’estuario di Urdaibai con il mar Cantabrico.

La stampa ovviamente non manca. L’omicidio di una collega ha risvegliato l’interesse di una decina di testate. Salvo qualche fotografo che si è addentrato fra le tombe, i giornalisti sono rimasti dietro al cancello che protegge il complesso. Aspettano che finisca la cerimonia per abbordare gli astanti con telecamere e microfoni.

Le preghiere del sacerdote raggiungono Cestero sotto forma di una cantilena incomprensibile. Lo vede sollevare la mano per gettare dell’acqua benedetta sulla tomba, e anche farsi il segno della croce davanti al viso. Gli altri rispondono con un movimento corale.

Un ronzio nella tasca della ertzaina la avverte dell’arrivo di un messaggio. È Olaia. Le dice di ricominciare a darci dentro con la batteria appena può. Il primo concerto è confermato. Sarà a Durango, alla sala Plateruena, tra un mese e mezzo.

Cestero cerca di fare mente locale. La sera vanno spesso a Durango. Il Plateruena non è il caffè-teatro che hanno allestito nel vecchio mattatoio? Non sarà troppo grande per loro?

Comincia a scrivere un messaggio per congratularsi con Olaia quando è sorpresa da una voce alle sue spalle.

«Da quando ci presentiamo ai funerali?»

È Luis Olaizola, il commissario. Il suo sguardo rivela un’immensa tristezza, ancor più profonda del giorno prima in ufficio.

«Non si sa mai», si difende Cestero. «Se si trattasse di un crimine passionale, l’assassino potrebbe essere qui, a congedarsi come una persona qualunque.»

«O qui, sotto l’arco di questa cappella», mormora Olaizola indicando se stesso con fare rassegnato.

La sottufficiale è sul punto di annuire, ma si trattiene all’ultimo momento.

«Nel nome del Padre...», le parole del prete arrivano con una certa chiarezza.

«È molto difficile congedarsi da qualcuno che è stato così importante nella tua vita, e per di più sapere che fai parte della lista di sospettati per il suo omicidio», ammette il commissario portandosi la mano agli occhi per asciugare le lacrime. «Sono molti anni che dirigo il commissariato senza che mi si possa attribuire nessuna irregolarità. Non mi aspettavo questa mancanza di fiducia dai piani alti.»

Cestero non risponde. Non ce n’è bisogno.

La cerimonia non si dilunga troppo. I lamenti del marito e le accuse rivolte all’assassino risuonano con più forza nel momento in cui i becchini introducono il feretro nella tomba. Poi i presenti se ne tornano da dove sono venuti, barricati sotto i loro ombrelli, immersi nei loro mormorii sommessi. I giornalisti non perdono tempo. I flash si accendono e circondano le persone che stanno lasciando il cimitero. Cestero sbuffa, sa che quella pressione mediatica sarà una costante finché non troveranno l’assassino.

Solo quando il cancello metallico emette uno stridio chiudendosi dietro gli impiegati delle pompe funebri, Olaizola dà le spalle a Cestero e si dirige verso la tomba. L’immagine di quell’uomo che con il suo ombrello si fa strada tra le cappelle cimiteriali è penosa. Il commissario è distrutto. I suoi occhi pieni di lacrime e le spalle cadute non suggeriscono nulla di diverso.

Ane Cestero fa un respiro profondo. L’umidità della zona le rinfresca i polmoni, non la mente. Non è a suo agio, ma deve farlo. Si mette il cappuccio dell’impermeabile e abbandona la protezione della cappella funebre.

«Le sono vicina», mormora raggiungendo il commissario.

Olaizola non risponde. Il suo sguardo è fisso sulla lapide. Il nome di Natalia Etxano e le due date, il giorno della sua nascita e quello della sua morte. Senza epitaffi né frasi eccessive in ricordo della vittima. Una tomba come un’altra, una delle centinaia che si allineano senza alcun protagonismo nella solitudine del camposanto. La morte rende tutti uguali.

«Era la migliore. Tutto quello che succedeva a Gernika passava dalle sue labbra. Non si è mai tirata indietro al momento di denunciare davanti al microfono ogni tipo di corruzione, per potenti che fossero i soggetti.» Le parole del commissario suonano come un addio.

Cestero annuisce lentamente. Olaizola sta forse cercando di indirizzare le sue indagini? La persona che denunciava i corrotti... Questo apre troppo il ventaglio dei possibili sospettati. Quanto tempo è capace di aspettare una persona prima di portare a termine la propria vendetta? Settimane? Mesi? Anni?

Porsi quella domanda le dà le vertigini.

«Cosa aspetti a interrogarmi?», chiede Olaizola girandosi verso di lei. La pioggia che gli inzuppa il viso si mescola con le lacrime.

La sottufficiale si mordicchia il piercing che ha sulla lingua con gli incisivi, come fa ogni volta che i nervi sono sul punto di tradirla. Contava di carpire qualche informazione al commissario in modo informale, senza sottometterlo in ogni caso a un interrogatorio severo.

«Dai, perché non adesso? Voglio farla finita con questa storia una volta per tutte», la incalza Olaizola.

