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29 ottobre 2018, lunedì

Julia tamburella con le dita sul legno della ruota. Forse si sono dimenticate che è lì in attesa. Quanto tempo è passato da quando la monaca è andata a cercare suor Teresa? È difficile calcolarlo nella penombra di un ingresso in cui l’unica nota di colore è una dolente immagine della Vergine Maria. In ogni caso, è troppo. Se Cestero fosse lì avrebbe già insistito con il campanello. Per fortuna ha optato per restare in commissariato e risparmiarsi di perdere la pazienza.

Sorride pensando alla collega. Le è simpatica. All’inizio il fatto che fosse così impulsiva la metteva un po’ a disagio, ma ora comincia ad abituarsi, e in qualche modo ha la sensazione che si completino a vicenda. Con Cestero tutto è adesso, e senza tante smancerie; Julia invece preferisce lasciar passare il primo impulso e analizzare con calma le conseguenze di ogni mossa.

Le giunge un mormorio da dietro la ruota. Una preghiera ripetuta in continuazione da un coro di voci lontane. La ertzaina cerca di decifrarne qualche parola. Impossibile. Eppure, il ritmo è inconfondibile.

«Il rosario», sospira.

Se deve aspettare che finiscano di dire il rosario sarà meglio armarsi di pazienza. Le torna in mente Cestero. Stavolta ha la sensazione che i metodi della sottufficiale siano più azzeccati.

Suona il campanello. Non una, ma due volte.

Dei passi frettolosi si avvicinano dall’altro lato della parete.

«Sia lodato Gesù Cristo.»

«Sempre sia lodato», risponde Julia di malavoglia. «Sorella, sto aspettando da mezz’ora che suor Teresa mi riceva.»

«Sì. Scusa. Mi ha chiesto di dirti che non è riuscita a trovare nulla.»

Julia fa un respiro profondo. Cerca di contare fino a dieci, ma arriva solo al quattro.

«Le dica di venire qui, subito», sbotta, sorprendendosi del tono delle sue stesse parole.

«Siamo in piena preghiera.»

«Non lo eravate quando l’ho cercata la prima volta.»

La suora resta in silenzio per qualche istante.

«Aspetta qui», dice finalmente prima di ritirarsi.

Di nuovo i passi e di nuovo quell’attesa snervante.

Julia è avvilita. Non è il giorno migliore per farle perdere la pazienza. Ha dormito male, se quel suo chiudere gli occhi a tratti può dirsi dormire. L’immagine di Olaizola appeso nel bel mezzo del sentiero le ha fatto compagnia per tutta la notte con un tale realismo che le sembrava fosse nella stanza con lei. Non sa bene come sentirsi, visto che è stata lei a rivelare le irregolarità che hanno poi portato il commissario all’espulsione. Quelli della Scientifica le hanno confermato che l’unica impronta trovata a casa sua dopo l’apparizione del messaggio anonimo sul vetro coincide con quella di Olaizola. È stato proprio lui a volerla spaventare quella sera.

Julia non lo accusa di nulla, è solo dispiaciuta che il suo capo abbia perso di vista la retta via. Lei sa di aver agito correttamente, ma questo non basta a sentirsi bene con se stessa. Avrà bisogno di tempo per riuscirci.

Si sente di nuovo del movimento oltre la parete.

«Sia lodato...», la saluta una voce che riconosce immediatamente come quella di suor Teresa.

Julia non si sorprende di non essere invitata a sedersi in parlatorio. La religiosa non si dà nemmeno il disturbo di affacciarsi alla grata. Dovrà accontentarsi di parlare con lei attraverso la ruota.

«Non ha ancora preparato quella lista?», chiede la poliziotta senza perdere tempo in cerimonie.

«Mi dispiace, ma non è possibile. Colpa dei ladri, se la sono portata via. È l’unica cosa che hanno rubato la notte in cui la badessa è finita in coma.»

«Incredibile, un’altra cosa che non avete denunciato», si lamenta Julia. Il suo cellulare suona nello zaino e la obbliga ad alzare la voce per farsi sentire al di sopra della suoneria. «Di quante donne stiamo parlando?»

«Parecchie. Non saprei dirlo con certezza. Rispondi al telefono se vuoi.»

«Non si preoccupi. Mi dica, che cosa sa di quel progetto? Quante donne hanno partecipato? Chi lo organizzava?»

«Non lo so. La mia testa non è più quella di una volta... saranno state dieci all’anno. Mi pare che il 1980 sia stato l’ultimo anno, e il primo il ’75. O il ’74? Non lo so, figliola, questa testa... È l’età.»

La ertzaina sospira. Qualsiasi cifra superiore a tre è una cattiva notizia.

