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24 ottobre 2018, mercoledì

La pistola di Cestero è puntata nel vuoto. Il suo dito indice, teso sul grilletto, riceve all’ultimo momento l’ordine di non sparare. Dove sono finiti? Lì non c’è altro movimento che quello degli arbusti cullati dal vento.

I due tizi le danno le spalle. Si allontanano lungo il sentiero principale in direzione del mulino. Lei continua a puntare alla testa del più vicino finché delle tamerici non nascondono le loro figure.

Cestero tira un sospiro di sollievo, anche se sa che durerà poco. Appena noteranno la sua Clio e capiranno che lei è ancora nei dintorni, torneranno indietro.

Prima che questo accada, vuole vedere cosa c’è più in là. Uno stretto sentiero la porta rapidamente sulla riva dell’estuario, dove sbocca il labirinto di canali che fa scolare l’acqua ogni volta che si abbassa la marea. Avanzare è complicato, una trappola continua. Ogni due o tre passi si vede obbligata a saltare uno di quei rigagnoli effimeri, e per di più deve farlo senza emettere il minimo rumore.

D’un tratto di ferma.

Un fischio.

Non è stato un uccello questa volta. Il richiamo si ripete tre volte, è una specie di codice, e viene dalla zona del mulino.

I profili dei presunti pescatori si muovono. Alcuni si chinano, altri tirano la canna... Stanno ritirando le proprie cose. Se ne vanno. I vigilanti devono aver trovato la sua macchina e ora non vogliono rischiare. Il fischio è una sorta di segnale di ritirata.

La ertzaina resta accucciata tra le canne. La cosa migliore che può fare adesso è aspettare e pregare che il suo nascondiglio regga per il tempo necessario a farli andare via. Qualsiasi cosa avessero in programma, oggi non succederà.

Uno dopo l’altro, gli uomini sfilano davanti al suo rifugio. Se allungasse la mano potrebbe quasi toccarli, tutti equipaggiati di canne da pesca e cesti di vimini. Potrebbe fermarne uno, portarselo al commissariato e farlo confessare. Che cosa sta succedendo di notte a Urdaibai?

Non lo fa. La cosa più importante è uscire viva da lì. Meglio lasciarli andare. Tornerà, ma con i rinforzi. Quella notte è stata una follia che ognuno dei suoi superiori condannerebbe.

Sono passati sei pescatori. Quello che si avvicina adesso sembra l’ultimo. Ane è molto combattuta. La prudenza le suggerisce di lasciarlo passare. Non deve precipitare le cose e mettere a rischio un’operazione e la sua stessa vita. L’istinto, invece, le chiede di trattenerlo. Potrebbe essere un’occasione d’oro.

I passi dell’uomo iniziano a sentirsi. Strascica i piedi più di quelli che lo precedevano. È una persona stanca, sconfitta. È incredibile la quantità di informazioni che si può ottenere semplicemente ascoltando qualcuno camminare.

Sta per arrivare all’altezza della ertzaina. A chi dare ascolto, alla ragione o all’istinto? La decisione può cambiare ogni cosa. Forse è meglio lasciar passare l’uomo e restarsene nascosta finché il rumore dei motori non la informerà che la banda ha abbandonato la zona.

Sì, è questo che farà.

Il cuore, però, salta un battito quando il volto del pescatore prende forma dietro le canne. È José Manuel, il vedovo di Araceli Arrieta, il tizio che solo qualche ora prima hanno fatto uscire di prigione.

D’un tratto le connessioni accelerano, non è più un consumatore qualunque, ma un collaboratore dei narcos. Questo cambia tutto.

Cestero non ci pensa due volte. Appena l’uomo passa accanto al suo nascondiglio, si getta su di lui e lo abbatte, coprendogli immediatamente la bocca con la mano.

«Ti ricordi di me?»

L’uomo annuisce muovendo lentamente la testa. I suoi occhi sono spalancati. Ha paura di lei.

«Qui non mi vedrà nessuno se ti sparo un colpo in mezzo agli occhi», sibila la ertzaina mostrandogli l’arma.

«Per favore, non l’ho uccisa io», si difende José Manuel appena riesce a parlare.

«Certo che l’hai fatto. Araceli è morta molti anni fa, il giorno in cui l’uomo che amava è diventato il suo peggior incubo. L’hai uccisa. Lentamente, mille volte. L’hai uccisa ogni volta che le spegnevi una sigaretta sulla pelle, ogni volta che la picchiavi, ogni volta che gettavi a terra il cibo che ti aveva preparato, ogni volta che la sottomettevi al terrore del ricatto.»

«Io non l’ho buttata dalla finestra. La amavo.»

«No, certo che non la amavi. Io stessa ho visto le bruciature sul suo petto. Erano anni che la torturavi. Sei un figlio di puttana, e io ora la faccio finita con te.»

Le labbra di José Manuel tremano sentendo la pressione sempre più forte dell’arma sulla tempia. Sa che Cestero parla sul serio.

«Per favore, no. Non ero io. La droga mi ha rovinato la vita.»

«Che cosa ci fai qui?», chiede la ertzaina. Le sue parole stillano un odio viscerale.

«Pesco.»

La ertzaina preme l’arma ancor di più su di lui.

