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23 ottobre 2018, martedì

«No, non sono miei. E non serve che continuiate a cercare. Non troverete questi tulipani da nessun’altro fioraio di Gernika.» La commessa guarda con disprezzo il mazzo di fiori.

«Perché?» Cestero non capisce come possa esserne così sicura.

La fiorista la osserva con aria condiscendente. È una donna di mezza età, di una magrezza estrema che la fa sembrare alta anche se in realtà non lo è. O forse è per la sua schiena forzatamente dritta?

«Non ne sai molto di fiori, vero?» Fa una pausa in attesa di una risposta che Cestero si rifiuta di darle. Per la prima volta da quando la ertzaina è entrata nel negozio, la fiorista lascia i nastri rossi che sta preparando e si avvicina al bancone. «Il tulipano fiorisce in primavera, ed è in quella stagione che i clienti lo richiedono. In autunno è un’aberrazione. Nessuno li vende. Hai mai visto qualcuno portare al cimitero dei tulipani per il giorno dei Morti? No, certo che no.»

Cestero detesta il fare sprezzante della fiorista, che arriccia le labbra ogni volta che nota l’anello che lei porta alla narice. Se ne andrebbe molto volentieri lasciandola con un palmo di naso. Eppure, le informazioni che le sta fornendo sono importanti.

«E da dove può essere uscito questo mazzo?», chiede, sforzandosi di non mostrare alcuna ostilità.

La commessa accarezza dolcemente il petalo di uno dei tulipani. Poi scuote la testa e si stringe nelle spalle.

«Mi giocherei il negozio intero che non c’è un fioraio nel raggio di cento chilometri dove si possano comprare questi tulipani, si tratta di una varietà molto rara.»

Ora è Cestero ad arricciare le labbra. Non si aspettava una risposta del genere.

«Che varietà?», indaga. Forse potrebbe darle qualche informazione sulla provenienza dei fiori.

«Non è così facile... Ne esistono migliaia, però è una varietà ibrida, questo glielo posso assicurare. Potrebbero essere Double Early Abba, o Fire of Love...» La pronuncia della donna è così perfetta da sembrare irreale. Si direbbe appena rientrata da un collegio a Oxford.

«C’è modo di capire quando sono stati comprati?»

«Fammi vedere...» La fiorista afferra un tulipano e lo tira fino a separarlo dal mazzo. Con aria concentrata, fa un taglio longitudinale alla base dello stelo e lo studia con attenzione. Cestero assiste sorpresa a quella sorta di autopsia vegetale. «È fresco. È stato tagliato da non più di un giorno. Oserei dire da non più di quindici ore.»

La ertzaina sposta lo sguardo sull’orologio da parete che alcune piante cercano di nascondere. Le undici del mattino. Se la donna ha ragione, quei tulipani non sono stati tagliati prima delle otto di sera del giorno prima.

«Come fa a saperlo con tanta precisione?»

Un altro sguardo condiscendente della fioraia.

«Perché lo so. Ho passato la vita intera in mezzo ai fiori.»

Cestero si morde il labbro per non sbottare con il primo insulto che le passa per la testa. Non sopporta le persone così arroganti.

«E quest’altro?» aggiunge, consegnandole quel che resta del fiore che Natalia Etxano aveva in mano al momento del suo omicidio.

La fiorista ripete l’operazione.

«Questo è già molto rovinato però direi che è identico a quelli del mazzo, solo che è stato tagliato diversi giorni prima.»

«È possibile che facessero tutti parte dello stesso mazzo e che questi siano stati conservati freschi fino a oggi in acqua o qualcosa del genere?», si informa Cestero.

La donna nega senza esitare nemmeno un secondo.

«Impossibile. Il gambo avrebbe un altro aspetto. E sarebbe diverso al tatto.»

Cestero si pente di non aver mandato Aitor a parlare con la fiorista. Sicuramente lui sarebbe stato più paziente e forse sarebbe riuscito a tirarle fuori più informazioni utili.

«Sono fiori che potrebbe coltivare lui stesso...?»

«Non è facile. Non è un fiore qualunque. Il tulipano è capriccioso, e poi cresce più nell’interno. Mi stupirebbe che un semplice appassionato riuscisse a ottenere fiori di questa qualità.»

La fiorista non ha ancora finito la frase quando si volta e torna ai suoi nastri rossi. La lama della forbice accarezza la porzione di carta satinata per formare le chioccioline di nastro che di solito decorano i mazzi di fiori.

La ertzaina recupera i tulipani, contrariata. Non si aspettava di uscire dal negozio con più dubbi di quelli che aveva quando è entrata.

«D’accordo. Molte grazie per il suo tempo» dice, senza riuscire a evitare un tono sarcastico.

