Trentanove

Era venuto il momento di parlarne ad Antonio Giussani, per avere il suo parere. Il processo contro Galasso ed eventuali coimputati vedeva la famiglia Notarnicola coinvolta come parte civile. Il resto si sarebbe sviluppato nel corso del processo.

«Bravo, hai capito».

«Un altro matto affogato?» chiese, sedendosi al tavolo degli scacchi. Ma non era allegro.

«No, Gilardi. Non scherziamo. Qui non si tratta di un ragazzo trovato morto ammazzato in un posto cretino, da un imbecille nevrotico. Qui le cose sono serie. Tu sei fuori da molto tempo, lasciati consigliare da chi ne sa più di te. Tu sei l’avvocato di fiducia della parte lesa, ma resta un passo indietro. Sei amico dei Notarnicola, come me, come la Prati, come altri rispettabili. Forse non è tutto chiaro. Stai attento alla ragazza, lei davvero non c’entra niente. Se puoi, toglila dal giro».

«Secondo lei…»

«Siamo in guerra, amico mio: diamoci del tu». Non particolarmente cordiale, soltanto preoccupato di farsi capire.

«Sì, grazie. Secondo te che cosa posso fare per tenere fuori la ragazza? Che a maggio, tra poco, si sposa con uno che conta, ma che è certamente fuori da questa mischia. O no?»

«Fuori, fuori. I De Angelis hanno le mani pulite. Qui sono in tanti ad avere le mani pulite, che diamine. Adesso siamo tutti nella…? Che diamine. C’è gente onesta anche qui. Mica è come la scarlattina, che te la prendi anche se non vuoi. Qui, se vuoi esserci devi volerlo: capito? Tieni fuori la ragazza, il modo trovalo tu. Che ceda tutta la baracca».

«Non è così semplice, Giussani. Prova a immaginarlo: il cantiere è in piedi da oltre trent’anni, a chi lo cede? Al Comune o alla Regione che non hanno soldi neppure per le monnezze? A un imprenditore che si accolla anche il passato? Accidenti… ma perché le cose non sono mai semplici?»

«Aspettavamo te». Rise, tossendo. «Avanti, siediti e scegli: bianco o nero?»

A un tratto della partita, che Giussani stava vincendo, al solito, il procuratore alzò la testa per fissare Max Gilardi.

«Davvero non hai capito niente?»

«Di che cosa?»

«Di quello che sta succedendo?» Non attese risposta. «Abbiamo le intercettazioni…»

«Ancora?»

«Ihh! Se fanno comodo… e qui fanno molto comodo, dai retta. La Squadra Mobile ha sequestrato in Calabria beni per settecento milioni di euro, hai idea di quanto sono? E ci sono altri sequestri qui in Campania. Spada c’è dentro fino al collo. Al collo, capisci? Anche lui, milioni e milioni rubati. Prestati. Riscossi. Favori…»

Alzava a ogni parola il tono e l’affanno. Era diventato rosso in viso, congestionato.

«Ma dove li hanno sistemati?»

«Una grande gelateria nel posto meno probabile, tipo galleria a Milano. Apertura, non funziona, chiusura. Emporio o supermercato a Torino: se non va si chiude, ma se anche perde non importa. Capisci? I soldi li fanno qui e li investono al nord. Un giro di miliardi. Ma adesso hanno finito».

«Davvero?»

«In galera, tutti in galera questi farabutti. E anche Notarnicola aveva avuto favori… molti favori». Stava riabbassando il tono, e si passò il fazzoletto sulla fronte. «Capisci ora perché lo tenevano d’occhio da tempo? Capisci perché gli hanno ammazzato il figlio? Una lezione, perché lui, ora che era diventato ricco e importante, voleva togliersi e il ragazzo voleva andarsene. Lui credeva di essere furbo… un minchione, pure lui. Si è fatto saltare credendo di essere furbo. Un minchione».

«E adesso, se posso chiederlo?»

«Certo che puoi. Adesso sequestreranno i due cantieri, magari non subito, ma lo faranno. Aspetta e vedrai. La Squadra Mobile e l’antimafia sono già in funzione. E il giudice Malaspina di Palermo, è lui il capo: lo conosci?»

