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30 ottobre 2018, martedì
Cestero è circondata da una marea di microfoni. Le tre unità mobili con tanto di paraboliche spiegate per la trasmissione in diretta sono solo la punta dell’iceberg. La nuova morte violenta ha riunito davanti al monastero una dozzina di giornalisti arrivati a Gernika negli ultimi giorni per coprire il caso dell’Assassino del Tulipano.
Sulla strada dal commissariato, Cestero non è riuscita a resistere alla tentazione e ha acceso l’autoradio. Salvo qualche canale musicale, non c’è una sola radio che non contribuisca ad aumentare l’allarmismo intorno ai fatti di Urdaibai. Il peggiore di tutti è ovviamente Aimar Berasarte da Radio Gernika. Un presunto crimine in piena clausura fa pensare alle ipotesi più assurde, come quelle che ora propongono alcuni reporter.
«È stato confermato che l’Assassino del Tulipano è una delle monache?»
«È vero che sono stati trovati resti umani dentro il convento?»
La sottufficiale si morde la punta della lingua per contenersi. È molto tentata di rispondere male, ma non se lo può permettere. In quel momento parla a nome di tutta la Ertzaintza, ne è consapevole e sente sulle spalle il carico di quella responsabilità. Avrebbe dovuto lasciare quel ruolo a Txema. Non voleva essere lui a dirigere l’unità?
Le domande dei giornalisti si accalcano nelle sue orecchie, e in testa sente risuonare l’avvertimento di Madrazo quando l’ha messa a capo dell’Unità Speciale Omicidi ad Alta Rilevanza. “Avrete la stampa alle calcagna. Cerca di essere diplomatica se vuoi evitare i problemi.”
È quello che fa, o almeno ci prova, anche se le sembra più complicato ogni momento che passa.
«Abbiamo l’obbligo di riservatezza sulle indagini», commenta, sollevando le mani per implorarli di fare silenzio. «Non posso fornirvi ulteriori informazioni.»
I giornalisti non si accontentano di quella risposta. Tornano alla carica con una nuova serie di domande. Cestero immagina un potente esercito di opinionisti disposti a dar battaglia. Appena lei rientrerà nel monastero, negli studi di televisioni e radio si metteranno a discutere sulle teorie più disparate, meglio quelle volte a fomentare ancor di più l’allarmismo tra la gente. Non può permettere che accada. Se è uscita a parlare con la stampa è proprio per tranquillizzare, nel limite del possibile, la popolazione.
«Vi prego di lasciarci lavorare. Abbiamo fatto notevoli progressi nelle indagini. Vi posso anticipare che la morte avvenuta nel monastero non porta la firma dell’Assassino del Tulipano.»
«Se non ha niente a che vedere con il caso perché è la sua Unità Speciale a occuparsi delle indagini?», chiede una reporter con occhiali tartarugati. Le avvicina così tanto il microfono giallo con il logo di un canale radio che Cestero scosta leggermente il viso per evitare il colpo.
«Stiamo cercando di scartare la possibilità che ci sia qualche connessione» spiega, facendo un passo indietro. «E ora, se non vi dispiace, devo tornare al lavoro.»
«Sottufficiale...», comincia a chiedere un giovanotto con la barba.
La tempestano di nuove domande. Adesso in modo ancor più precipitoso. Tutti vogliono che la ertzaina faccia altre dichiarazioni prima di andarsene.
Cestero non ce la fa più. Non si rendono conto che quanto più tempo le faranno perdere, più tempo ci metterà a trovare l’Assassino del Tulipano? Ovviamente a loro questo non interessa.
«Ora basta! Rispetto per il lavoro della Polizia, per favore», implora, confusa. Poi si gira e torna dentro.
Vari agenti in uniforme impediscono ai reporter di seguirla. Il monastero è la scena di una morte apparentemente violenta e solo i poliziotti possono mettervi piede.
«Ci saranno altri crimini?»
La domanda, lanciata da una giornalista alla quale non riesce nemmeno a dare un volto, rimbomba nell’ingresso del monastero. Cestero sa che è un pessimo finale per il suo intervento. Il peggior finale possibile. È tentata di voltarsi per assicurare a tutti che no, non ci saranno altri crimini. Ma non lo fa. Non può promettere una cosa del genere. E detesta con tutte le sue forze l’istante in cui si rende conto che non ha effettivamente alcuna base per dirlo.
«Com’è andata?», chiede Aitor appena la vede apparire nella cella.
