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26 ottobre 2018, venerdì
I cubetti di ghiaccio tintinnano nel vaso e fanno da contrappunto al rumore delle onde che si infrangono in lontananza, oltre gli argini del porto. Ogni tanto uno dei gabbiani che dormono sui cornicioni degli edifici più vicini ai moli scoppiano in un gracchiare irritato che viene ben presto imitato da tutti gli altri. Non c’è molto altro quella sera a Mundaka, solo la quiete tipica di un giorno di ottobre che si spegne.
Julia osserva Aitor, che si allontana con il cellulare all’orecchio in cerca di intimità. Il sorriso un po’ inebetito e innamorato che il suo collega mostra mentre parla con la figlia, o figliastra, la fa riflettere. Davvero ha intenzione di rinunciare a provare una cosa del genere, una volta nella vita? Maledice tra sé e sé la spada di Damocle dell’orologio biologico. Sa che il suo tempo si sta esaurendo, che domani forse sarà troppo tardi, e teme di pentirsene quando ormai non ci sarà più nulla da fare. La paura, tuttavia, la irrigidisce. Non vuole soffrire di nuovo, non sopporterebbe di attraversare ancora un momento così spaventoso.
«Io non riesco a berlo quest’affare. È troppo piccante», protesta Txema. «Vado a farmene fare un altro. Assaggia il tuo, così vediamo.»
Julia prende un sorso di succo di pomodoro. Il cameriere ci ha messo troppa salsa piccante e la sente bruciare sulle labbra.
«È fortissimo, ma ce la posso fare.»
Txema si perde dentro il bar, dal quale emerge una musica che ricorda a Julia le feste della sua adolescenza.
«Incredibili gli uomini di questo gruppo. Ci hanno lasciate sole. E io che volevo brindare», ride Cestero staccando l’etichetta alla sua bottiglietta di birra.
È stata lei che ha proposto alla squadra di bere qualcosa a Mundaka dopo il lavoro. Devono festeggiare l’arresto della banda di narcotrafficanti.
«Finalmente un giorno senza pioggia. E hanno detto che sarà così per tutto il fine settimana. Non so se crederci», commenta Silvia alzando la birra verso il cielo.
Sono sedute sul gradino superiore delle scale che scendono fino alle barche e ai gozzi che riposano in rada.
Julia alza lo sguardo. Il vento dal sud, poco più di una brezza, regala alla notte una piacevole temperatura e un cielo sgombro di nuvole.
«Era ora. È pesante quando piove sempre», ammette.
«Pesante?», esclama la psicologa. «È insopportabile. Da quando sono qui mi si stanno arrugginendo le ossa. Non so a che tribù preistorica è venuto in mente di popolare questa zona, ma non avevano idea di che cos’è la qualità della vita.»
Ane e Julia scoppiano a ridere. Silvia è così esagerata che potrebbe vincere una gara di spropositi.
«Non ridete, no. A voi sembra normale perché siete nate qui, ma non può far bene alla salute una cosa del genere.»
«Quanti anni sono che vivi qui?», chiede Julia.
«Tre, e sembra che saranno molti di più», ammette Silvia.
Cestero prende un sorso dalla sua birra e scuote la testa.
«Io non mi trasferirei mai in un’altra città per un uomo, fossi matta», commenta con lo sguardo perso tra le barche ormeggiate.
Silvia le mette una mano sulla spalla.
«Non dirlo troppo a voce alta. Io la pensavo come te, e guarda che fine ho fatto. E aggiungerò che ne è valsa la pena.»
La sottufficiale protesta, lei non ci cadrà. Julia non sa cosa dire. Non vuole nemmeno pensarci visto che i suoi sentimenti sono in piena mareggiata.
«Senti, Julia, posso farti una domanda personale?», chiede Cestero.
«Spara.»
«Che succede tra te e Txema? Fate scintille ogni volta che vi rivolgete la parola.»
Julia fa un respiro profondo, sapeva che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi.
«Siamo stati insieme. Stavamo bene o almeno così pensavo io. Poi un giorno è cambiato tutto. Gli hanno offerto il lavoro all’Interpol e lui non ha capito più niente. La sua carriera di qua, la sua carriera di là... Mi ha lasciata per andare a Bruxelles e non ho mai più avuto sue notizie. Ci sono stata piuttosto male.»
«Non ti ha più dato segnali di vita?», interviene Silvia con espressione sorpresa.