Cestero si guarda intorno. Decine di croci di pietra e immagini di santi che piangono sotto il cielo imbronciato.

«Forse questo non è il posto adatto», suggerisce posando lo sguardo sulla tomba della giornalista.

Il commissario apre le braccia e fa una smorfia sorpresa.

«Io non potrei pensare a un posto migliore. Non c’è nessuno che possa disturbarci o sentirci.»

La ertzaina annuisce e cerca in tasca il taccuino per gli appunti, ma la pioggia, che continua a cadere, le fa scartare l’idea. Dovrà memorizzare le risposte.

«Va bene. In fondo non ho poi tante domande. Dove si trovava al momento del delitto?»

«Del tu.»

«Come?»

«Dammi del tu, te l’ho già detto.»

Ane sospira. Le è costato molto imparare a dare del lei alle persone che interroga.

«Dove ti trovavi?», si corregge.

«Stavo pescando. Da solo sulla mia barca. So che non è il miglior alibi, ma sul molo ho incontrato Néstor, un tizio di Mundaka che ti potrà confermare a che ora ho lasciato il porto. Anche quando sono rientrato c’era un uomo. Non so come si chiama, è solo qualche mese che attracca il suo gozzo vicino al mio. Credo che non sarà difficile trovarlo.»

«Per quanto tempo sei rimasto in barca?»

«Circa tre ore.»

Il commissario risponde senza fermarsi a pensare. Ha avuto fin troppo tempo per prepararsi all’interrogatorio. In ogni caso, tre ore è un tempo sufficiente per sbarcare da qualche parte, portare a termine l’omicidio e tornare in barca. La sua uscita in mare è comunque un alibi che non regge.

«Perché Natalia ti ha lasciato?»

La domanda colpisce il commissario nell’orgoglio; prima di aprire bocca si volta verso la tomba.

«Ti ho già detto che l’abbiamo deciso di comune accordo.»

C’è stata un’esitazione. Appena una frazione di secondo, ma Cestero l’ha individuata subito.

«È sempre una persona a lasciare l’altra.»

Olaizola arriccia le labbra e le rivolge uno sguardo orgoglioso. Non è abituato a essere lui la persona che risponde alle domande.

«È stato quattro mesi fa... La gente iniziava a parlare troppo. Gernika è un cazzo di paese. Il nostro era diventato un segreto di pulcinella. Ti immagini, quella della radio con il commissario... Era insostenibile. Natalia ha detto che non voleva fare più del male a suo marito. Io le ho proposto di stare insieme sul serio, di chiedere il divorzio... Lei non ne ha avuto il coraggio e abbiamo smesso di vederci.»

Cestero fa un respiro profondo. La separazione di comune accordo si è appena trasformata in lui che viene abbandonato da Natalia.

«E tua moglie? Come ha vissuto questa situazione?»

Il commissario sfiora con il dorso della mano una delle molte rose che coprono la tomba mentre fa segno di no con la testa.

«Non l’ha vissuta in alcun modo. Per lei era lo stesso. È troppo tempo che la nostra storia è finita. Viviamo sotto lo stesso tetto, come due vecchi amici, ma niente di più. Lei è completamente immersa nel suo lavoro, e io nel mio.»

«Però vivete insieme?»

«Insieme ma separati. Anche lei avrà i suoi amanti. Be’, se il lavoro le lascia il tempo di trovarseli, ovviamente.»

«Dove lavora?»

«Fa l’avvocato. Di quelli seri... Casi intorno ai quali girano un sacco di soldi.»

«Sai che dovrò parlare con lei», lo avverte Cestero.

La smorfia di fastidio di Olaizola dice tutto, anche se non può far altro che annuire. Conosce il procedimento.

«Natalia ti ha mai raccontato di aver ricevuto minacce? Si sentiva in pericolo?»

«È improbabile che una persona come Natalia non ricevesse minacce, anche se sicuramente non ci badava molto. Non mi ha mai raccontato nulla. Voi avete fatto qualche passo avanti?»

Cestero si limita a negare con un cenno del capo. Non può condividere con un sospettato l’avanzamento delle indagini, anche se si tratta del commissario. Sente che le domande le si accalcano in testa. Com’era Natalia? Che rapporti aveva con i colleghi? Come...? D’altra parte non vuole angosciare Olaizola. Non davanti alla tomba della vittima. Si sente a disagio a interrogarlo in un luogo sul quale aleggia ancora la tristezza dell’addio. I nastri che circondano le corone di fiori parlano della collega migliore del mondo, dei cugini che non ti dimenticheranno, dei venditori al mercato... Ci sono moltissimi fiori, coprono la lapide quasi per intero. Rose, crisantemi, garofani... D’un tratto la sottufficiale ha la sensazione di strozzarsi con la sua stessa saliva.

«Cazzo... È stato qui.»

La sua mano destra indica uno dei mazzi di fiori. Non uno qualunque, è diverso dagli altri. Non è avvolto nel cellofan, né ha nastri con parole d’addio. Niente del genere.

È un mazzo di tulipani. Rossi come quello che Natalia aveva in mano quando il treno le ha tolto la vita.

La danza dei tulipani
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