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25 ottobre 2018, giovedì

I cardini emettono un profondo lamento quando Cestero spinge il cancello di ferro. Forse è solo la sua immaginazione, ma non può fare a meno di notare una certa somiglianza tra quel pianto metallico e l’accento galiziano.

«È lì, dritto davanti a noi», indica il tenente, consultando la mappa che il vigilante del camposanto ha fotocopiato per loro.

La ertzaina avanza tra le sepolture, un mare di marmo che parla di sentimenti lacerati. Decine di croci, in pietra liscia come seta, si stagliano da entrambi i lati, un malinconico esercito deciso a ricordare ai visitatori la futilità dell’esistenza.

Tra le lapidi fluttuano le rovine della chiesa di Santa Mariña, inquietante scheletro nudo che mette angoscia. I suoi archi gotici, spogli di ogni copertura, cercano di sostenere la bruma a cui la pioggia ha passato il testimone. Alcuni stralci di foschia osano perfino abbracciare con sfacciataggine le arcate centenarie.

«Di qua?», chiede Cestero.

Pombo si ferma, traccia con il dito un percorso sulla carta e annuisce.

«Sempre dritto. Fino alle rovine. Su che ipotesi state lavorando?»

Cestero esita. Ci sono troppe piste ancora aperte. Però lei si sta facendo un’idea su quella più probabile.

«La principale lega i delitti con il narcotraffico.»

Il tenente tarda a riaprire bocca e quando lo fa è per dissentire.

«Non c’è nessuna connessione tra la defunta o le sue più strette conoscenze e il traffico di stupefacenti.»

«Ti dice qualcosa il nome Meirás?»

«Non mi è nuovo», confessa Pombo senza smettere di seguirla.

La ertzaina sbuffa. Comincia a essere stanca del tenente con le sue risposte vaghe.

«L’abbiamo localizzato a Urdaibai. Abbiamo indizi che confermano una via di ingresso alternativa agli estuari galiziani.»

«Era questione di tempo prima che ci provasse. Qui l’abbiamo messo alle strette. Io non me ne occupo direttamente, ma i miei colleghi avevano preparato un’operazione per smantellare la sua rete ed è andato tutto a rotoli per una soffiata.»

«Una soffiata? Di chi?»

«Di qualcuno.»

Cestero si morde la lingua. Non può permettersi di perdere la pazienza. Ha bisogno di Pombo.

«Di qualcuno della squadra? Uno dei vostri?»

«Può essere. Quella gente ha troppo potere. I loro tentacoli arrivano dappertutto, a tutti i livelli. Il punto è che poi è scomparso.»

«E ora è a Gernika e potrebbe avere qualcosa a che fare con questi crimini.»

«Lui non si sporcherebbe mai le mani. Te lo dico io. Incaricherebbe uno dei suoi.»

La ertzaina se lo aspettava.

«La prima vittima era una giornalista molto attiva nella denuncia del narcotraffico.»

«E l’altra, quella che è morta cadendo nel vuoto?»

«Suo marito è un tossico e ci risulta che abbia fatto anche certi lavori per la rete di Meirás.»

«Lavori?»

«Ha aiutato a scaricare e nascondere i fagotti di roba.»

Un’anziana li saluta con un sorriso malinconico dalla tomba più vicina. È in ginocchio sulla lapide, la sta lucidando con una spazzola che di tanto in tanto immerge in un vecchio secchio rosso. Non è l’unica. Qua e là si vedono diverse persone che si prendono cura delle tombe. Manca poco al giorno dei morti e nessuno vuole che i propri cari sembrino abbandonati dalle loro famiglie.

«Isabel Otero e i suoi sono puliti», indica Pombo. «Non c’è alcuna relazione tra la sua famiglia e la gente di Antonio Meirás. Il vedovo è un pescatore in pensione che per arrotondare lavora su una draga da cozze. Niente lusso. Tutto molto normale.»

Cestero annota mentalmente l’informazione. Dovrà parlare con il pescatore.

«E non c’è la possibilità che Isabel abbia scoperto qualcosa sulla banda di Meirás e che l’abbiano ammazzata per non farla cantare?», chiede.

«Stiamo parlando di un’operaia all’impianto di depurazione molluschi di Beluso, non di un’intrepida reporter di guerra.»

«Be’... Nella vita a volte le cose capitano per caso. Magari si è imbattuta in qualcosa che non doveva vedere tornando a casa.»

Pombo arriccia le labbra.