«Per sentito dire. Ho letto i suoi libri».

«Ecco, lui. Scrive libri ma è uno determinato e vuole vincere. Giuraci».

«E io che cosa posso fare, Giussani? Non voglio mettermi contro i Notarnicola, non posso, non sarei sereno. So troppo poco per essere utile, ma non potete mettermi contro di loro». Lo guardò perplesso perché non rispondeva. «Altro matto affogato, Giussani? È così?»

Il procuratore sorrise. «Una cosa la puoi fare: tenere fuori la ragazza».

«Qualunque cosa sappia, e ne dubito fortemente, certo non verrà a dirla proprio a me».

«Almeno provaci. Lo fai per aiutarla, non per andarle contro. Questo lo capirà».

«Lo lascerai giudicare a me?»

Giussani fece di sì con la testa. «Adesso gioca, muovi, tocca a te». Ci ripensò, perché aggiunse: «Non parlarne con nessuno. Mai, hai capito? Più stiamo con la bocca chiusa meglio è per tutti… ma che cosa fai? Mi muovi l’Alfiere?»

Ora avrebbe dovuto dirlo a Elena. Avrebbe dovuto cercare le parole per dirle che doveva cedere il cantiere, cercando di non ferirla. Ancora una volta doveva fidarsi di lui.

 

Per il momento fece la cosa più semplice, invitò Giacomo a casa. Non avrebbe detto niente di quello di cui aveva discusso con Giussani, ma forse sarebbe riuscito a farlo parlare.

«A che punto sono le indagini?» domandò.

«Al punto… dove vuoi che siano? Hanno indiziato Spada per simulazione di reato».

«Che cosa ha simulato quel fetente?»

«Aveva denunciato circa due anni fa un furto di incartamenti, fatture e altro… che secondo lui avrebbero dimostrato la liceità del suo operato negli acquisti di terreni, immobili e di altre opere… balle!»

«Non era vero?»

«No. Adesso è agli arresti domiciliari, la notizia verrà fuori domani. Il nucleo speciale della polizia valutaria gli ha notificato anche una denuncia di peculato: e due. E siamo all’inizio. Morandini è pronto, peculato e reato mafioso: e lo incastreranno finalmente. E ora dovrà sputare la verità. Altro che politica, vedrai: lo lasceranno andare a fondo da solo. Morandini non molla di sicuro».

Max Gilardi prese la napoletana. «Vuoi altro caffè?»

«No, va bene così. Grazie, sai… Sono due anni che gli stanno addosso ed è sempre scivolato via. Lui ha fatto avere i soldi e le sovvenzioni ai Notarnicola. Tutti i permessi, le concessioni, gli appalti. In cambio di voti, qui e in Puglia, e di tanti soldi, gli interessi, con le navi che andavano all’estero. I due cantieri sono soltanto di nome dei Notarnicola, e ora della figlia. In effetti sono sporchi fino all’orlo».

«Elena dovrebbe saperlo?» Giussani gli aveva raccomandato di non parlarne con nessuno, ma se lo avesse zittito l’altro avrebbe capito che lui qualcosa sapeva. Cercò quindi di assecondarlo.

«Forse no. L’ingegner Semini da una parte e un certo Accursi, capo cantiere, dell’altro: sono mani loro. Ti rendi conto di che cosa c’è sotto?»

«No, sinceramente. Mi stai facendo girare i santissimi». Versò altro caffè nelle loro tazze. «Sequestreranno tutto, immagino».

«Certo. Non domani, ma arriveranno a dimostrare chi c’è dietro. Adesso so per certo che Alessandro l’aveva scoperto e voleva liberarsene».

«Come fai a esserne sicuro?»

«Max! L’hai scoperto proprio tu. Quel ragazzo, con le lettere e le fotografie, ha voluto lasciarci una traccia. Aveva paura. Stava fuggendo e l’hanno fermato».

«Quindi, Galasso…»

«Hanno saputo che voleva andarsene e l’hanno fermato. Gli hanno fatto piazzare una bomba nella barca…»

«Con l’intenzione di ucciderlo?»