«Sono degli stronzi.»
Il suo collega si porta la mano alla fronte.
«Li hai già mandati a quel paese?»
Cestero fa segno di no.
«Sono stata incredibilmente diplomatica.»
Aitor non le crede. Glielo legge negli occhi. In ogni caso, non è quella la sua preoccupazione principale in quel momento.
«Txema è nella cella di fronte, sta interrogando la sospettata» indica l’agente, consegnandole un cuscino in una busta trasparente. «Qui c’è la presunta arma del delitto.»
Cestero annuisce e fa un passo verso il letto. La defunta giace con la bocca aperta come un pesce fuor d’acqua. Le labbra scure risaltano su un colorito pallido quanto gli occhi chiari che la morte ha reso di ghiaccio.
«Hai del balsamo?»
Aitor le porge un barattolino, che Cestero apre per applicarsi l’unguento sotto il naso. Non nasconde gli odori, però riesce a coprirli un po’ con le sue note speziate.
La madre superiora ha perso il controllo degli sfinteri. Non è un caso eccezionale, succede a tutti i morti per asfissia.
«Scusate... Dovevo chiarire alcune cose... Uff, che puzza.»
È Julia. È appena arrivata. Si avvicina alla madre superiora e la osserva in silenzio. Sul volto della poliziotta si disegna una smorfia di disappunto. I suoi colleghi restano in silenzio. Sanno che ne ha bisogno.
«È la prima volta che mi trovo di fronte a un cadavere e non provo alcun dispiacere», confessa. I suoi occhi sono ancora pieni di tristezza, come quando è uscita dal commissariato dove aver letto il nome dei suoi genitori sul mittente di quella busta, o forse anche di più. «Mi fa solo rabbia. Avevo così tante domande da farle...»
Cestero le posa una mano sulla spalla.
«Tutto torna. Guardala. Chi avrebbe mai detto che sarebbe morta soffocata da una delle sorelle che aveva guidato per tanti anni...»
«Si meritava anche di peggio», ribatte Julia, che sembra subito pentirsi di averlo detto.
Cestero non dà importanza alle sue parole.
«Non preoccuparti. È normale. Non so io come avrei reagito al tuo posto.» Esita, pensierosa. Si rimprovera per non averle concesso più tempo. Non avrebbe dovuto chiederle di correre al monastero. «Senti, preferisci prenderti la giornata libera? Con i rinforzi che sono arrivati, qui noi ce la caviamo.»
«No, no. Sto bene.»
Cestero sa che Julia le sta mentendo, ma lei non farebbe forse lo stesso?
«Non prenderla come una cosa personale. È lavoro e devi cercare di mantenere un po’ di distanza», le ricorda la sottufficiale. Sa che la cosa giusta sarebbe chiedere ai suoi superiori di sollevare l’agente dal caso, ma non vuole perdere uno dei punti fermi della sua squadra.
«Chi è stato?», chiede Julia, riguardando il cadavere.
«Suor Teresa. O almeno così dice la monaca giovane che ci ha accolta il primo giorno: suor Carmen. È stata lei a dare l’allarme.»
Aitor è uscito dalla cella. Si è allontanato solo da un paio di minuti quando torna a bussare sulla porta aperta. Si girano entrambe verso di lui.
«Txema dice che la sospettata non ammette il crimine. Al contrario, sta accusando suor Carmen di aver messo in piedi la faccenda per prendere il controllo del monastero, e dice anche che la madre superiora l’abbiamo uccisa noi.»
«Noi?», si scandalizza Cestero.
«Sostiene che era molto debole quando l’abbiamo importunata con le nostre domande e che la sua salute non ha retto.»
Cestero sbuffa. Le manca solo di doversi prendere la responsabilità anche della morte della badessa.
«Volete sapere com’è andata?» Non aspetta che i suoi colleghi rispondano per cominciare a elaborare a voce alta un’ipotesi che ha iniziato a prendere forma nella sua testa quando ha messo piede nel monastero. «Qualcuno dal tribunale ha informato il vescovo degli interrogatori e degli arresti che stavamo per fare al monastero. Disgraziatamente, la buona novella è giunta qui prima che il mandato fosse emesso. Suor Teresa è andata nel panico all’idea che la madre superiora raccontasse più del dovuto e l’ha fatta fuori per evitare che la interrogassimo.»
«E ha avuto la sfortuna che suor Carmen l’abbia scoperta. Altrimenti, sarebbe passata come una morte naturale», conclude Aitor.
