16
24 ottobre 2018, mercoledì
Il mar Cantabrico non è particolarmente generoso quella mattina. Le onde che spinge contro la costa sono scarse per altezza e quantità. Julia lo sapeva prima di uscire, l’ha visto dalla finestra della camera, quando era ancora notte fonda. Eppure, eccola lì, ad aspettare con stoica pazienza che il mare le regali una serie di quelle buone. Non è l’unica. Sdraiati sulle loro tavole ci sono altri surfisti. Saranno sei o sette. Li conosce quasi tutti. Sono parecchi anni che si alzano all’alba ogni mattina per andare a cavalcare le onde prima di cominciare a lavorare. Salvo quel tizio con la muta verde e la tavola arancione, che sarà uno dei tanti americani arrivati per provare la famosa onda sinistra di Mundaka, saprebbe elencare a memoria i nomi di ognuno di loro.
Prima c’erano più ragazze la mattina presto. Estitxu, Lorea, Loli... Poi però hanno avuto dei bambini. Ora le si vede in giro per il paese con i passeggini, non più tra le onde. Pensando a loro Julia si porta istintivamente una mano al ventre e non riesce ad allontanare una fugace sensazione di vuoto.
Quando è stata l’ultima volta che qualcuno le ha chiesto se lei non aveva intenzione di avere un figlio? Non sarà passato molto tempo, è una costante degli ultimi anni. È stufa che la gente le ricordi sempre che le manca qualcosa. Stufa e demoralizzata.
Il peggio è quando le si avvicinano dando per scontato che essere madre sia il suo più grande desiderio e cercano di farle coraggio perché non ha ancora trovato un uomo con cui fare il grande passo.
E se non volesse avere un figlio?
È proprio questo il problema, non aver ancora trovato una risposta a una domanda che quattro anni prima non si sarebbe posta. No, allora aveva ben chiaro che avrebbe voluto avere un figlio e che sarebbe accaduto.
Mentre la sua mente si fustiga, alla deriva, il sole si prepara a nascere. Si intuisce tra le nubi che coronano Ogoño, in un cielo crepato che augura una giornata poco piovosa. A poco a poco i colori si impossessano di un mondo che fino a qualche minuto prima era un triste repertorio di ogni tonalità del grigio.
«Eccole che arrivano!», avvisa Iker, uno di quelli che non salta mai l’appuntamento quotidiano con il mar Cantabrico.
Il gruppo di habitué si guarda e decide che Julia avrà il privilegio di inaugurare le onde della giornata. Tra le molte regole non scritte che vigono nel surf, c’è quella della cortesia di cedere le onde migliori ai surfisti migliori.
Julia dirige lo sguardo verso l’isola di Izaro, un altipiano roccioso incagliato al largo in mezzo al mare. È vero. Sembra che le onde si infrangano ora con più forza sulla scogliera.
Guarda l’orologio. Le restano dieci minuti. Giusto il tempo di cavalcare una delle onde prima di andare al lavoro.
Ne ha bisogno. Perché Txema è dovuto tornare? Quante volte si è svegliata a notte fonda pensando a lui, immaginando conversazioni in cui gli sputava in faccia tutto il male che le aveva fatto? Non vuole sentirsi così. Darebbe qualsiasi cosa per vederlo sparire per sempre.
Sul serio?
Nemmeno lei è sicura che sia proprio questo che desidera.
Ed è la cosa che le fa più male. Ha freddo. L’attesa inizia a farsi sentire. Nuota un po’ sulla tavola, cerca il punto migliore per salirci sopra senza dar fastidio agli altri. Non è difficile, non a novembre. D’estate, quando ci sono decine di surfisti a inondare la spiaggia, è complicato. Al punto che a volte Julia dimentica la propria passione e la sostituisce con la canoa. Anche remare la rilassa, ma non quanto il surf.
La serie di onde finalmente arriva. Sono tre, come sempre; tre onde separate tra loro da pochi secondi. Rema con le braccia verso la prima. È tardi. Si sta già infrangendo. Afferra la tavola con forza e si introduce sotto la spuma. L’adrenalina corre inquieta lungo le sue arterie. Dopo quasi venti minuti passati ad aspettarle non può permettersi di perderle.
Emerge un po’ più in là, giusto in tempo per dare qualche altra bracciata e affrontare la seconda onda. È più grande della prima, una delle migliori. E questa volta arriverà in tempo, ne è sicura.
«Dai, Julia!», si fa coraggio.