«Spero di esserle stata utile», congeda la donna senza accompagnarla alla porta.

Quando Cestero apre la porta del bar, non è ancora riuscita a scrollarsi di dosso una certa sensazione di sconfitta. Spera che Aitor sia riuscito a fare qualche progresso più significativo dei suoi. Cerca il suo collega con lo sguardo. Non c’è. Non è ancora arrivato.

Il cameriere, lo stesso che era al bancone la sera prima, la guarda di sbieco dalla macchina del caffè.

«Cosa ti preparo?»

«Un caffè doppio.»

«Americano?»

«No, doppio. Due espressi in uno, diciamo.»

«Arriva subito.»

La slot machine in fondo alla sala si unisce alla conversazione con una cantilena contagiosa e il tintinnare metallico delle monete sul vassoio. L’asiatico che sta giocando annuisce senza dare grandi segni di allegria.

«Dovrò proibirti di giocare», protesta il cameriere alzando la voce per farsi sentire sopra il frastuono del macinino da caffè.

Cestero controlla il cellulare in cerca di notizie dai suoi colleghi quando si apre la porta.

«Non può piovere in questo modo!», protesta Aitor togliendosi l’impermeabile per appenderlo a un gancio sotto il bancone.

«Be’, danno acqua tutta la settimana», fa notare un cieco seduto su una panchetta vicino all’entrata. Una sfilza di biglietti della lotteria gli copre il petto come una cascata multicolore.

«Che schifo di tempo», si lamenta il cameriere. «Ti passa la voglia anche di venire a lavorare.»

«Quello sempre», scherza il cieco.

«Poi in primavera vorrete tutto verde. Be’, anche questo ha un prezzo... Non lamentatevi tanto, che è solo acqua. Prima pioveva anche di più», rimbrotta un anziano seduto a un tavolo. Non si degna nemmeno di sollevare la testa dal cruciverba del giornale che ha completato per metà.

«Che cosa ti porto?», chiede il barista rivolgendosi ad Aitor.

«Un tè verde e un pintxo de tortilla

«Facciamo due pintxos», aggiunge Cestero ricordandosi di non aver fatto colazione. Non mangia mai appena sveglia, ma stamattina la cosa le è sfuggita di mano. Se aspetta ancora un po’ tanto vale pranzare direttamente.

«Com’è andata dalla fiorista?», chiede Aitor.

La ertzaina sbuffa.

«Non molto bene. È tutto più complicato del previsto. Non è stagione di tulipani e la fiorista non sa chi potrebbe averglieli venduti. E a te alle pompe funebri?»

Il cameriere lascia sul bancone due piatti fumanti che le fanno venire il languorino.

«L’assassino non è stato al cimitero. E se l’ha fatto non ha portato il mazzo personalmente», le spiega il collega. «Ci hanno pensato quelli delle pompe funebri. Ricordano perfettamente di averlo preso dalla camera ardente insieme al resto delle corone di fiori.»

«Bisogna verificare se ci sono telecamere di sorveglianza nei dintorni», decide Ane. Forse riusciranno a trovare l’assassino più facilmente di quanto si aspettava solo pochi minuti prima.

«L’ho già fatto. Nemmeno una. Nemmeno all’esterno.»

«Merda...»

La mente della sottufficiale inizia a lavorare a tutta velocità. Ha l’impressione che qualcosa le stia sfuggendo. Chiude gli occhi e cerca di fare in modo che la pessima battuta del conduttore del programma trasmesso da una tv a tutto volume non si infili tra i suoi pensieri.

«Questa l’ha già raccontata almeno tre volte», si lamenta il vecchio del cruciverba.

«Scandalizza tutte le vecchiette con le sue battutine sconce. Di questo passo finirà in tribunale», risponde il cieco.

«Lascia perdere, meglio questo del telegiornale... Si è saputo qualcosa della giornalista poi?», interviene il cameriere.

«Ma va’. E non si saprà nulla. Faranno in modo di non farcelo scoprire. Quella la volevano zittire da un sacco di tempo.» Il cieco enfatizza il commento con dei colpetti di bastone a terra.

I due poliziotti si scambiano uno sguardo. Spesso si ottengono più informazioni dalle conversazioni da bar che da un interrogatorio.

«Quando ti metti a fare i conti in tasca a imprese edili e politici...»

«Avrebbe dovuto girare con la scorta.»

Il silenzio che segue dà tempo al conduttore di infornare il suo pasticcio di peperoni rossi.

«Perché mai avrebbe dovuto volere la scorta se si scopava il commissario?», interviene d’un tratto il vecchio del giornale.

«Non stavano più insieme. Lei l’ha lasciato.»

