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30 ottobre 2018, martedì

«Mi avete comprata.» Julia vede i suoi genitori come sfocati. Ha gli occhi pieni di lacrime. Anche i mille ninnoli di porcellana e vetro di Murano che sua madre tiene sparsi nei luoghi più insospettabili del salotto sono sfumati dietro il velo di tristezza.

«Non dire così. Sembra bruttissimo», le chiede sua madre. Il tono della sua voce rivela che sta piangendo anche lei.

«È quello che avete fatto! Ottantamila pesetas!», li affronta Julia. «È questo che valgo? Ottantamila miserevoli pesetas? Meno di cinquecento euro...»

Suo padre interviene. È la prima volta che apre bocca da quando Julia ha fatto irruzione in casa loro e gli ha chiesto di sedersi sul divano con lei.

«Tua madre ha ragione. Non ti abbiamo comprata, ti abbiamo adottata.» Non la guarda. Non è in grado di farlo. Si osserva le mani con un’espressione di sconfitta sul volto.

Julia gli mostra la copia del giustificativo bancario.

«Ottantamila pesetas. È scritto nero su bianco.»

«È solo una donazione. Tuo padre...»

«Non è mio padre», tuona Julia. Appena si asciuga le lacrime, una nuova ondata di pianto le rannuvola lo sguardo.

«Per favore, Julia, questo no», la prega sua madre singhiozzando.

«Non siete i miei genitori. Non lo siete. È stata tutta una pantomima. Quarant’anni, quaranta, una vita di bugie» piange Julia, alzandosi. È delusa da loro quanto da se stessa. Si sta comportando come una ragazzina viziata. Lo sa, ma ne ha bisogno in quel momento. Deve sfogarsi in qualche modo.

Suo padre si alza in piedi e le accarezza dolcemente la schiena, proprio come quando era piccola e non riusciva a dormire per paura del buio.

«Julia, tesoro, lascia che ti spieghiamo. Per noi sei l’unica cosa che conta. Guarda tua madre. È distrutta. Non farle questo... Non farci questo, per favore.»

La poliziotta si allontana da lui. Si siede al tavolo dove ha condiviso con loro ogni pasto fino al giorno in cui si è trasferita a Mundaka. Ricorda ancora le lacrime contenute di sua madre il giorno che le aveva detto che andava via di casa. Nonostante i singhiozzi, la donna le aveva augurato il meglio e aveva finto di essere felice per lei. Julia non aveva visto quello che era venuto dopo, ma era certa che per giorni, o forse settimane, una tristezza lacerante l’avesse tormentata.

Si passa un fazzoletto sugli occhi. La vista le si schiarisce per qualche secondo, e intorno a sé non vede che desolazione. I suoi seduti sul divano. La madre con il volto affondato nei palmi delle mani, che supplica di perdonarli. La scena che offre suo padre non è più confortante. È la prima volta che lo vede piangere. Nemmeno quando è morto suo fratello, il compianto zio Mateo, l’ha visto versare una lacrima. Sicuramente l’ha fatto di nascosto, nella solitudine della montagna che tanto ama, ma non davanti agli altri. Eppure oggi sta piangendo, e la smorfia delle sue labbra le ricorda quella di un bebè. Non capita tutti i giorni che ti sottraggano così una figlia.

Il pianto di Julia si fa più intenso. È a pezzi, si sente sola, si sente tradita. Il mondo che ha conosciuto per tutta la vita le sta crollando addosso.

«Non potevamo avere figli.» Suo padre, che si è di nuovo alzato e avvolge Julia in un abbraccio, parla con difficoltà. «I medici non potevano fare più nulla per noi. Sai che cosa significa una cosa del genere per una coppia che si ama e il cui più grande desiderio è mettere al mondo dei figli? Eravamo disperati, e a un certo punto qualcuno ci ha parlato delle suore. C’erano madri che non potevano occuparsi dei loro piccoli, donne per le quali la gravidanza non era che un castigo. Il monastero è diventato una benedizione per tutti... Perdonaci, figlia mia. Abbiamo solo fatto quello che credevamo fosse la cosa migliore per te.»

Julia stringe i denti. Il suo sguardo è fisso sulla gondola blu che lei stessa ha portato alla madre da Venezia tanti anni prima. Ricorda ancora il sorriso orgoglioso dei suoi genitori quando le avevano regalato quel viaggio per festeggiare la fine della scuola.

Le monache... Non sa se vuole sentire altro, non sa se è pronta per sapere tutta la verità.

«Ti ho sempre amata con tutto il cuore», mormora sua madre tra i singhiozzi. «Julia, per favore... Non avevamo altra scelta.»

«Chi sono i miei genitori?» È sorpresa dal tono distaccato della sua stessa voce. E anche dalla rabbia con cui si sottrae all’abbraccio dei genitori.

Loro si scambiano un’occhiata e negano con un cenno della testa.

«Non l’abbiamo mai saputo. Questo era il patto.»

«Questo e i soldi», puntualizza Julia.

«I soldi erano solo un aiuto per il monastero. Non capisci quanto eravamo grati a quelle sante donne per averci regalato la felicità?»

Julia ricorda la calligrafia di suo padre nella lettera che le ha rivelato tutto. Grazie per aver portato la felicità nella nostra casa... Sente che la rabbia le sale come bile fino in gola.

«Quelle sante donne di cui parlate sono responsabili per la morte di quattro persone.»

Sa che non è esattamente così, ma è quello che prova. Odia suor Teresa, la madre superiora e tutte le religiose di quel maledetto monastero. Spera che Cestero abbia ottenuto il mandato di arresto e che ora siano già tutte al fresco.

I bambini... I bambini...

Ora capisce ogni cosa. Quell’anziana prostrata a letto non stava delirando, semplicemente ricordava quello che senz’altro era l’episodio più trascendentale della sua vita dopo essersi fatta suora. Come si sentirà, come si sentiranno le altre monache, per aver cambiato la vita di tanti bambini e bambine? Sicuramente non hanno alcun senso di colpa. No, certo che no. Saranno orgogliose di quello che hanno fatto.

Le squilla il telefono. Ha una suoneria allegra, che trilla opponendosi al silenzio di quella stanza in cui regna il pianto.

È Ane Cestero.

Julia si schiarisce la voce prima di rispondere.

«Ciao.»

«Stai bene? Ci hai fatto preoccupare. Sei andata via così in fretta...»

«Sto bene», mente l’agente.

«Be’, sbrigati. Ti aspetto al monastero.»

«Hai avuto il mandato?»

«Non ne avremo bisogno.»

«Com’è possibile?»

Cestero non vuole entrare nei dettagli. Si lascia scappare solo un paio di frasi prima di riattaccare: «Molla tutto e vieni di corsa. Credo ci sia stato un altro omicidio».

La danza dei tulipani
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