«Nessuno. Finché di colpo prendono e lo assegnano alla mia stessa unità.»
Cestero la guarda, sconvolta. «Che storia, mi dispiace.»
«Dispiace di più a me se i nostri bisticci possono aver influito sull’armonia del gruppo.»
«Ma va. E poi, sono contenta che qualcuno ogni tanto lo rimetta al suo posto», commenta Cestero.
Julia si mette a ridere. Un gabbiano si è lanciato in planata dal cornicione. Ha intravisto un pesce che galleggia a pancia in su tra due gozzi. Gli altri non perdono tempo. Gli vanno dietro strepitando e d’un tratto la rada è uno schiamazzare di uccelli che svolazzano in perfetto disordine.
«Quanto tempo è passato?», chiede Silvia.
«Quattro anni.»
«E ora cosa provi per lui?», continua la psicologa.
Non avrebbe potuto farle una domanda più difficile. Che cosa prova per Txema? Apre la bocca per dire che non prova nulla, che ha dimenticato tutto. Forse era così fino a una settimana fa, prima che il lavoro li unisse di nuovo, ma ormai non lo è più. Il suo ritorno ha riaperto la ferita più profonda della sua vita.
«È complicato» riassume, preferendo non entrare nei dettagli.
«Complicato?», si irrita Cestero. «Mandalo a quel paese, amica! Io se fossi in te non ci penserei due volte.»
«Tu non hai un compagno, vero?» chiede Silvia, ridacchiando.
La sottufficiale nega con convinzione.
«No. Amici, sì; compagno, no. Sesso e divertimento, ma senza impegni.» Poi prende un sorso di birra mentre con un cenno della testa indica il bar che hanno alle loro spalle. Txema sta tornando con il suo succo di pomodoro. La conversazione dovrà continuare in un altro momento.
«Sicuro che non vuoi che cambi anche il tuo?», chiede a Julia. «Non so come fai a berlo. Mi bruciava la bocca.»
«A me piace forte.»
«E Aitor? È ancora al telefono con la sua scrittrice?» Txema cerca il collega con lo sguardo.
Cestero indica una figura all’estremità più lontana del molo. La luce dello schermo del cellulare rivela che è in piena videochiamata.
«Starà parlando con Sara. La videochiama ogni giorno prima che Leire la metta a letto.»
«Quanti anni ha la piccola?»
«Due anni e mezzo», commenta la sottufficiale dopo essersi fermata per qualche istante a fare il calcolo.
«Sapete che ho letto alcuni dei suoi libri?», interviene Silvia.
«Leire Altuna? È conosciuta, no? Di che parlano?»
«Romanzi polizieschi. È brava. Prima credo che scrivesse storie d’amore.»
«Be’, un cambiamento mica da poco», spara Txema scuotendo la mano. «Guardate, ha finito.»
Aitor arriva con un’espressione rilassata, rivolge a tutti il sorriso di chi si sente osservato e si china a prendere la sua birra.
«Finalmente ci siamo tutti?», comincia Cestero. «Volevo dirvi che sono molto orgogliosa del gruppo che mi è toccato dirigere. Siete i migliori. Omicidi, narcotraffico. Vi rendete conto di tutto quello che abbiamo affrontato negli ultimi giorni?» Alza la bottiglia a mo’ di brindisi. «A noi! All’Unità Speciale Omicidi ad Alta Rilevanza!»
Il suono di bicchieri e bottiglie che tintinnano si unisce al gracchiare dei gabbiani, che continuano a far chiasso in rada. La sottufficiale festeggia tra sé e sé anche il fatto che il vedovo di Araceli Arrieta, l’uomo che la maltrattava, passerà un bel periodo dietro le sbarre. È stato arrestato anche lui durante l’operazione contro i narcos, beccato con un pacco pieno di droga, e questa volta la pagherà cara alla giustizia. Le sarebbe piaciuto di più se fosse stato accusato di violenza sulle donne, ma almeno non resterà impunito.
«A te, Cestero. Senza di te non avremmo mai preso i Meirás» aggiunge Julia, brindando con il suo succo di pomodoro condito.
L’espressione contrariata di Txema rivela che è risentito per le sue parole.
«Non dovremmo farle i complimenti per aver corso un rischio non necessario addentrandosi da sola nella tana del lupo. Siamo una squadra, quello che ha fatto Cestero non va bene», commenta.
«Ecco il nostro perfettino», esclama Julia. «L’importante è che li abbiamo presi, no? Dai, non continuare a rimuginarci e goditi il successo.»
