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25 ottobre 2018, giovedì
Nel momento esatto in cui Cestero mette piedi fuori dall’auto capisce di trovarsi in un posto diverso da tutto ciò che conosce. Forse durante la processione annuale, alla fine di luglio, Santa Marta di Ribarteme è vestita a festa e sembra un villaggio completamente diverso, con la sua processione di bare che sfila accanto ai banchetti che vendono polpo e ai musicisti che provano per il concerto della sera. Con novembre alle porte, invece, non c’è spazio per le celebrazioni. La chiesa si erge silenziosa su valli che ospitano mute case di granito perse tra scampoli di nebbia.
«È un bel posto» dice, cercando di non soffermarsi sulle colline carbonizzate che si vedono in lontananza. Ci vorrà del tempo prima di poter dimenticare gli incendi dell’autunno precedente.
«È Galizia», riassume Xosé Pombo.
La ertzaina pensa alla costra frastagliata, alle spiagge e ai vassoi traboccanti di frutti di mare. Tutto è Galizia. Ma sì, anche questo posto, a cui la nebbia e l’isolamento conferiscono una mistica indiscutibile, lo è. Si trovano nella Galizia più devota, un territorio di credenze e miti ancestrali dove la morte, o meglio il timore del suo arrivo, diventa il centro della vita.
Non hanno ancora raggiunto il portale della chiesa quando un uomo in sottana, agghindato con un cappello d’altri tempi, esce a riceverli.
«Il parroco», sussurra il tenente.
«A-ah.»
Cestero calcola che sarà sulla settantina. Zoppica leggermente da una parte ma non si appoggia a nessun bastone. È magro, ma ha delle gote tonde e rosse.
«Benvenuto, tenente. E lei deve essere la poliziotta basca», saluta abbozzando un sorriso affettuoso.
«Sottufficiale Cestero, Ane Cestero», si presenta la ertzaina stringendogli la mano.
«Come va? Che gliene pare della Galizia? Ci era già stata? Peccato per gli incendi dell’anno scorso. È tutto malridotto.»
Cestero annuisce con un’espressione di circostanza. Non fa in tempo di aprire bocca, Pombo la precede.
«Potremmo fare due chiacchiere in un posto un po’ più tranquillo?», chiede indicando la chiesa.
La ertzaina non può evitare di voltarsi, sorpresa. Che cosa c’è di più tranquillo di quel posto? L’unica persona in vista è una donna che conduce due enormi vacche con l’aiuto di un bastone. E sarà ad almeno cinquanta metri da loro.
«Sì, certo. Venite in sacrestia.»
«Dopo di lei» dice Pombo, facendo segno al sacerdote di precederli.
Gli occhi di Cestero ci mettono qualche secondo ad abituarsi alla penombra della chiesa, che attraversano camminando lungo l’unica navata.
«Santa Marta», annuncia il parroco fermandosi accanto a una cappella. Prende un fazzoletto bianco da un cassetto e lo porge ai due poliziotti.
Xosé Pombo lo riceve mormorando un ringraziamento. Cestero cerca di non mostrarsi sorpresa quando il tenente della Guardia Civil sfrega con il panno i consumati piedi della santa per poi passarselo sul viso. Una rispettosa genuflessione di fronte alla statua completa il rito.
La ertzaina sente ora gli occhi di entrambi fissi su di sé. Pombo le porge il fazzoletto e con un gesto la incoraggia a imitarlo.
«La nostra santa ha guarito persone arrivate da tutti gli angoli del mondo», commenta il sacerdote.
Cestero si morde la punta della lingua. Il piercing le sbatte contro gli incisivi, che allentano la presa. La sua mente macina a tutta velocità: accontentare il parroco con un gesto in cui non crede o mantenersi fedele ai suoi principi?
Il tenente si dà per vinto e restituisce il panno al sacerdote, che lo ripone nel cassetto scuotendo la testa.
«Chi non ha fede, non ha nulla» rimarca, dirigendosi in sacrestia.
Una fredda luce filtrata dalle tendine appese all’unica finestra illumina quella stanza dalle pareti di granito. Varie sottane e vestiti da celebrazione eucaristica sono appesi a una delle pareti accanto a due quadri con motivi religiosi. Eppure, ogni cosa passa in un insignificante secondo piano appena lo sguardo di Cestero si posa sui feretri appoggiati contro la parete in fondo.
«Sono quelli della processione?»
Delle sette casse in vista ce n’è una che attira la sua attenzione; bianca e piccola, pronta per accogliere un neonato.
«Sono le bare dell’ultimo anno. Abbiamo avuto otto volontari. Non ce n’erano mai stati così tanti. La devozione per santa Marta cresce giorno dopo giorno.»
«Otto persone si sono sdraiate lì dentro?», chiede Cestero sussultando. «E che tipo di gente partecipa?»
«Persone normali, come lei e come me. È una festa. C’è la musica, i banchetti di polpo, il mercatino... Si tratta di una processione. Come qualsiasi altra, ma speciale, molto speciale.»
«E un po’ tetra», azzarda Cestero.
«Niente affatto. A Santa Marta celebriamo la vita, e lo facciamo senza il timore della morte. Chi viene qui lo fa per ringraziare di essere ancora vivo. Questo le sembra tetro?»
