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24 ottobre 2018, mercoledì

Appena Julia mette piede in commissariato si accorge che c’è qualcosa che non va. I colleghi che incrocia in corridoio la scrutano carichi di preoccupazione.

«Guarda», la saluta Txema, girando verso di lei lo schermo del computer. Il suo volto dice tutto, è furioso.

La ertzaina si riconosce all’istante. La muta nera che copre ogni centimetro del suo corpo, i capelli zuppi che le cadono disordinati sulle spalle, la tavola da surf sotto il braccio. Le basta guardare quell’immagine per sentire di nuovo il sapore salino in bocca. Libertà. Eppure, il titolo che la accompagna è tremendo:

LA POLIZIOTTA FA SURF

MENTRE A GERNIKA AUMENTANO LE VITTIME

Poco più su, il logo dell’emittente lascia pochi dubbi. È l’account Twitter di Radio Gernika.

«Che figlio di puttana!»

«La tua foto è diventata virale: un membro della squadra investigativa che fa surf invece di dedicarsi a dare la caccia ai cattivi. Immaginati l’effetto sulla gente della zona. Se non altro sei venuta benissimo...», aggiunge il sottufficiale, scorrendo la pagina web fino in fondo.

Julia vede apparire decine di commenti. Non perde tempo a leggerli tutti, ma una rapida occhiata le basta per capire che non sono gradevoli. I pochi che non si soffermano a criticare la scarsa diligenza della ertzaina ne commentano l’aspetto fisico, trasformandola di colpo in un’icona sexy.

«Ha cercato di corrompermi per avere aggiornamenti sull’indagine e siccome io non ho ceduto ora pubblica questa schifezza», spiega, furiosa.

Il sottufficiale si schiarisce la voce prima di chiedere: «Chi è?».

«Aimar Berasarte.»

Julia gli racconta di aver incontrato sulla spiaggia il giornalista che sostituisce Natalia Etxano: gli parla del suo tentativo di ottenere informazioni vietate agli altri, dell’insinuazione sul fatto che lei avrebbe potuto guadagnarci in immagine.

«È un arrivista. Lo è sempre stato», riassume. Perché entrare nei dettagli e spiegargli che già ai tempi della scuola Aimar cercava a ogni costo di mettere i piedi in testa agli altri?

«Be’, la morte di Natalia è un’occasione d’oro per lui», nota Txema. «Dalla sera alla mattina è diventato il conduttore del programma più ascoltato in tutta Urdaibai, e per di più c’è il morboso interesse per l’omicidio della sua collega. È evidente che non gliene frega molto di calpestare i cadaveri che trova sulla sua strada.»

Si sentono dei passi. È Cestero, che appende l’impermeabile e si avvicina a loro sbuffando.

«Cosa vogliono questi di Radio Gernika? Ora non possiamo nemmeno fare quello che ci va nel nostro tempo libero...», esclama.

«Mi dispiace», mormora Julia, mentre dentro di lei il senso di colpa lotta con l’irritazione.

«Che non ti venga in mente di scusarti per una cosa del genere», la rimprovera Ane, con il volto segnato dalle occhiaie. «Voglio sapere tutto su questo tizio. Soprattutto voglio sapere se ha un alibi. La morte del suo capo gli ha dato una popolarità che bramava da tempo. E sembra che gli piacciano i social network... Non dimentichiamoci che il crimine del treno è stato trasmesso in diretta Facebook.»

Silvia è appena arrivata. L’aroma pungente del caffè che ha in mano si diffonde nella stanza.

«A molti assassini piace stare al centro dell’attenzione. Alcuni sono capaci di tutto per vanità e protagonismo. Potremmo essere di fronte a un caso del genere», suggerisce tra un sorso e l’altro.

Cestero batte le nocche sul tavolo.

«Peggio per lui. Se vuole metterci una bomba sotto i piedi, se la vedrà esplodere sul muso», tuona con decisione.

Txema annuisce. Gli piace l’idea. A Julia pure.

«Hai fatto uscire il marito di Araceli Arrieta?», chiede la sottufficiale.

«Sì, proprio ora», risponde Txema. «Parecchie novità per un giorno solo, no? Il caso è completamente sconvolto. Che ne pensate di questa storia della Galizia?»