«Stiamo entrando nell’ambito delle supposizioni senza alcun fondamento. L’indagine si è conclusa ipotizzando un sabotaggio della processione stessa. È molto probabile che chi abbia messo il veleno nel feretro non conoscesse nemmeno la vittima. Scommetto che Isabel Otero è una vittima collaterale di un attacco alle credenze religiose. Non credo ci sia una connessione con il vostro caso.»

«Ma la bara era riservata a lei da settimane, prima della processione.»

«Ciò non toglie che potrebbero averla scelta a caso», insiste il tenente.

La ertzaina non è d’accordo. Ci sono elementi che non combaciano con un attacco come quello ipotizzato dal tenente.

«Se così fosse, l’attentato sarebbe stato rivendicato. Se un gruppo anticlericale avesse voluto trasmettere un messaggio a qualcuno si sarebbe assicurato poi di farsi pubblicità», dissente lei.

«A meno che dopo l’accaduto non si siano spaventati per le ripercussioni tirandosi indietro.»

Cestero decide di tornare alle sue ipotesi.

«Quando è fuggito Meirás? Quest’anno?»

Pombo socchiude gli occhi, riflettendo.

«Verso la fine dell’anno scorso. Dovrei chiedere la conferma ai colleghi ma ne sono quasi sicuro. Era appena iniziato il periodo di divieto di pesca al granchio ed era coinciso con una retata contro i pescatori di frodo. Sì, dev’esser stato a novembre.»

La ertzaina avrebbe preferito sentirsi dire che il narcotrafficante era fuggito la settimana successiva alla processione. Ma non tutto può quadrare alla prima.

«Mi piacerebbe interrogare il marito della vittima.»

Il volto del poliziotto si adombra.

«L’abbiamo già fatto. È tutto nel fascicolo. Quell’uomo ha già sofferto abbastanza, non mi sembra il caso di importunarlo di nuovo.»

«Ma ora ci sono delle novità. Tutto quello che è successo in Biscaglia... La foto che qualcuno ha mandato alla stampa ha stabilito un legame interessante tra il vostro caso e il nostro.»

«L’unica cosa che unisce il mio caso con il tuo è il tulipano. Potrebbe essere una semplice casualità.»

Cestero ammette che ha ragione. Se sono al cimitero è proprio per cercare di consolidare il nesso tra i crimini. Ha bisogno di verificare se qualcuno ha portato dei tulipani su quella tomba. Se li trova, il tenente dovrà scordarsi le proprie conclusioni e aprire di nuovo il ventaglio delle possibilità. E questo comprenderebbe, ovviamente, fare di nuovo delle domande ai parenti della vittima.

«È quella lì», indica Pombo. La lapide a cui si riferisce si trova sotto gli archi in rovina.

«Be’, qualcuno la sta sistemando», annuncia Cestero sentendo il retrogusto della delusione. Aveva davvero sperato di trovare un mazzo di tulipani sulla lapide. Capisce di essere forse stata ingenua; d’altra parte sono passati tre mesi dall’omicidio di Isabel Otero, anche se qualcuno avesse deposto dei tulipani sulla tomba, ormai sarebbero già stati buttati via.

«Buongiorno», saluta il tenente.

La signora si gira verso di loro. Avrà poco più di cinquant’anni, e la stanchezza si accalca sotto i suoi occhi formando delle generose borse. La sua espressione non cambia quando li vede, semplicemente accenna un vago sorriso di cortesia.

«Ah, tenente. Come sta? Ci sono novità?»

Pombo le porge la mano.

«Mi scusi, non l’avevo riconosciuta. Le presento Ane Cestero, della Polizia basca.»

«Basca?» Ora la perplessità aggrotta la fronte della donna.

«È la sorella della vittima», spiega il tenente rivolgendosi a Cestero. «Aurora Otero.»

«Pilar, Pilar Otero», lo corregge la donna.

Il tenente si affretta a scusarsi. Sono così tanti i nomi che nel loro lavoro sono costretti a imparare in così poco tempo... Ane non può fare a meno di comprenderlo. Lei si è trovata fin troppe volte nella stessa situazione.

«Sono venuta dai Paesi Baschi perché abbiamo trovato un possibile legame tra il delitto di sua sorella e un caso recente», puntualizza dopo aver stretto la mano della donna.

«Lo so. Vedo anch’io la tv», riconosce Pilar Otero. «Sono successe delle cose terribili. Ma no, la storia di mia sorella non c’entra nulla. Lei ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato nel momento meno opportuno. Quel veleno era lì per togliere la vita a uno qualunque dei fedeli in processione. Era un attacco contro santa Marta.»

Cestero nota con irritazione che le teorie di Pombo sono calate anche sui familiari della vittima.

«Mi piacerebbe farle qualche domanda», insiste la ertzaina.