«Mi scusi, non è un aggettivo azzeccato», riconosce Cestero.
Il parroco accoglie le scuse con un sorriso forzato. È evidente che la ertzaina non gli ispira simpatia.
«In quale cassa è morta Isabel Otero?», chiede la poliziotta avvicinandosi alle bare.
Il tenente Pombo la osserva stupito.
«In nessuna di queste. È una prova del crimine. È sotto custodia.»
Cestero si lascia scappare un sospiro.
«Certo» mormora, sentendosi ridicola.
«Era una come questa», indica il parroco, dando un colpetto a un feretro nero il cui coperchio mostra un Cristo crocifisso in ottone. «Marisa, mi aiuti ad aprirla?»
Una donna emerge dalle tenebre. Il piumino giallo che ha in mano aggiunge una pennellata di colore alla sacrestia. Come se pretendessero di essere in pendant con il rigoroso lutto dei suoi abiti, i capelli, raccolti in uno stretto chignon, sono neri come la notte. E gli occhi, che sorridono nel salutare il tenente, anche.
La sacrestana passa il piumino sulla bara prima di girare la chiave che ferma il coperchio. Poi lo solleva con l’aiuto del sacerdote, rivelando l’interno, bianco e imbottito. Ovviamente non sembra il luogo più accogliente dove andare a sdraiarsi, e men che meno in piena canicola estiva.
«I volontari fanno la processione con la bara aperta, ovviamente», commenta il sacerdote.
Cestero passa la mano sull’interno della bara. Sotto quella tela così morbida si nascondeva l’arma omicida. L’Assassino del Tulipano ha usato un metodo ingegnoso per mettere fine alla vita della sua prima vittima.
«Se non ho capito male era il primo anno che Isabel Otero partecipava alla processione», dice senza smettere di accarezzare la bara.
«E chi l’ha detto?», interviene la sacrestana.
La ertzaina si gira verso Pombo. Il punto interrogativo sul suo volto è evidente.
«Questo è quel che leggo nel fascicolo. Vi ho interrogati io stesso. Non era la prima volta?»
La sacrestana scrolla le spalle.
«Forse era la prima volta, forse no. È stato il primo anno che ha partecipato come volontaria, ma io non ho detto che prima non era mai venuta in qualità di fedele.»
«Quindi ci è venuta?», insiste il tenente con tono impaziente.
La donna ripete il gesto dubitativo.
«E chi lo sa?»
Cestero ride tra sé e sé. Pombo sta subendo il suo stesso metodo vago. Sembra che anche i galiziani possano irritarsi di fronte a risposte poco concrete.
«In ogni caso, prima di quest’anno non era mai stata dentro la bara», sottolinea il tenente.
«Questo sì che l’ho detto», ammette la sacrestana.
«Quando avete saputo che Isabel Otero sarebbe stata tra i volontari?»
La sacrestana aspetta un gesto di conferma del parroco prima di dirigersi verso un quaderno sul quale consulta la data.
«A maggio ci aveva già confermato la partecipazione», annuncia dopo aver sfogliato qualche pagina.
«Perché è così importante?», chiede Pombo rivolgendosi alla ertzaina.
«Ogni dettaglio lo è. Ho bisogno di sapere chi era al corrente del fatto che Isabel Otero si sarebbe sdraiata in quella cassa», puntualizza Cestero.
Il parroco interroga Pombo con lo sguardo prima di parlare.
«Non mi aveva detto che era stata colpita a caso?»
«Non possiamo scartare nessuna ipotesi», risponde il tenente. «All’inizio pensavamo a un attacco di qualche movimento anticlericale per causare il panico tra i fedeli della zona. Ci sono però degli elementi che ci obbligano a rivalutare il caso.»
Cestero è contenta che Pombo cominci a essere aperto ad altre ipotesi.
«Se Isabel Otero si è infilata in quella bara per rendere grazie per la guarigione della sorella, tutta la famiglia deve aver saputo da maggio che avrebbe partecipato alla processione», suggerisce la ertzaina.
«E anche altre persone. Senz’altro tutti i suoi conoscenti ne avranno avuto notizia», aggiunge Pombo.
Il parroco annuisce.
«I volontari vengono in compagnia di familiari e amici. È un giorno molto speciale nella vita di coloro che si offrono volontari. Stanno vivendo il proprio funerale. Chi non si è mai chiesto nella vita come sarà il momento di congedarsi?»
A Cestero quella risposta non piace. Apre troppo il ventaglio dei sospettati.
«Qualcosa nei giorni precedenti alla processione o durante la cerimonia stessa ha attirato la sua attenzione?»
«Questo è nel fascicolo», la interrompe Pombo. «Non c’è stato nulla che vi sembrasse fuori dal normale. Vero?», chiarisce rivolgendosi al sacerdote.
Il parroco si limita a dire di no con un cenno della testa.
«Il tulipano vi dice qualcosa?», aggiunge Cestero.
Sia il sacerdote sia la sacrestana rispondono negativamente.
«Credo che sia tutto. Possiamo andare», decide Cestero. Sembra che non si possano fare molti progressi in quello sperduto villaggio galiziano. «Grazie per il suo aiuto. Se doveste ricordare...»
«Se doveste ricordare qualcosa, avete il mio numero. Non esitate a chiamarmi», la interrompe Pombo dando un colpetto sulla bara.