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29 ottobre 2018, lunedì

In piedi e appoggiata alla sua scrivania, Julia osserva il televisore, contrariata. L’ultima fotografia diffusa dall’assassino occupa gran parte dello schermo appeso alla parete. Un riquadro secondario mostra un opinionista che gesticola in modo iroso, mentre nella fascia in basso scorrono le informazioni delle ultime ore riassunte in frasi brevi e allarmanti.

Quel maledetto criminale ha cambiato metodo di diffusione. Da quando Facebook ha bloccato la pagina dove sono state caricate le prime due foto della vittima, si è rivolto direttamente ai media. Le televisioni e i giornali digitali sono ora i destinatari delle immagini.

Julia preme un pulsante sul telecomando. I diversi canali cominciano a scorrere senza offrire grandi variazioni. Cambia l’inquadratura delle gambe vestite di Charo Etxebeste stese nella pineta, ma nient’altro. La sparizione di quella che potrebbe diventare la quarta vittima dell’Assassino del Tulipano ha commosso il paese, e la diffusione delle fotografie che il criminale sta rilasciando a poco a poco è un’allettante manovra per conquistare il pubblico.

«Siamo fottuti», commenta Txema scostando la tenda dalla finestra più vicina. «Hai visto quante telecamere ci aspettano all’ingresso?»

«Sono degli avvoltoi. Se c’è odore di cadavere, eccoli che arrivano», si lamenta Julia lasciando il telecomando sul tavolo. «Non so cosa aspetta la giudice a intervenire. L’indagine è riservata.»

La televisione pubblica basca ha smesso di trasmettere le immagini appena il sottufficiale gliel’ha chiesto. Gli altri canali, invece, continuano imperterriti.

«In tribunale ne avranno fin sopra la testa. Una situazione come questa non capita tutti i giorni», suggerisce Txema. In lontananza si sente la musica di un concerto. E anche la voce del presentatore dei tradizionali giochi campestri che stanno per cominciare al campo poco lontano. Nonostante la scomparsa di Charo Etxebeste, la fiera dell’ultimo lunedì di ottobre va avanti.

«E meno male... Spero proprio di non dover affrontare un altro bastardo del genere in vita mia.»

Julia ha l’impressione che il sottufficiale non la pensi allo stesso modo. Non lo ammetterà mai a voce alta, non se ci sono delle vittime di mezzo, ma si sta godendo la situazione. Txema è un cacciatore nato e ora è nel suo elemento.

«La squadra dei delitti informatici non riesce a localizzare l’origine delle ultime mail con le foto. Sono coperte da una densa rete di proxy, proprio come era avvenuto con l’immagine mandata a “El Faro de Vigo”», commenta il sottufficiale leggendo il messaggio che ha appena ricevuto.

Ha giusto il tempo di finire la frase quando la radio inizia a crepitare. È Cestero.

«Nella pineta del crinale sud nulla. Cosa mi dici della sponda sinistra?»

«È molto verde» ammette Txema, alzandosi in piedi per avvicinarsi alla mappa. «Non abbiamo ispezionato nemmeno il dieci per cento dell’area. Di questo passo avremo coperto solo un terzo dei boschi di Urdaibai quando la stampa riceverà la foto completa della vittima.»

Accanto a lui, Julia dispone puntine verdi sulla zona battuta da Cestero e dai volontari che sono con lei. È vero che si tratta di una minima parte della mappa. Quanti giorni ci metteranno a setacciare tutta la zona procedendo a questo ritmo? Ancora una volta, l’Assassino del Tulipano sembra essere parecchi passi avanti a loro.

«Abbiamo bisogno di altri volontari», decide Cestero. «Dobbiamo salvare la vita di Charo a tutti i costi. Parlate con Radio Gernika, fate in modo che coinvolgano l’intera popolazione, che la gente si unisca ai lavori di ricerca invece di andare alla fiera.»

Txema fa schioccare la lingua.

«Radio Gernika, dici? Quel giornalista continua a starci addosso. Da quando abbiamo chiesto l’aiuto dei volontari non fa che ripetere che le risorse destinate al caso sono ridicole. Secondo lui, se la stessa cosa fosse successa a Bilbao, ci sarebbe un agente a ogni angolo.»