«Spero tanto che sia uno stratagemma per vendere più giornali, altrimenti significa che dobbiamo vedercela con un assassino che si muove per tutto il paese», confessa Cestero arricciando le labbra. «Aitor sta parlando con la Guardia Civil1. Magari è solo un caso. Certi giornalisti sono capaci di trovare legami anche dove non ci sono. Quanto più morbose si fanno le storie, più soldi ci girano intorno.»

«Magari fosse solo questo», mormora Julia. Non le è mai capitato di lavorare a un caso con ramificazioni fuori dalla giurisdizione della Ertzaintza, ma sa che non sarà facile. La burocrazia renderà tutto più lento e farraginoso.

«I tempi non tornano», nota Silvia. «Se siamo di fronte a un serial killer è molto strano che abbia lasciato passare tre mesi tra un crimine e l’altro, e solo cinque giorni tra i due successivi.»

Non hanno tempo di discuterne ulteriormente, perché Aitor entra dalla porta in fondo alla stanza.

«Che storia allucinante... Non ci crederete mai», annuncia appoggiandosi al tavolo. I suoi colleghi lo incalzano con lo sguardo. «È successo durante una festa religiosa. Avete mai sentito parlare della romería de los muertos?» Attende una risposta che non arriva. «Io nemmeno. Ebbene, si tratta di una processione in un villaggio sperduto della provincia di Pontevedra, Santa Marta de Ribarteme. La cosa curiosa è che i fedeli si sdraiano nelle casse da morto per essere trasportati a spalla, simulando il proprio funerale.»

«Ma cosa dici?! Sul serio?», chiede Cestero. Ora capisce l’immagine del feretro aperto che qualcuno ha fatto arrivare ai media.

Txema ha digitato qualcosa nel motore di ricerca e ora le immagini di quel tetro rituale riempiono lo schermo.

«Ci vuole un bel coraggio a fare una cosa del genere», interviene Julia, le persone che sfilano nelle casse le sembrano dei veri e propri cadaveri.

«Be’, la vittima era una di loro. Alla fine della processione si sono accorti che era morta per davvero. E aveva quel maledetto tulipano sul petto.»

«Cazzo!» esclama Cestero, immaginando la reazione della stampa.

«Subito hanno pensato a un infarto o a qualcosa del genere, ma l’autopsia ha rivelato che la morte era avvenuta per avvelenamento», continua Aitor. «Tetradotossina, il veleno del pesce palla. Qualcuno ne ha nascosto un’ampollina nella fodera della cassa. Un ago ipodermico ha fatto il resto, uccidendola in silenzio.»

«E la donna non ha reagito quando è stata punta?»

Aitor scrolla le spalle. Non è riuscito a ottenere altre informazioni per telefono.

Julia guarda Cestero, in attesa. Che strada devono seguire adesso?

La sottufficiale rimane per qualche istante in silenzio. Ha lo sguardo perso sullo schermo del computer, che continua a mostrare un’immagine della processione dei morti, anche se sembra non vedere nulla.

«Domani vado in Galizia», annuncia alla fine. Nonostante lo dica con tono deciso, non è sicura che i suoi superiori possano attivare le procedure necessarie così in fretta. La collaborazione tra i vari corpi di Polizia è tediosa e complessa.

«E noi?», chiede Txema.

«Voi ne avete già abbastanza qui», decide Cestero. «Ci sono troppi fronti aperti. Parlate con le famiglie. Abbiamo bisogno di stabilire dei legami tra Natalia e Araceli e capire se qualcosa le collega al caso della processione. Julia, tu vai a parlare con la famiglia della giornalista; Txema, tu con i parenti di Araceli.»

«E Aitor?», chiede il sottufficiale con espressione contrariata.

Cestero arriccia le labbra. Per un attimo sembra che sia sul punto di rispondergli male, ma poi si ricompone.

«Voglio che Aitor stia addosso a Berasarte. E meglio se facendo un po’ di rumore, in modo che sappia di essere nel nostro mirino. Così ci penserà due volte prima di diffamare ancora Julia o chiunque di noi.»

Txema non ha finito: «E tu?» chiede, guardando l’orologio. La sua espressione sembra volerle ricordare che la giornata è appena cominciata.

Julia guarda altrove, imbarazzata. A che gioco sta giocando il suo collega?

