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30 ottobre 2018, martedì

Il selciato dell’unica strada di Pasai San Juan è bagnato. La pioggia, che cade svogliata ma senza tregua, gli conferisce una malinconica patina che riflette la luce dei lampioni. Per strada non c’è un’anima, solo alcuni vicini che portano giù la spazzatura o si ritirano dopo aver concluso la giornata. Il tipico scenario di un’umida notte d’autunno.

Cestero cammina in silenzio, senza fretta. Lo fa in modo incosciente, come se volesse rimandare il più possibile l’incontro con una realtà che ha detestato da quando ne ha memoria.

Suo padre, Mariano, non è un uomo violento. No, lui è in grado di maltrattare in modo più sottile, ma non per questo meno doloroso. Si basa tutto sulle parole, e non solo quelle che sgorgano dalle sue labbra, che spesso sembrano venire dal diavolo in persona, ma anche quelle che sceglie di non dire. I suoi silenzi fanno male quanto i colpi più brutali, soprattutto quando arrivano dopo una sequela di minacce, ricatti e commenti sprezzanti.

Cestero non lo sopporta. Quante volte, da bambina, ha desiderato che morisse, che un giorno se ne andasse e tornasse solo sotto forma di una fredda chiamata che annunciava un incidente che gli aveva tolto la vita? Quante volte ha insistito con sua madre perché lo denunciasse o, almeno, divorziasse da quel mostro che la stava seppellendo viva?

E ora, d’improvviso, è successo. Mari Feli, sua madre, ha fatto il passo di divorziare. Quale sarà stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? Ha poca importanza, se è servita a chiudere per sempre una relazione distruttiva, basata su ruoli malati, ereditati dalla società nella notte dei tempi.

«A più tardi, Ane.» È un vicino che esce dal portone con la sua canna da pesca, uno dei tanti arrantzales1 che gettano l’amo dal sentiero di Puntas fino a notte fonda.

«Buona pesca, Inazio», gli augura lei. È una semplice cortesia. Sa che non gli importa affatto tornare a casa a mani vuote, l’importante, per lui e per tutti gli altri, è passare qualche ora da soli con un mare che adorano.

Al contrario di quel che Cestero ha immaginato per tutta la vita, mentre si avvia a incontrare sua madre non prova alcuna felicità per quella notizia. Ha passato così tanti anni in attesa di una cosa del genere che ora si sente persa. I ricordi dei litigi a casa le affollano crudelmente la memoria. Il dolore è riaffiorato negli ottanta chilometri scarsi che ha percorso in macchina da Gernika. E anche l’impotenza. Se n’è andata di casa a ventiquattro anni, stufa di difendere una madre colma d’umiliazione che però non voleva sentir parlare di denunciare i maltrattamenti subiti e, tantomeno, di separarsi da lui.

Mi ha promesso che non giocherà più. Tuo padre è un brav’uomo, è che a volte ha degli attacchi di collera...

Cestero era stanca di sentire sempre le stesse scuse ogni volta che Mariano buttava alle slot-machine i soldi con cui Mari Feli doveva pagare il cibo o la scuola dei suoi figli. E le regate, quelle maledette regate... Quanti soldi avrà buttato scommettendo sulla barca rosa, quella di San Juan?

E adesso, finalmente, è arrivato il momento tanto atteso. Questa volta sembra che la porta si sia chiusa una volta e per sempre, ma bisognerà comunque liberarsi di infiniti rimproveri, sensi di colpa e altri rifiuti dell’anima prima di poter scrivere la parola fine. Con le valigie di Mariano alla porta non è tutto concluso. Magari fosse così, ma non lo è; non lo è mai.

È arrivata a casa dei genitori. Suona il campanello. La porta si apre e il sorriso che appare oltre la soglia ci mette solo qualche secondo a dissiparsi.

«Figlia mia...», dice sua madre fondendosi in un abbraccio con lei. È una donna minuta, Cestero ha ereditato i suoi geni. Almeno per quanto riguarda l’altezza. «Ti voglio bene, tesoro.»

Cestero deglutisce. Non è a suo agio, e rendersene conto la mette ancor più in imbarazzo. Il fossato che le separa, che si è fatto più profondo quanto più la ertzaina ha insistito perché Mari Feli lasciasse il marito che la maltrattava, è troppo ampio. Hanno ancora un lungo lavoro da fare, un lavoro che forse non concluderanno mai. Gli effetti non spariscono per magia quando si elimina il problema, ma anzi perdurano, per moltissimo tempo, come il fetore della spazzatura quando il camion è già passato a raccoglierla. La sottufficiale lo sa. Lo vede troppo spesso sul lavoro ed è una cosa che le spezza il cuore.

«Anche io ti voglio bene, ama», ammette Cestero stringendo con forza sua madre. «Che cosa è successo? Ti ha picchiata?»

Mari Feli fa segno di no senza alzare gli occhi da terra. Il suo volto mostra una grande tristezza e un fondo di vergogna che irrita Cestero. È la stessa espressione che vede sempre negli occhi delle donne che subiscono maltrattamenti. La cosa peggiore di quegli uomini violenti è che riescono a far sentire le proprie vittime in colpa per quello che sta succedendo.

«Si è giocato tutto. Volevo andare a Siviglia per il ponte con qualche amica... Sono andata a prendere i risparmi che mi ha lasciato tuo nonno prima di morire e ho scoperto che il conto era in rosso.»