«A dire il vero, Pilar ha già risposto a tutti i nostri interrogativi. Non credo che sia necessario importunarla ulteriormente. Posso mostrarti le trascrizioni degli interrogatori», interviene Pombo.

Ane abbozza una smorfia di fastidio. Non è andata fino in Galizia per consultare delle relazioni che avrebbe potuto chiedere di farsi recapitare in ufficio.

«Sarebbe interessante...»

Il tenente non le lascia il tempo di finire la frase. Continua a rifiutarsi di collaborare. Cestero legge rapidamente tra le righe. Dietro la scusa di proteggere la sorella della vittima c’è probabilmente il timore di essere scavalcato, il timore che una poliziotta venuta da fuori possa individuare qualche punto debole nelle indagini dirette da lui.

«Non si preoccupi, tenente. Certo che sono disponibile. Tutto il possibile per aiutarvi a trovare l’assassino di mia sorella», dice Pilar prima di voltarsi verso Cestero.

La ertzaina evita di incrociare lo sguardo di Pombo. Deve approfittare di quella chance.

«All’epoca del delitto non si è attribuita al tulipano l’importanza che oggi sappiamo potrebbe avere. Si pensava che la presenza del fiore sul cadavere fosse dovuta alla particolarità della scena del crimine. Durante una processione che simula un funerale, chiunque potrebbe aver lasciato quel fiore a mo’ di omaggio, proprio come si fa quando qualcuno muore», spiega Cestero. «Tuttavia, poiché lo stesso fiore è stato utilizzato come firma nel caso di due morti violente accadute in Biscaglia pochi giorni fa, siamo inclini a pensare di poterci trovare di fronte allo stesso assassino.»

«Aspetti un momento. Ho qui qualcosa che potrebbe esserle utile.» Pilar fruga in un sacco blu della spazzatura che si trova accanto alla lapide e ne estrae un mazzo di fiori, così vecchio e rinsecchito da aver perso ogni traccia di colore. «L’ho trovato qui, insieme a molti altri che sono marciti dal giorno del funerale. Vivo a Santiago e da allora non sono potuta tornare a farle visita.»

Cestero lo osserva in silenzio. Ha davanti agli occhi la ragione per cui ha voluto passare dal camposanto: il mazzo di tulipani. Qualunque incertezza che potesse avere sulla connessione con il suo caso si è appena dissipata. Quasi tutti i fiori sono rimasti senza petali, ma i pochi ancora aggrappati agli steli non lasciano alcun dubbio.

«Sulle tombe delle vittime degli ultimi giorni sono apparsi mazzi come questo», annuncia guardando fisso il tenente. «Il legame è evidente.»

Pombo fa un respiro profondo.

«Su entrambe?»

Cestero annuisce prima di rivolgersi di nuovo a Pilar Otero.

«Sa se sua sorella, o qualcuno della sua famiglia, aveva qualche tipo di rapporto con il clan dei Meirás?»

La donna aggrotta le sopracciglia e rivolge al tenente uno sguardo interrogativo.

«E chi sarebbero?»

«Dei narcotrafficanti dell’estuario di Arousa», spiega Pombo prima di voltarsi verso la ertzaina. «No, certo che non hanno nulla a che fare con loro. Sono una famiglia normale. Non tutti in Galizia sono immischiati con la droga. Questi sono solo miti che avete voi che non siete di qui.»

Cestero si morde la lingua. Meglio non rispondere. Lei non ha nemmeno suggerito una cosa del genere.

«Ha notato qualche comportamento strano da parte di Isabel nei mesi o settimane precedenti alla sua morte?»

La sorella della defunta nega con un’espressione piena di tristezza. Alle sue spalle si staglia la lapide. Il nome di Isabel Otero e la data della sua morte spiccano sulla pietra invecchiata. I licheni che divorano le tombe dei genitori non hanno ancora avuto il tempo di infestare anche quella. È una lapide triste; tutte lo sono.

«Era contenta per la mia guarigione. Sono stata molto malata... Abbiamo deciso di festeggiare facendo un viaggio. Prima parlavamo di Parigi, lei ci è sempre voluta andare, ma poi abbiamo pensato a Bilbao. Da bambine vivevamo lì e non ci eravamo mai tornate, e dicono che è così cambiata...»

La rivelazione attiva il cervello di Cestero con la forza di uno sparo. Se la sua intuizione è corretta, lì potrebbe esserci qualche indizio a cui aggrapparsi.

«Non sapevo che aveste vissuto a Bilbao.»

Il tenente serra le labbra e scuote la testa. Lui nemmeno.