«Io?», lo sfida Cestero. «Io continuo a gestire quest’unità, anche se a quanto pare a qualcuno dà fastidio.» Una pausa che ogni regista avrebbe riempito con un digrignare di denti. «Se non ti dispiace, io cercherò di verificare se c’è davvero una banda di narcos attiva nell’estuario. Quello sarebbe un ulteriore legame tra le due vittime, un po’ debole, ma comunque un legame. Natalia denunciava il narcotraffico e Araceli è la moglie di un tossicodipendente. Non sarebbe strano che il tizio spacciasse per pagarsi le dosi e che avesse dei conti in sospeso con la banda.»

«Un po’ preso per i capelli, ma è meglio di niente», ammette Aitor.

«Il tipo di crimine potrebbe essere compatibile con il traffico di droga. L’uso della paura per la paura, con l’obiettivo di controllare le zone di attività. E gli estuari galiziani entrerebbero appieno in uno scenario del genere. La vittima galiziana potrebbe essere un’altra donna da mettere a tacere o della quale vendicarsi e il tulipano, un avviso ai naviganti», argomenta Cestero.

«Per il momento non abbiamo trovato alcuna prova dell’esistenza di una rete di narcotrafficanti di queste proporzioni a Urdaibai», dissente Julia.

Qualcosa nell’espressione di Cestero le dice che non sta raccontando proprio tutto. La sottufficiale apre la bocca come se fosse sul punto di parlare, e la richiude subito dopo.

«Che ne pensate della questione dei terreni per il nuovo museo?», chiede Aitor. Sta cercando di salvare in corner la sua superiore o cambia argomento? «Alcuni sono convinti che ci siano molti soldi in gioco.»

Txema fa segno di no con la testa.

«Hmm, le notizie arrivate dalla Galizia sembrano portarci in un’altra direzione...»

«E anche altri elementi», interviene Silvia. «Siamo di fronte a un assassino metodico, calcolatore, con una firma e una messinscena curate. Non mi quadra con il profilo di un costruttore che uccide per semplici interessi economici.»

«Vero, ma è nostra responsabilità far luce anche su questo. Magari senza dedicarci troppo tempo, però», ammette Cestero. «Chi sta comprando quei terreni? Chi sta valutando i possibili siti di costruzione? Te ne occupi tu, Julia?»

L’agente evita di mostrarsi seccata, ma non riceve l’incarico di buon grado. Se la sottufficiale non lo considera un movente possibile, perché perderci tempo?

Cestero si volta verso Aitor.

«E tu continua a lavorare anche sul commissario. Non possiamo scartarlo solo perché apparentemente non ha alcuna relazione con la seconda vittima. Ha ricevuto qualche pacchetto negli ultimi giorni? Quei tulipani devono essere arrivati a Gernika in qualche modo. Julia... Per caso sai se Luis Olaizola è appassionato di giardinaggio?»

«Non è molto da lui. Parla sempre di andare a pescare. È più un tipo da mare che da terra.»

La sottufficiale oscilla leggermente la testa, si stringe nelle spalle e sospira. Le si legge in faccia l’incertezza.

«Bisognerebbe cercare eventuali coltivazioni di tulipani», decide. «E non sarà facile. Perché fioriscano in questa stagione devono essere cresciuti in un ambiente chiuso e climatizzato. Credo che Aitor ci possa dire qualcosa di più sull’argomento.»

Il suo collega apre un quaderno e consulta uno schema scritto a penna.

«Sì, mi sono documentato e devo dire che l’argomento è piuttosto interessante. Non si tratta di un fiore semplice. Al contrario, la sua coltivazione richiede delle cure che scoraggerebbero chiunque non sia molto paziente.» A questo punto alza lo sguardo verso Cestero e le fa l’occhiolino. La sottufficiale ricambia il sorriso. No, lei non potrebbe nemmeno provarci. «Il nostro assassino, se davvero li ha coltivati personalmente, avrà avuto bisogno di un buon sistema di climatizzazione. Nelle prime settimane, oltre a un’oscurità quasi assoluta, i bulbi hanno bisogno di una temperatura costante di otto gradi centigradi. E questo in piena estate, non dimentichiamoci che per fiorire in questo periodo dell’anno devono esser stati piantati durante la stagione estiva.»

«Fanculo i tulipani...», borbotta Txema.