«Secondo me stava con lui solo per farsi proteggere», dice quello del bancone asciugando dei bicchieri con uno straccio.

Il vecchio del giornale scoppia in una risata beffarda.

«Be’, a quanto pare lui lo faceva. È bastato che smettesse di andarci a letto perché la facessero fuori sui binari del treno. E non lo sapremo mai chi è stato. Sapete perché? Perché alla Polizia non interessa. È stato il commissario. Sicuramente Natalia sapeva troppe cose e lui se l’è tolta dai piedi. E ora faranno in modo che non si sappia nulla. In due giorni tutto dimenticato.»

«Questo se non incolpano qualcun altro», butta lì il cieco.

«Come sta Santi?»

«Il marito? Be’, distrutto. Come vuoi che stia? Dicono che l’hanno imbottito di psicofarmaci per tenerlo in piedi.»

Cestero si porta l’ultimo pezzo di tortilla alla bocca. La conversazione ha preso la piega sbagliata. Deve fare in modo che torni al punto di partenza.

«Non sapevo che Natalia Etxano avesse problemi con delle imprese edili», dice, cercando di fingersi disinteressata.

Accanto a lei, Aitor si porta la tazza alle labbra mentre contempla distrattamente il televisore.

«Allora non ascoltavi il suo programma», nota il cieco. «La storia del museo ha causato fin troppo movimento da queste parti. E lei ne parlava tutti i giorni.»

Cestero aggrotta la fronte. Non capisce nulla.

«Il Guggenheim», spiega il cameriere. «Da quando si è saputo che c’è il progetto di aprirne una succursale qui, tutta la regione è in fermento.»

«C’è qualche furbastro con informazioni privilegiate che sta comprando terreni agricoli a due soldi. Il biglietto vincente, signori!», esclama il vecchio della lotteria con lo stesso tono che userebbe per annunciare l’estrazione del giorno.

Cestero interroga il suo collega con lo sguardo. Il giorno prima è stato lui ad andare a Radio Gernika in cerca di informazioni.

«Devo tornarci adesso. Ieri c’era solo un tecnico che mi ha permesso di ascoltare qualche frammento del programma. Nel pomeriggio trasmettono da Bilbao e non c’è nessuno della squadra di Natalia Etxano in studio», spiega Aitor parlando a bassa voce.

«Questi casi di corruzione ci sono sempre stati. O credete che le magagne tra politici e impresari edili si vedano solo al sud?», si vanta quello del cruciverba. «Guarda, Manolo... Animale favoloso di otto lettere. Inizia per U. Non manca mai.»

Il cameriere ride.

«Chissà se prima o poi si decideranno a variare. Mettono le stesse parole tutti i giorni...», dice prima di indicare il televisore con il mento. «Mmmm... Che bella faccia! Quel tizio è un prodigio. Avete visto che cos’ha fatto con un barattolo di peperoni e delle uova?»

«E panna, e olio, e spezie... Dai, ci ha messo mille cose», obietta il cieco.

«Cazzo, però io me lo mangerei volentieri adesso», insiste il barista.

«Eccone un’altra: personaggio biblico di tre lettere. Saranno convinti che non abbiamo proprio memoria. Questa c’era almeno tre volte negli ultimi cinque giorni.»

«Lascia stare quella roba e fai il sudoku. Almeno la smetti di brontolare così tanto», risponde il cameriere.

Aitor indica la porta con un movimento della testa. Cestero annuisce. Non caveranno nient’altro da quelle chiacchiere. Anche se, pensandoci bene, quella tappa al bar non è stata certo inutile. Ora hanno un nuovo possibile movente per il crimine.

«Siete poliziotti, no?» domanda il cieco, tagliandogli la strada con il bastone.

Ane Cestero guarda il suo collega. È in borghese, come lei, e non ha nemmeno il marsupio dove molti agenti sotto copertura di solito tengono l’arma d’ordinanza. Inizia a essere stanca di quel giochino.

«E cos’è che te lo fa credere?», gli chiede, decisa a non rispondere.

«Perché vi si vede lontano un chilometro», sentenzia il cieco. «Non volete un biglietto? Questo venerdì c’è l’estrazione per il montepremi. Ti squilla il telefono. Secondo me è tuo marito che ti chiede di comprarne uno anche per lui.»

Gli altri scoppiano a ridere.

Cestero si avvicina lo zaino all’orecchio. La vibrazione si sente forte e chiara. Apre la zip e guarda lo schermo.

«È Txema», annuncia alzando gli occhi verso Aitor. Poi preme il pulsante per rispondere. «Qui Cestero, dimmi.»

La voce del suo collega sembra carica d’ansia. La stessa che si fa strada dal petto di Ane per avvolgerla completamente.

La danza dei tulipani
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