Cestero ci mette un po’ a rispondere. Lo scarso appoggio che la radio più seguita della provincia gli sta dando non è facile da digerire per nessuno, ancor meno visto che non c’è stato modo di trovare nulla di sospetto per fare pressione su Aimar Berasarte. Il giornalista è pulito, o almeno così pare.

«Be’, lanciate un’allerta attraverso ETB, Radio Euskadi, chiunque altro. Andate in piazza e fermate la gente che sta giocando a sollevare quelle stupide pietre. Voglio tutti a rastrellare le pinete», ordina Cestero.

«Sono in piena gara: ora è il turno dei buoi. Voglio proprio vedere chi oserà interromperli. Immagino che si stiano giocando un sacco di soldi», commenta Txema. «Abbiamo già chiesto dei volontari. Chi non ha preso parte all’operazione evidentemente ha preferito non farlo.»

«Fate quello che potete», sospira Cestero. Il suo tono non è più così deciso, anche lei inizia a rendersi conto che non c’è molto da fare.

Txema torna al computer e legge qualcosa sullo schermo.

«Si è formato un nuovo gruppo di volontari nei dintorni di Elantxobe. Potremmo cominciare a cercare anche nella zona nord», annuncia.

Julia mette una puntina rossa sulla località costiera.

«Chiedetegli di portare delle torce. Comincia a fare buio», ordina Cestero attraverso l’auricolare. «C’è qualcuno libero per andare a coordinarli?»

«Tutti gli agenti sono sul campo. Potrei andare io», propone Julia.

«No, tu resta lì. Il corpo non è nulla senza cervello, non possiamo tralasciare il centro di comando. Mi avvicino io. Quelli della Protezione Civile porteranno avanti il gruppo che era con me.» Appena Cestero conclude la frase comincia a organizzare i volontari che ha vicino. I suoi ordini si sentono attraverso la radio. Poi la comunicazione si interrompe.

«È lei che dovrebbe stare qui. Non è il capo?», protesta Txema.

«È un capo diverso dagli altri. Le piace il lavoro sul campo», la difende Julia.

«Be’, se non è in grado di fare il capo dovrebbe farsi da parte. Il suo posto è qui», insiste il sottufficiale.

«Non dire cazzate, Txema. Dovresti essere contento. Cestero è una che sa delegare. Ha lasciato te al comando dell’operazione. Non era quello che volevi quando hai chiamato i superiori per raccontargli dello scontro in cella?»

«Mi stai dando dello spione? Da dove salta fuori questa storia che sono stato io?» Txema si porta le mani alla cravatta per assicurarsi che il nodo sia al suo posto. «E poi questo non è essere al comando. Cestero non è qui, ma continua a dare ordini da una pineta in culo al mondo.»

Julia sospira. C’è una donna sequestrata in un bosco e loro due si mettono a discutere di dettagli privi di importanza, sembrano una coppia che non fa che punzecchiarsi.

Un suono la avverte dell’arrivo di un messaggio WhatsApp.

È di Álvaro.

Vi siete accorti che la luce è la stessa in tutte le foto? Le ha fatte tutte nello stesso momento. Vi sta prendendo in giro.

Julia mostra il telefono a Txema.

«Fanculo il tuo amico. Si crede un intelligentone, eh?»

L’agente fa spallucce. Non capisce quell’improvvisa ostilità nei confronti di Álvaro. In ogni caso, non è quella la cosa importante del messaggio, quanto l’avvertimento sui tempi. Non è una buona notizia che l’Assassino del Tulipano abbia fatto tutte le foto nello stesso momento. Può solo significare che la donna scomparsa è già morta, mentre il killer, ormai lontano dalla pineta, comodamente seduto sul divano, si sta godendo il momento di gloria che le televisioni di tutto il paese gli stanno regalando.

«Nessuna novità dalle pinete a sud di Busturia», annuncia la voce di Aitor Goenaga attraverso la radio.

Txema fa schioccare la lingua.

«Sta avendo la meglio ancora una volta. Non siamo sulla buona strada.»

«E tu cosa faresti?»

Di nuovo quel suono gutturale.

«Sicuramente non quello che stiamo facendo. All’Interpol...»

«L’Interpol, l’Interpol...», Julia gli risponde sprezzante. «Non so come si fanno le cose all’Interpol, ora però sei nell’Ertzaintza e abbiamo i mezzi che abbiamo. E poi se stavi tanto bene là, vuoi spiegarmi perché sei tornato?»