«Eh, ed è solo l’inizio. Non voglio annoiarvi, ma ci sarebbe molto altro», ammette Aitor sfogliando le pagine del quaderno. «Bisogna fare attenzione all’umidità, alla qualità del terreno, alla fertilizzazione... Una volta finita la fase fredda, hanno bisogno di luce e di una temperatura di quattordici gradi. E così per un’altra stagione, finché non si decide di forzare la fioritura.»

«Che si otterrà alzando ulteriormente la temperatura», butta lì Julia.

«Esatto. Ma solo per qualche ora al giorno, per simulare l’alternanza tra giorno e notte. Con l’illuminazione si fa lo stesso. Durante le ore di sole, si potenzia al massimo, e poi oscurità totale.» Aitor legge alcuni appunti fra sé e sé, e scuote la testa. «Complicato, molto complicato. Devo dire che l’idea di provare mi stuzzica, lo ammetto.»

«Io non ci penso nemmeno!», esclama Cestero.

«E poi non vi ho parlato dei possibili parassiti, dei virus e di altri problemi che possono sorgere...»

Silvia ha scarabocchiato qualche appunto alla lavagna e si gira verso gli altri.

«Tutto questo ci dà indizi molto interessanti sull’assassino che cerchiamo. È paziente e meticoloso. Deve prendersi cura della sua creazione per mesi per ottenere il fiore che desidera. Non è il tipo da lasciarsi andare all’improvvisazione.»

«Il che per noi è un male», ammette Cestero.

«Avrà pur lasciato qualche indizio», le fa coraggio Julia. «Dovremmo iniziare a cercare serre o qualcosa di simile.»

Aitor arriccia le labbra.

«Potrebbe aver usato un semplice ripostiglio, un garage... Gli basta avere luce e un’atmosfera controllata...»

«E se mettessimo i colleghi del commissariato a fare questa ricerca?», propone Julia. «Noi non possiamo occuparci di tutto.»

«Ci odiano», segnala Cestero.

«Non è vero. Sono solo dispiaciuti per la mancanza di fiducia che i superiori hanno dimostrato nei loro confronti», ribatte Julia.

«Chi ci odia?» La voce arriva dal corridoio.

Tutti si girano in quella direzione.

«E tu che cosa ci fai qui?», chiede la sottufficiale, con lo stupore dipinto in volto.

Julia non può evitare di ridere.

«Vi conoscete?» chiede, prendendo per la spalla l’ultimo arrivato. «Come fai a essere sempre così sul pezzo? Una ragazza nuova in ufficio e viene fuori che hai già tirato degli ami.»

«Ma...», Cestero continua a non capire. «Come sei entrato?»

Ora è lui a scoppiare in una risata.

«Sono un poliziotto. Lavoro in questo commissariato. Sono uno di quelli vi odiano, a quanto pare.»

Julia puntualizza: «È il mio partner. Sul lavoro, eh, che io con questo non voglio avere niente a che fare. Se non mi avessero scelta per questa unità, starei lavorando a qualche caso con lui».

Raúl si allontana fingendosi arrabbiato.

«Perché mi dipingi così male? Se sono un sant’uomo.»

«Santissimo», commenta Julia ridendo e dandogli un bacio sulla guancia. «Come collega sei il migliore, di questo non posso lamentarmi.»

«E quindi... la storia dei tatuaggi?», chiede Cestero.

Julia ride di nuovo. Ha la sensazione che sarebbe in grado di trascrivere parola per parola la conversazione che Raúl e la sottufficiale hanno avuto al bar, con tanto di punti e virgole. L’ha visto in azione troppe volte, non può sbagliarsi.

«In realtà lo studio lo segue il mio socio. L’abbiamo aperto insieme, ma da quando io ho avuto il posto in Polizia se n’è occupato principalmente lui. Io gli do una mano ogni volta che posso», spiega Raúl.

La sottufficiale accenna finalmente un sorriso e sospira.

«Me l’hai fatta.»

Il tatuatore fa un gesto di vittoria.

«Un agente semplice contro la responsabile di un’unità speciale...»

Txema si schiarisce la gola per ricordare a tutti dove si trovano. Poi si stringe il nodo alla cravatta e si volta.

«Ditemelo quando avrete finito di flirtare e potremo riprendere a lavorare», commenta rivolto al suo computer.

1. La Polizia spagnola

La danza dei tulipani
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