Julia annuisce. Non trova niente da obiettare alla teoria dei suoi colleghi.
«Portate qui suor Carmen. È chiusa in biblioteca. Vediamo che cosa ci racconta», commenta Cestero.
«Davvero la vuoi interrogare qui dentro?» Aitor sposta lo sguardo da Ane al cadavere della badessa.
«Ti viene in mente un posto migliore per ricostruire quello che è successo?»
Il suo collega si stringe nelle spalle. Un minuto dopo torna, accompagnato da suor Carmen.
La giovane monaca è livida. I suoi tratti, armoniosi e morbidi, sono sconvolti da una tristezza che non sembra fasulla.
«Condoglianze», si affretta a dire Julia.
Cestero annuisce con espressione afflitta. Non dice nulla. Si limita a osservare la religiosa. Vuole vedere come reagisce davanti al cadavere della superiora. E ciò che vede non corrisponde affatto a quel che si aspettava.
«Ho provato a fermarla... È stato impossibile. Aveva il demonio dentro, suor Teresa non può essere così forte», assicura suor Carmen avvicinandosi al letto. In lei non c’è traccia di disagio per il fetore che aleggia nella stanza. Osserva con compassione la defunta. «Poveretta... Stava migliorando. Ieri ci ha chiamate per nome.»
La sua mano si tende verso il cadavere. Prima che possa toccarlo, Julia le afferra l’avanbraccio.
«Volevo solo chiuderle gli occhi», si scusa la suora. «Poveretta.»
«Ci racconti tutto quello che ricorda. Perché è entrata nella cella della badessa? Ha sentito qualche rumore sospetto?»
Suor Carmen scuote la testa.
«Venivo per farle compagnia. Da quando si è ammalata per quel dispiacere del furto vengo ogni volta che posso a leggerle la Bibbia e i Vangeli. La badessa adora leggere...» Si porta una mano al volto, terrorizzata. «Adorava, scusate... È tutto così difficile...»
Il suo pianto, quasi infantile, riempie ogni angolo della stanza.
«Dove si trovava suor Teresa quando lei ha aperto la porta?», chiede Julia mentre Cestero silenzia il cellulare, che suona con insistenza. È sua madre. Di solito non chiama mai in orario di lavoro, è strano.
La monaca si soffia il naso con un fazzoletto di carta.
«Qui», dice mettendosi vicino alla testiera del letto. «La prima cosa che ho visto sono state le gambe della madre superiora che si agitavano sotto le lenzuola. Poi ho notato suor Teresa. Mi dava le spalle e la stava soffocando con un cuscino, proprio come nei film.»
«E lei ha cercato di allontanarla dalla superiora», commenta Cestero.
«L’ho tirata, spinta, l’ho presa a pugni... Ho fatto tutto quello che potevo.» Le sue labbra si piegano in una smorfia di dolore e scoppia di nuovo a piangere. «Se avessi chiesto aiuto alle altre sorelle sarebbe ancora viva... Non sono stata capace di salvarla.»
Julia le mette una mano sulla spalla e le offre un altro fazzoletto.
«Tranquilla. Ha fatto tutto quello che poteva. La badessa era molto debole, era un obiettivo troppo facile.»
Aitor, che è rimasto in silenzio fino a quel momento, si porta accanto a Julia.
«Come spiega il fatto che una suora giovane come lei non sia riuscita a fermare un’anziana non più nel pieno delle forze?»
Cestero annuisce dalla parete in fondo. Anche lei avrebbe fatto quella domanda. È l’unico dettaglio che non funziona in tutta quella storia.
«Il demonio... Non era suor Teresa ad agire in quel modo.»
Aitor scambia uno sguardo complice con la sottufficiale. È difficile ribattere a una cosa del genere.
Bisogna cambiare registro. L’ertzaina attacca con tutta l’artiglieria: «Sa che in questo monastero venivano venduti bambini appena nati?».
La giovane la osserva in preda all’orrore. O è una grande attrice o non sapeva nulla. Cestero punta sulla seconda opzione, la religiosa non sembra in condizione di recitare.
«La tua cara badessa, suor Teresa e qualche altra sorella allontanavano i neonati dalle madri per venderli alle famiglie con problemi ad avere figli», aggiunge Julia.
Suor Carmen si porta la mano alla fronte. I suoi occhi, grandi quanto disorientati, si voltano verso Cestero. Cercano la conferma di un’accusa così grave. La sottufficiale annuisce, seria.