Txema la sfida con lo sguardo.

«Ho ricevuto una telefonata dai piani alti. Mi hanno parlato di questa nuova unità dicendomi che era il mio momento. Pensavo che mi avrebbero affidato la direzione. Che cosa avresti pensato tu se ti avessero chiesto di tornare e lasciare l’Interpol? Cestero avrà i suoi meriti... Non lo so. Ti dico solo che se qui comandassi io, oggi non staremmo ancora qui a inseguire quel figlio di puttana.»

«Certo, come no.»

«Ciao, sono venuto a prendere la quota di Olaizola», interrompe d’un tratto una voce.

Si girano entrambi verso il corridoio. È Crespo. Non ha il suo solito bastone bianco, ma indossa gli occhiali scuri.

«Olaizola?», chiede Julia. Ancora non sa che è morto?

«Che cos’è che vuoi? Come sei entrato?», tuona Txema.

«Dalla porta», commenta ironico il venditore di biglietti.

«Ha il permesso», spiega Julia. «Portava tutti i giorni i biglietti della lotteria e il commissario gli lasciava i soldi in una busta.»

Txema sbuffa, sospira e poi fa schioccare di nuovo la lingua. Come se questo non bastasse a indicare che sta perdendo la pazienza, si ravvia i capelli e scuote la testa.

«Esca di qui, per favore.»

«E chi me lo paga il biglietto di venerdì?»

Txema si appoggia al tavolo con entrambe le mani e inspira rumorosamente.

«Crespo, per favore. Vai. E scordati di quel biglietto. Non te lo pagherà nessuno», interviene Julia indicandogli il corridoio con il mento.

«Guardo nel suo ufficio. Forse...»

«Crespo...» Il tono di Julia non ammette repliche.

Il tizio della lotteria resta immobile per qualche secondo, ma alla fine capisce l’antifona e sparisce da dove è venuto.

«Cazzo, un’altra foto», sbotta di colpo il sottufficiale.

Lo schermo mostra ora il corpo di Charo Etxebeste quasi per intero. Manca solo il busto: la testa e il petto. Il resto è in vista. Non ci sono tracce di sangue e anche la postura non permette di intuire nulla. È sdraiata a testa in su, con le mani appoggiate sull’addome, come se riposasse. Il gambo di un fiore spunta dalle mani incrociate.

«Nella prossima foto avremo l’immagine completa.»

Txema scarabocchia qualche rapido calcolo su un foglio.

«E arriverà tra sedici minuti», annuncia mentre inoltra l’immagine a tutte le unità che partecipano all’operazione. «Sta seguendo una sequenza logica. Ogni nuovo atto di questo teatrino è durato la metà del precedente. Tra la foto di prima e questa sono passati trentadue minuti. Ora saranno solo sedici.»

Julia lo ascolta a malapena. Si è avvicinata al monitor e sta controllando ogni centimetro dell’immagine. Aghi di pino, corteccia, qualche trifoglio...

«Guarda!», esclama d’un tratto. Il suo dito lascerà un’impronta digitale sullo schermo del portatile di Txema, ma questo ora importa ben poco. «Lo vedi?»

Il sottufficiale aggrotta le sopracciglia e osserva il punto indicato da Julia. Poi segue l’indice della collega fino all’estremità opposta dello schermo. Sono due pezzi di corteccia della grandezza inferiore a una moneta da un euro, ma non sono due frammenti qualunque. No, il colore scuro di uno e l’arancio dell’altro si trovano solo in un posto.

«Sei la migliore...», si complimenta Txema afferrando la radio. «Solo tu avresti potuto notare una cosa del genere.»

Julia corre alla mappa. Non c’è nessuna pattuglia vicino al bosco di Oma, quella pineta che la mano dell’uomo ha trasformato in una gigantesca opera d’arte nel bel mezzo della natura.

«Cestero!», ricorda all’improvviso. Se Ane è diretta a Elantxobe non sarà lontana dalla pineta in questione.

Txema l’ha anticipata.

«Cestero è già a Kortezubi. In cinque minuti raggiungerà Oma», annuncia prima di cambiare canale radio. «A tutte le unità: ci sono indizi che rimandano al Bosco Dipinto. Abbiamo bisogno di rinforzi a Oma, immediatamente.»

La danza dei tulipani
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