Giacomo Cataldo scosse la testa con una smorfia. «Forse no, forse in questo Galasso dice la verità. La bomba doveva spaventarlo, farlo tornare sulle sue decisioni. Invece lo ha ucciso. Forse c’è stato davvero un errore. Comunque, che importanza ha, che differenza fa?»

«Parecchia, direi».

«Sì, certo. Certo… Il ragazzo è morto. Ma forse avevano pensato che non sarebbe stato necessario ammazzarlo. Bastava spaventarlo per farlo fermare. Volevano solo questo: fermarlo. Non troppo chiasso, come invece c’è stato e come tu ne stai facendo ora. Una gallina dalle uova d’oro, il cantiere promette di andare bene con il brevetto di Alessandro, lo sapevi?» Max Gilardi fece di no con la testa. «Figurati se lo avrebbero lasciato scappare. L’hanno fermato. C’è di mezzo la politica. Fino al collo. Non si ottengono permessi e favori di quel genere senza la politica di mezzo. Guarda che quando dico politica non penso né a destra né a sinistra, qui hanno fatto tutto un mazzo. ’Na schifezza. Capisci il gioco? Davanti tutto regolare, e dietro le mani nella m… non farmi parlare, va’! Non farmi parlare».

Giacomo Cataldo si agitò sulla sedia, passandosi più volte la mano sulla fronte. Era sudato, e non faceva caldo.

«Che cosa vuoi da me?» domandò Max Gilardi, fissandolo.

«Niente, Max. Ti giuro, niente. Tu vai avanti, ma devi stare attento a te, fammi ’sto piacere. Stai attento. Se ci sarà odore di bruciato, ti avviserò. Siamo amici. A te ci tengo. Sei un bravo avvocato, Giussani ti stima…»

Era davvero un bravo avvocato? In tutti quei mesi, da quando aveva ripreso a fare l’avvocato a Napoli, aveva avuto poche occasioni di fare quello che si era proposto. I colleghi lo stimavano, era vero. Si era accorto che alcuni degli illustri PM storcevano il naso quando dall’altra parte del banco c’era lui. I giudici lo ascoltavano. A Costanza Prati piaceva discutere con lui, contraddirlo per cedere e dargli ragione. Qualche volta rideva con lui. Ed era bella.

Max Gilardi tornò a concentrarsi su quanto stava dicendogli Giacomo. Non gliel’avrebbe detto, ma anche lui stava facendo molta confusione. Come se sulla sua scacchiera avesse mescolato i Pedoni bianchi e neri, senza sapere da che parte spingerli. Le cose che Cataldo stava dicendogli avevano un solo obiettivo: dimostrare che i soldi dei Notarnicola erano sporchi.

«Stanno ballando milioni e milioni di euro e tante teste…» Stava dicendo Giacomo Cataldo, grattandosi il naso. «Voglio vedere come se la caverà la tua signora Chiapponi. Ma credo che lei sia fuori… comunque qualche schizzo in faccia se lo prenderà pure lei».

Max Gilardi fece di sì con la testa. Aveva saputo dalla professoressa D’Antoni che, dopo l’udienza di Milasi, Franca Chiapponi aveva avvicinato Gioia Bruni offrendole aiuto e affetto, come aveva promesso. Ne aveva parlato anche con la sua cliente, e l’aveva trovata inspiegabilmente felice di quella situazione. Sembrava decisa a proseguire in quel progetto.

«Bisognerebbe tirar fuori la ragazza e il bambino, quando sarà» disse, seguendo quel pensiero.

«Perché? Credi che la Chiapponi morirà di fame se il marito va in galera? Tornerà a Capodimonte, la sua fabbrica è sana e pulita. Se vuole la ragazza e il nipote, affari suoi… che se li tenga». Fissò Gilardi con un sorriso ironico. «O sei il paladino anche dell’innocente fanciulla?»

«E di chi altro?»

«Oh, della bella Elena… va là che un pensierino ce lo avevi fatto, rubacuori».

«Non dire scemenze, ti prego. Sono preoccupato per lei, ma è normale: è un’amica e anche una cliente. E le cose si stanno mettendo molto male».

«Temo di sì». Si alzò, facendo rumore con la sedia. «Comunque ti terrò informato, questo almeno te lo devo».