«Io sono nata lì, mia sorella ce l’hanno portata quando aveva due anni. Vivevamo a Durango. Mio padre era ingegnere e lavorava alla cartiera di Amorebieta», spiega la signora senza darvi troppa importanza.

La mente di Cestero disegna agilmente una mappa della zona. Durango, Amorebieta, l’estuario di Urdaibai, un triangolo dove tutto si trova a pochi chilometri di distanza.

«Quando siete tornati in Galizia?»

«Eravamo già grandi. Siamo cresciute lì. Io avevo diciassette anni, e mia sorella diciannove. Papà è morto e non aveva più senso restare. A mamma mancava la sua famiglia.»

«Di cosa è morto suo padre?»

La donna, colta da una profonda tristezza, si volta a leggere i nomi incisi sulla lapide, che trasformano quel pezzo di marmo in molto di più che una semplice lastra.

«Un incidente in fabbrica... È stato un duro colpo. Una mattina è uscito e non è più tornato. Ci è arrivata solo la telefonata di un collega per darci la notizia... Si sono comportati bene. Hanno dato a mamma trentamila pesetas, che allora erano una gran bella cifra, e hanno offerto un lavoro a mia sorella. Io ero ancora molto giovane, a quattordici anni dovevo continuare a studiare.»

Il tenente prende Ane per l’avanbraccio e la invita ad allontanarsi di qualche metro.

«È proprio necessario continuare a frugare nelle ferite del passato?», chiede a voce bassa. Il suo sguardo pieno di rimprovero le segnala che per lui la risposta è molto chiara.

«C’è una connessione geografica. Certo che è necessario continuare su questa strada. Dammi solo un altro paio di minuti.»

Il tenente sospira. Non è d’accordo, ma annuisce controvoglia e le fa un gesto perché continui con le domande.

«Sua madre invece dove è morta?», chiede Cestero dopo aver raggiunto la donna.

«Qui, nella sua terra. Solo quattro anni dopo papà. Non è riuscita a superarla. I medici hanno detto che è stato un infarto a portarsela via, ma io sono sicura che sia morta di dolore. Si stava spegnendo e verso la fine era solo un’ombra di quel che era stata, una donna forte e combattiva. Era passato poco più di un anno dal nostro ritorno.»

Ane ha già dimenticato la mappa e ora riordina tutte le informazioni in uno schema mentale.

«E siete tornate tutte e tre insieme in Galizia? Credevo che Isabel avesse iniziato a lavorare alla fabbrica.»

Fatica a immaginarsi una ragazza maggiorenne, con un lavoro e una vita fatta e finita a Durango, che abbandona ogni cosa per seguire sua madre nella sua città natale in Galizia.

«Anche Isabel ha sofferto molto per la perdita di papà.»

A ben pensarci, la storia è verosimile. Non dev’essere facile vedere ogni giorno al lavoro la macchina che ha tolto la vita a tuo padre.

«Non vogliamo importunarla ulteriormente, vero?», interviene Pombo, dando per conclusa la conversazione.

La donna fa segno di no con la testa. Le brillano gli occhi. È sul punto di scoppiare a piangere.

«Nessun fastidio, tenente. Tutto pur di dare una mano... La mia povera Isabel!» Ed ecco la prima lacrima. Le scivola lungo la guancia destra fino a trovare il dorso della sua mano. «La cosa che più mi fa male è ciò che ha fatto per me. In quella tomba dovevo esserci io.»

Cestero non capisce che cosa vuole dire.

«Perché?»

Pombo alza le mani.

«Io credo che sia sufficiente. Tutto questo si trova nelle trascrizioni degli interrogatori», commenta, ora furioso.

Pilar non gli dà ascolto. Ha bisogno di sfogarsi.

«Sono guarita da un cancro, e lei ha promesso a santa Marta che si sarebbe offerta per la processione se io mi fossi salvata... Era molto devota. La poveretta è morta per salvare me.»

«Bene, non rinvanghiamo ancora il passato.» La voce del tenente è ora autoritaria. Mette una mano sulla spalla di Ane Cestero e la spinge verso l’uscita. «Mi scusi tanto, Pilar. Sono sinceramente dispiaciuto di averla obbligata a ricordare tutto questo.»

Cestero ringrazia la donna per la collaborazione e lei, per tutta risposta, versa altre lacrime.

«Trovate quell’assassino, per favore. Mia sorella era una brava donna.»

«Lo troveremo. Non ne dubiti. Lo troveremo, e sua sorella potrà riposare in pace», le promette la ertzaina prima di seguire Pombo tra i filari di lapidi.

La danza dei tulipani
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