«Ma quei soldi erano solo a tuo nome, era un’eredità. Come ha fatto? Dovremmo denunciarlo.»

Sua madre sospira e alza gli occhi. Solo per un paio di timidi secondi, perché torna subito a fissarli a terra.

«Tu padre aveva la firma sul conto. L’ho autorizzato in caso un giorno mi succedesse qualcosa. Se muori per chi resta sono solo complicazioni, e io non volevo darvi problemi.»

Ora è Ane a sospirare, o meglio a sbuffare, furiosa.

«Be’, guarda un po’... Grande idea...»

Mari Feli si fa piccola piccola di fronte ai rimproveri della figlia. Cestero si rimangia tutto tra sé e sé. Non è il momento di sbatterle in faccia i suoi errori, ma piuttosto di rimboccarsi le maniche. Sua madre ha finalmente deciso di divorziare e ha bisogno del suo aiuto. E se è andata a Pasaia quella sera è proprio per darle una mano a fare i primi passi senza il marito.

«Non devi vergognarti, ama. Poteva capitare a tutti», si obbliga a dire. In realtà non lo pensa. Quante volte sua madre è caduta sugli stessi errori, quante volte il padre le ha rubato i soldi che lei guadagnava con il sudore della fronte, quante l’ha fatta sentire l’unica responsabile dopo aver trovato i conti o il portafoglio vuoti?

«Mi aveva promesso di smetterla con il gioco. Questa volta sembrava parlasse sul serio.»

Come hai potuto credergli? si domanda Cestero

Stavolta riesce però a trattenersi e a non esprimere i suoi pensieri ad alta voce. È l’ultima cosa che Mari Feli ha bisogno di sentire.

«Sei stata coraggiosa», si complimenta la ertzaina prendendo le mani della madre.

«Avrei dovuto farlo prima», si lamenta la donna.

«L’hai fatto quando sei stata pronta», assicura Cestero.

È davvero così? Mari Feli è pronta ad affrontare un divorzio? Ane non ne è proprio sicura, non può fare a meno di notare la sua espressione sconfitta. Avrà bisogno del supporto dei suoi figli. Anche di Andoni, che dovrebbe essere lì in quel momento, con lei e con la madre. Dovranno farsi una bella chiacchierata, loro due. Suo fratello non può permettersi di nascondere la testa sottoterra, come uno struzzo, non questa volta. Lei quando aveva la sua età affrontava già il padre ogni volta che esagerava. Non era affatto piacevole, ma qualcuno doveva pur farlo.

«Andoni dovrebbe essere qui. Dovrebbe stare con te, aiutarti.»

«Non prendertela con lui», lo scusa Mari Feli.

«Non serve che lo proteggi tanto, non è più un bambino», sbotta Cestero. Non riesce proprio a trattenersi.

Sua madre abbozza un sorriso di circostanza e annuisce lievemente. Ane sa che è solo una maschera. Andoni sarà per sempre il suo bambino. Su di lui ha concentrato tutte le sue attenzioni quando le umiliazioni hanno iniziato a diventare insopportabili. Certo, era poco più che un bebé e Mari Feli ha cercato tra le sue minuscole braccia il calore che il marito le negava. Forse per questo Ane è cresciuta troppo in fretta, una sorella maggiore che riempiva il vuoto lasciato da un padre più preoccupato dei suoi debiti di gioco che dei suoi figli.

«Mi dispiace così tanto di avervi deluso...», si scusa la madre. Il suo sguardo si allontana, pieno di vergogna, cadendo di nuovo sul pavimento.

Ane scuote la testa, con rabbia. Conosce troppo bene quella reazione. La vede ogni volta che una donna va in commissariato a denunciare un maltrattamento. È raro che le vittime si rivolgano alla Polizia la prima volta che il compagno manca loro di rispetto o alza le mani. E quando lo fanno solitamente è troppo tardi e la loro autostima ha subito ferite troppo profonde per essere cicatrizzate.

«Tu non hai deluso nessuno. Nessuno!», le dice abbracciandola con forza.

Sua madre si scosta subito.

«Che cosa ti preparo per cena? Vuoi una tortilla?», chiede con voce tremante.

«Niente. Non sono certo venuta per metterti al lavoro. Mi preparerò io qualcosa.»

«Sai che cosa dovresti fare? Uscire a fare un giro e a prendere qualche pintxos con le tue amiche. Così ti dimentichi un po’ di tutto quanto, che tra i miei problemi e la storia di Gernika sarai distrutta.»

«Ma va’», mente Cestero. «Io resto qui, con te.»

«Vai, sul serio. Io sto bene, sono stanca. Vado subito a letto. Che cosa fai qui da sola? Dai, fammi il favore di andare a prendere un po’ d’aria.»

Ane guarda l’orologio. Forse Mari Feli ha ragione.

«Sei sicura?»

«Certo, tesoro. Devi staccare un po’ anche tu, dai.»

Cestero le è grata. Le farà bene passare un po’ di tempo con le amiche.

«Però dormo con te, questo sì», annuncia prima di dirigersi alla porta.

«Non ce n’è bisogno. Sto bene. Puoi andare tranquilla a casa tua.»

Cestero non risponde. Dormirà a casa di sua madre, su questo non ha intenzione di discutere. E non lo farà perché vuole che Mari Feli si senta sicura; no, lo farà perché ha paura di suo padre. Teme che possa farsi vedere nel bel mezzo della notte per vendicarsi della moglie che lo ha cacciato di casa.

1. Pescatori.

La danza dei tulipani
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