Un silenzio teso continua a fluttuare sul gruppo. Per fortuna Silvia interviene salvando l’atmosfera della serata.
«Che cosa fate nel fine settimana? Tornate a casa?», chiede la psicologa rivolgendosi ad Aitor e a Cestero.
«Io resto. Domani vado al monastero e vedo se riesco a scoprire per quale ragione Isabel Otero ha deciso di mollare tutto per andare a Lourdes. Aitor va a Pasaia. Se non sbaglio domenica ha un concorso di bellezza...», commenta Cestero facendo l’occhiolino all’amico.
«Un concorso di cosa?», Julia osserva il collega a bocca aperta.
«Era un segreto!», protesta Aitor dando uno spintone alla sua capa.
«Sei un modello?», chiede Txema, che sembra davvero sorpreso.
«Più o meno», confessa Cestero tra le risate.
«Ane, ma cosa dici...» La smorfia divertita di Aitor non concorda con le sue parole. «Ma come faccio a essere un modello? È Antonius, il mio labrador. A volte lo porto a fare dei concorsi di bellezza.»
Julia non riesce a trattenere le risate. Non è l’unica. Aitor non si offende, si limita a fare spallucce. Capita spesso che quella sua passione generi reazioni simili, ci è abituato.
«A volte, dice... La verità è che non se ne perde uno. E guarda che perfino Leire gliel’ha proibito...», aggiunge Cestero prendendolo in giro.
«Non farmi parlare, Ane.» Aitor fa l’offeso. «E tu invece hai raccontato a tutti che provi a destreggiarti con la batteria?»
«Siete pieni di sorprese!», esclama Silvia.
«Ho un gruppo rock al femminile, con le mie amiche Nagore e Olaia. Ci chiamiamo The Lamiak.»
«E sarebbero? Streghe?», chiede Silvia.
«Le lamias...?» Cestero fatica a credere che una persona che vive da anni nei Paesi Baschi non ne abbia mai sentito parlare. «Sono come sirene ma vivono nell’entroterra. Hanno corpo di donna e zampe di animale, di capra o anatra in genere, e sono molto attraenti.»
«Ma sono buone o cattive?», chiede la psicologa.
Cestero ci pensa per qualche istante. Che cosa può rispondere?
«Sono molto particolari. Se vengono disturbate possono essere vendicative, ma possono anche offrirsi di aiutare in caso di bisogno. Si dice che assistano le donne che devono partorire nelle zone rurali... In ogni caso, la gente le rispetta, e a volte le teme. Quindi, insomma, meglio fare attenzione con noi.»
Le risate dei poliziotti spezzano il silenzio notturno del molo. I gabbiani si alzano in volo protestando e si dirigono verso l’argine, non vogliono saperne nulla di quel baccano.
«Vado a chiedere un altro giro?», propone Cestero.
Julia annuisce. È a suo agio. La capa ha avuto una grande idea a invitarli a bere qualcosa dopo il lavoro. Perfino Txema sembra rilassato; è il Txema di cui si è innamorata anni fa, capace di non prendersi troppo sul serio, non l’uomo intrappolato in un nodo alla cravatta troppo stretto.
«È un po’ tardi, meglio se continuiamo un’altra volta.»
È Txema, ovviamente. È stato solo un miraggio.
«Sei mai stata a San Juan de Gaztelugatxe?», chiede Julia a Cestero. «Se vuoi, domani ti ci accompagno dopo il monastero. È bellissimo. E quel drago che hai sul collo sarà felicissimo di visitare la Roccia del Drago del Trono di Spade.»
La sottofficiale si porta una mano al tatuaggio e sbuffa ridendo.
«Che palle, tutti a dire che è un drago. Non sapete proprio niente di mitologia basca... Però sì, volentieri. Per un giorno che non danno pioggia e siamo libere, bisognerà approfittarne.»
«Di sabato? Siete pazze?», interviene Silvia. «Andate un altro giorno. Da quando è uscita la serie, nel fine settimana è una processione di turisti.»
Julia fa una smorfia.
«Hai ragione. Ci andremo la settimana prossima. Così può venire anche Aitor.»
L’interpellato alza la mano a mo’ di avvertimento.
«Ehi, non pensate che passeremo qui troppo tempo... Appena riusciremo a provare che dietro quei crimini ci sono i narcos, io e Ane ce ne andiamo di corsa.»