«Non è vero. Non può essere. Sono buone, fanno solo del bene», balbetta la monaca. Lo dice senza convinzione. Vuole credere alle sue stesse parole, ma la sua fede è appena andata in frantumi.
Cestero alza la mano per interrompere l’interrogatorio.
«Basta così, per adesso. Aitor, riaccompagnala in biblioteca. Se ricorda qualcosa che può esserci utile, ci avvisi, sorella.»
«Solo un’altra domanda», commenta Aitor. «Abbiamo le prove che lei sia uscita dal monastero piuttosto spesso nelle ultime settimane. Può dirci perché?»
Suor Carmen si guarda le mani, apre e chiude le dita e abbozza una smorfia di dolore.
«Analisi. Ho male alle articolazioni. Reumatismi, artrosi... Non sanno darmi una spiegazione, ma qualcosa ho. Non c’è bisogno di un medico per capirlo.»
Cestero incrocia lo sguardo del collega, che prende la religiosa per il braccio e la accompagna in biblioteca.
Ora è suor Teresa a entrare nella stanza della vittima. Ha le mani dietro la schiena, in manette, le guance luccicano per le lacrime che versa senza sosta. Txema la sta interrogando, ma per ora ha ottenuto ben poco.
«Vi state sbagliando sul mio conto. Io amavo la nostra badessa. Sono il suo braccio destro da quasi quarant’anni, siamo molto unite. La adoravo.»
«Nessuno lo ha messo in dubbio» commenta Cestero, un po’ in disparte.
La monaca aggrotta la fronte, confusa.
«Quell’imbrogliona di suor Carmen... Ci fidavamo di lei, l’unica giovane vocazione in un paese in cui le ragazze sono più preoccupate di ubriacarsi che di amare il prossimo.»
«Continua a ripetere la stessa cosa», si lamenta Txema voltandosi verso i colleghi. Si schiarisce la voce prima di rivolgersi di nuovo alla religiosa: «Guardi, inizio a essere stanco di questa messinscena. Sa che cosa troveremo qui?», chiede mostrandole il cuscino imbustato. «Resti biologici che la tradiranno. Non ha scampo. I nostri colleghi della Scientifica sono bravissimi, non immagina quanto. Troveranno tracce della sua epidermide. Sa che cos’è un’analisi genetica? La faremo, e lei finirà per passare in cella i giorni che le restano da vivere.»
La suora guarda il crocifisso appeso sopra la testiera del letto. Le tremano le labbra, sta pregando in silenzio. La vibrazione del cellulare di Cestero irrompe sulla scena.
«Una confessione potrebbe contribuire ad alleggerire la pena», suggerisce la sottuficiale.
Nessuna risposta, solo una litania quasi inudibile.
«Quanti neonati avete venduto?», interviene Julia. La tensione delle sue parole si potrebbe tagliare con un coltello.
«Nessuno!», esclama suor Teresa dimenticando immediatamente le sue preghiere.
«Abbiamo le prove. Per anni avete...»
La religiosa non le permette di finire la frase.
«Non avete nulla! Nulla! Solo qualche lettera con delle donazioni... Che prova sarebbe?»
«Per questo l’ha uccisa, vero?», interviene Cestero, di nuovo alla guida del gruppo. «Aveva paura che le scappasse qualche parola di troppo. In condizioni normali non avrebbe detto niente, ma la badessa non era più la stessa.»
Suor Teresa ci mette qualche istante a reagire.
«Sciocchezze! L’avete uccisa voi. La sua salute già debole non ha retto alla pressione a cui l’avete sottoposta ieri.»
In realtà non ha alcuna importanza quello che dice. Cestero ha già tutti gli indizi di cui ha bisogno. Sa che l’anziana è responsabile dell’omicidio. A parole può dire quello che vuole, ma sono i gesti a tradirla. L’espressione di disgusto che si è dipinta sul suo volto appena è stata colpita dal fetore della cella è stata solo l’inizio, non è ancora riuscita a rivolgere una sola occhiata alla defunta. Teme di incrociare gli occhi stanchi che lei stessa ha privato di vita.
«Txema», chiama qualcuno dalla porta. È un agente dei rinforzi arrivati dal commissariato di Erandio. Lui e i suoi colleghi stanno perlustrando il monastero in cerca di possibili prove. «Credo ci sia qualcosa che dovete vedere immediatamente.»