«E non c’è modo di sapere chi erano le ragazze di Lourdes? Mettete sottosopra l’intero monastero se è necessario. Sicuramente dev’esserci qualcosa, corrispondenza con le famiglie, fotografie... Qualsiasi cosa che ci serva a dare un nome a queste ragazze.»

«Vedrò quello che posso fare.»

Ma Julia di quella risposta non se ne fa nulla. Sa che nemmeno al commissariato sarà benvista.

«Sicuramente una delle sorelle ricorda ancora quei nomi. Parlatene, per favore. Abbiamo bisogno del vostro aiuto.»

Il telefono insiste a interrompere la conversazione. Chiunque sia la persona che sta chiamando, non può aspettare.

«Di quel periodo siamo rimaste solo la madre superiora e io. Le altre sono arrivate più tardi», avverte suor Teresa prima di assicurare che farà il possibile per trovare qualcosa che possa esserle di aiuto. La ertzaina capisce che non c’è nient’altro da fare.

«Mi chiami se riesce a trovare qualcosa. Le lascio il mio biglietto da visita nella ruota.»

«Non preoccuparti. Pregherò per te.»

Julia apre la bocca per dirle che invece di pregare tanto per lei sarebbe il caso che collaborasse un po’ di più, ma la richiude.

«Un momento», le dice la monaca sentendola aprire la porta che dà sulla strada.

Julia si ferma sui suoi passi.

«Le è venuto in mente qualcosa?», chiede speranzosa.

La ruota gira, riempiendo l’ingresso di stridii e cigolii.

«Prendi questo. Sono sicura che al commissariato vi ci vuole qualcosa che vi addolcisca un po’ la vita.»

La ertzaina è tentata di lasciare i pasticcini nella ruota, ma si obbliga a prenderli. Una scenata potrebbe solo peggiorare la situazione.

E il cellulare non la smette di suonare.

È Cestero e la cosa non lascia presagire nulla di buono. Sa che Julia è al monastero, è stata lei stessa a mandarla a prendere la lista.

«Ciao Ane.»

«Dove sei?»

«Sto uscendo dal monastero. Ho dei dolci per la colazione.»

Uno sbuffo della sottufficiale: «Ancora lì? Non ci posso credere. Dimmi che hai ottenuto la lista».

«Sono appena uscita. Ora dicono che quando sono entrati i ladri a rubare si sono portati via proprio le informazioni che stiamo cercando.»

«Che casualità!», protesta Cestero. «Devi tornare da quelle cospiratrici. Sono preoccupata perché è scomparsa un’altra donna a Busturia.»

«Cosa dici? Quando?»

«Charo Etxebeste. Avrebbe dovuto aprire il suo banco al mercato di Gernika tre ore fa e non è ancora arrivata. È uscita di casa al solito orario», spiega la sottufficiale in fretta e furia. «Forse sono paranoica, ma potrebbe essere nelle mani dell’assassino in questo momento. Se i miei sospetti sono giusti, il suo nome sarebbe in quella lista.»

«Aspetta, torno a chiedere.»

Julia suona di nuovo il campanello, che trilla stridente oltre la ruota.

«Sia lodato Gesù Cristo.» È la voce dell’anziana.

«Charo Etxebeste», tuona la ertzaina a bruciapelo. «Non ricorda nemmeno questo nome?»

«Dovrei?»

«Questa donna è appena scomparsa. Temiamo che possa essere un’altra delle ragazze di Lourdes.»

Il silenzio della suora è deludente, ancora una volta. È tremendo non poterla guardare in faccia per sapere se la notizia le suscita qualche emozione.

«Che cosa dice?», Cestero incalza attraverso l’auricolare.

«Era una di loro?», insiste Julia.

La religiosa tarda ancora qualche secondo a rispondere.

«Sono passati quasi quarant’anni. Come faccio a ricordarmi una cosa del genere? Certo, ci sarà stata qualche Charo, e qualche María, e qualche Maite... Etxebeste? Non lo so. Mi piacerebbe aiutarvi ma non posso. È davvero un peccato che ci abbiano rubato quelle carte.»

Le sue parole sembrano sincere ma non riescono a convincere Julia. Né Cestero, che protesta dal telefono.

«Dille che se verrà confermato che è una delle ragazze di Lourdes mi occuperò io personalmente di rivoltare il monastero da cima a fondo, in ogni angolo», strilla prima di interrompere la comunicazione.

Julia non ha bisogno di ripeterlo alla suora, che è riuscita a sentire tutto nonostante la distanza.

«Pregheremo per lei. Non possiamo fare altro.»

La danza dei tulipani
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