È un’onda sinistra, come tutte a Mundaka. Prima di accorgersene è già in piedi sulla tavola, sulla cresta dell’onda. Ha davanti a sé una discesa di vari metri. La tavola si lancia a tutta velocità, sempre verso sinistra, sempre in avanti. Il mar Cantabrico non tarda a formare un tunnel sopra di lei, è dentro il mare, nel cuore dell’onda. La velocità è vertiginosa, il mondo ruggisce intorno a lei, odora di mare e libertà. Per qualche secondo tutto si ferma, non c’è altra realtà che il tunnel d’acqua lungo il quale la tavola fila veloce. E poi tutto finisce, l’onda si infrange e si disfa in una spuma che tinge ogni cosa di bianco.
È felice. Sente di avere il controllo sul mare. L’ha domato, proprio come chi affronta un cavallo selvatico e lo rende suo.
L’orologio annuncia che il suo tempo è terminato. Succede troppo spesso, quando il Cantabrico inizia a mostrarsi generoso ecco che è già il momento di andare a lavorare.
Nuota verso la riva. La spiaggia è deserta, non sono ancora arrivati nemmeno i passanti più mattinieri. I primi sono sempre quelli che portano fuori il cane, poi è l’ora dei pensionati. Per il momento non c’è nessuno.
Cammina sulla sabbia umida, lasciandovi impresse le orme dei suoi piedi nudi.
«Julia!»
Si volta e nota alle sue spalle Aimar Berasarte, giornalista di Radio Gernika. Lo conosce da tempo, praticamente da tutta la vita, a dire il vero. Sono stati compagni di scuola, anche se non sono mai diventati grandi amici.
«Mi hanno detto che stai lavorando al caso dell’omicidio di Natalia» dice Aimar, avvicinandosi con la tavola sotto il braccio.
Lei e Julia non sono gli unici surfisti sulla quarantina. Negli ultimi anni molti altri, più uomini che donne, hanno scoperto la passione di cavalcare le onde.
«Ah sì?», dice la ertzaina.
«Ci sono novità?»
«Non molte.»
«Non me le racconti?»
«Non posso, lo sai.»
«La gente vuole sapere. Qui non era mai successa una cosa del genere prima d’ora. Non immagini quante chiamate riceviamo ogni giorno alla radio... Durante il mio programma le linee telefoniche sono sempre intasate.»
Julia non ha bisogno di sentirselo dire. Anche lei vive a Urdaibai, anche lei va tutti i giorni a fare la spesa e a prendere un caffè a metà mattina. La vita a Gernika, Busturia, Mundaka e tutte le altre cittadine della zona è scombussolata. Come potrebbe essere altrimenti in una valle in cui le notizie di solito si concentrano sul campionato per il miglior pomodoro o sulla crisi dei cantieri navali di Murueta? È inevitabile. Non si parla d’altro e quell’allarmismo è diventato insopportabile.
«Dovresti fare più attenzione a quello che pubblicate», spara Julia.
«Io non pubblico niente, semplicemente racconto.»
«È la stessa cosa. Vi state tutti approfittando di questa situazione di merda per attirare l’attenzione. Ed equivale a fare il gioco dell’assassino.»
«Io mi limito a diffondere le informazioni che mi arrivano. Dammi qualcosa di vero, qualcosa che possa calmare la gente, e ci guadagneremo tutti.»
Julia si ferma e posa la tavola sulla sabbia.
«La giudice ha dichiarato l’obbligo di riservatezza. Anche se volessi, non potrei raccontarti nulla.»
«Balle. Capita spesso che filtrino informazioni anche relative a indagini con obbligo di riservatezza.»
«Non tramite me», si difende Julia.
«Nessuno saprà che sei stata tu. E credimi, tu stessa ci guadagneresti. Gernika Hoy è il programma più ascoltato in assoluto. Sai che cosa potrebbe significare se io ti elogiassi davanti al microfono? La poliziotta più popolare della zona, la nostra salvatrice... A chi non piacerebbe fare carriera?»
L’agente arriccia le labbra in un’espressione disgustata. La cosa che più la irrita di personaggi come Aimar Berasarte è il bisogno di avere l’apprezzamento degli altri, spesso a costo della propria decenza. Era già così quando andavano a scuola insieme e apparentemente non è cambiato in nulla.
«A me importa solo di fare bene il mio lavoro», sentenzia Julia.
Aimar fa una smorfia ironica.
«Be’, ci sono già due vittime. Se il tuo lavoro è riempire Urdaibai di cadaveri ti stai proprio coprendo di gloria.»
Julia apre la bocca per rispondere ma non lo fa. Sa che non servirebbe a nulla.
«Fanculo», dice tra i denti rimettendosi la tavola da surf sotto il braccio.
Il giornalista la osserva senza nascondere un sorriso.
«Stai benissimo con quel costume», la saluta, alzando la voce. «Davvero benissimo.»