«Non prenderti gioco di me. O mi dici la verità, o ti faccio saltare le cervella.»

«È la verità. Stavo pescando. Ho la canna proprio lì.»

«Se questa è la verità ti meriti di morire. Tua moglie appena seppellita e tu se già qui a godertela, eh?», tuona con disprezzo. «Dimmi subito che cosa stai facendo qui.»

La faccia dell’uomo si torce in una smorfia di dolore. Gli sta facendo male con la canna della pistola.

«Non posso parlare. Mi uccideranno. Gli devo un sacco di soldi.» Non parla, balbetta. È terrorizzato.

«Per questo hanno ucciso tua moglie?», chiede Cestero. «E tu vieni pure qui ad aiutarli!»

«Non ho alternative. Non sai di cosa cazzo sono capaci».

«E tu? Sai di che cosa sono capace io? Se al commissariato, con tanto di testimoni, ti ho fatto quello che ti ho fatto, che cosa mi impedisce di spararti ora? Pum!», minaccia, consapevole che da un momento all’altro gli uomini torneranno indietro, non vedendolo arrivare.

José Manuel chiude gli occhi e piagnucola come un bambino spaventato.

«Mi proteggerete se collaboro?»

La ertzaina inarca le labbra in una smorfia di disgusto.

«Vedremo. Sono stati loro a uccidere tua moglie?»

«Non lo so. È possibile. Mi minacciano da tempo.»

«Perché?»

«Gli devo dei soldi, cazzo. Te l’ho già detto.»

«Spiegati meglio. Su, non ho tutta la notte a disposizione», lo incalza Ane voltandosi verso il sentiero. Non c’è nessuno in vista, ma potrebbero apparire in qualsiasi momento.

Il tizio scuote la testa. Le lacrime gli danno un aspetto patetico.

«Sto parlando troppo. Avrò dei problemi.»

«Parla o... Pum!», insiste la ertzaina premendogli l’arma sulla tempia.

«Be’, sparami un colpo. Fallo, su. Preferisco morire che farmi torturare da quelli.»

«Sai cosa devi fare. Se mi dici che cosa sta succedendo non ti torceranno un capello.»

«Come faccio a essere sicuro che manterrai la promessa?»

«Hai solo due alternative: credermi o morire.»

L’uomo guarda di sbieco l’arma e sospira, rassegnato.

«Io sono l’ultima ruota del carro, non so niente.»

«Qual è la tua missione?»

«Solo recuperare un fagotto e portarlo al mulino.»

Cestero sa che ha appena ottenuto un’informazione cruciale.

«Al mulino il tuo lavoro è finito?»

«Lascio lì il pacchetto e me ne vado a casa. E così saldo il mio debito. Gli altri li pagano.»

Il mulino è la loro base. Da lì la droga verrà distribuita con macchine, moto o falsi furgoni per consegne con il doppio fondo. Un classico.

«Come sai quando c’è uno sbarco?»

«Non lo sappiamo. A volte passa solo un giorno tra uno e l’altro, a volte intere settimane... Veniamo qui, facciamo finta di pescare e, se siamo fortunati, passa il gommone e lascia cadere i pacchetti. Altrimenti, bisogna tornare il giorno successivo. Ma oggi ero sicuro che sarebbero passati, c’era più movimento del solito. E normalmente vuol dire che ci sarà una ricompensa.»

«Quanti corrieri siete?»

«Sette, otto, dieci... Dipende dai giorni. Pagano bene.»

«Chi sono?» Quando si accorge che lui non ha capito la domanda, Cestero puntualizza: «Quelli del mulino, i capi».

«Non ne ho idea. Dicono di essere galiziani, non so altro.» Cestero preme con forza la pistola sulla sua tempia. Basta questo a far capire a José Manuel che non finisce lì. «Meirás. È così che si fa chiamare il capo, un tipo inquietante.»

La ertzaina fa in modo di annotare mentalmente il nome.

«E i pescatori come te?»

«Non so... In questo ambiente è sempre meglio non sapere. Dicono che li reclutano tra i pescatori di frodo. Guadagnano di più così.»

Cestero annuisce, soddisfatta. Ha abbastanza informazioni.

«Ora torna con gli altri e non aprire bocca o sei morto. Non credere che mi farò bastare la galera per un rifiuto umano come te.»

«Sono morto in ogni caso. Non mi crederanno mai. Ci ho messo troppo tempo a rientrare. Gli altri saranno già arrivati al mulino.»

Cestero sa che ha ragione. Si maledice tra i denti prima di dargli un calcio in pancia con tutte le sue forze. L’uomo cade di schiena nel canale e si sbraccia angosciato per uscirne. Quando ci riesce, è zuppo e coperto di fango dalla testa ai piedi. I rovi del canale gli hanno anche procurato un profondo graffio sulla guancia destra.

«Ora ti crederanno. Sei così patetico che non si stupiranno di sapere che sei inciampato e caduto in acqua.»

L’uomo borbotta un insulto che Cestero non riesce a decifrare. Né le importa farlo. Ha ottenuto un’informazione che le sarà molto utile per il viaggio in Galizia che la attende domani: spera che quella trasferta metterà fine agli omicidi.

La danza dei tulipani
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