«Grazie, ci conto».

Ora non aveva le idee più chiare, ma almeno era riuscito a raccogliere le idee di tutti quelli che erano coinvolti in quella sporca faccenda. Ora toccava a lui. Doveva capire dove sbagliavano, perché di questo era sicuro: la verità era da un’altra parte.

 

Qualche sera dopo accettò l’invito a cena in casa De Angelis.

I De Angelis, di solito molto riservati, l’accolsero con la cordialità che si riserva agli amici intimi.

Luciano, eccessivamente espansivo, volle mostrargli l’appartamento dove avrebbero vissuto dopo il matrimonio. Al pianterreno sarebbero rimasti i genitori, e al primo piano sarebbero andati loro. Di due piani avrebbero fatto un grande loft, con le camere sopraelevate, in un gioco di vetri e di specchi. «Sono sicuro che ti piacerà, Elena ne è entusiasta».

«Sono scioccato. Davvero, una cosa simile non l’ho mai vista neppure nei film americani. Fantastico. Ma siamo quasi a maggio e non avete ancora cominciato».

«Tranquillo, per maggio sarà tutto pronto». Sembrava sicuro e molto soddisfatto del progetto che riguardava la casa. Nessun accenno, invece, alla cerimonia del matrimonio che avevano anticipato.

Elena rideva, sembrava eccitata. E lo guardava, attraverso la tavola, per capire se approvava il progetto di quella casa avveniristica e se lo condivideva. Fu allora che Max Gilardi disse che gli sarebbe piaciuto trovare un piccolo appartamento in centro città.

«Perché non prendi quello di Elena? Lo conosci, vero?»

Max guardò Elena: che cosa doveva rispondere? Che cosa sapeva Luciano?

Elena lo soccorse. «No, non gli piace. Per lui è piccolo e un po’ troppo femminile». Fece due smorfiette e tutti risero. «Le volte che è venuto a prendermi per uscire è rimasto rigido in anticamera con la puzza sotto il naso».

Complimenti: una scena degna dell’Actors Studio.

«Non è soltanto questo. Prima devo parlarne con mio padre, devo convincerlo. E poi mi piacerebbe avere l’appartamento e lo studio nello stesso stabile. Casa e studio insieme sono un vizio che non vorrei perdere».

«Ti aiuteremo a cercarlo, vedrai che qualcosa salterà fuori». Ne parlarono a lungo, sembravano tutti impegnati a dargli consigli per evitare di parlare di quel processo che in fondo, senza volerlo ammettere, li riguardava.

Mentre Elena e Luciano lo riaccompagnavano a casa, dovette dire anche a loro quello che si preparava a comunicare al dottor Morandini.

«Problemi?»

«No. Per il momento il processo è contro Salvatore Galasso ed eventuali coimputati. Credo di sapere tuttavia che le imputazioni siano molto più gravi e più estese di così».

«Più gravi della morte di due persone innocenti?» Elena sembrava scandalizzata. «Ma in che mondo viviamo?»

«Estese quanto?» domandò Luciano, riferendosi alle sue ultime parole.

Gilardi fece di sì con il capo. «Parecchio. Sì, stanno cadendo molte teste. Ci saranno ripercussioni, temo, anche sull’attività del cantiere. Purtroppo e per fortuna non siete responsabili né consapevoli di quello che è stato prima di voi».

«Certo che lo siamo. Mio padre era una persona onesta e per bene… che cosa vuoi dire?»

«Calma, tesoro. Max sta soltanto cercando di spiegarci il coinvolgimento di Galasso nelle indagini che riguardano la morte di Alessandro. Ho capito bene?»

«Sì, così». No, niente affatto così: pensò tra sé, ma non lo disse. Che cosa poteva fare per difendere quella ragazza dal mare di fango che probabilmente stava per rovesciarsi su di lei e sulla sua famiglia? E da dove era iniziata la valanga, dal padre o dal figlio? Chi era stato realmente colpevole, se soltanto lei era innocente?

Si salutarono meno allegri di come erano stati durante la serata. «Facci sapere» disse Luciano, senza specificare se si riferisse alla ricerca della casa o al processo.

«Naturalmente» rispose Max Gilardi. «Naturalmente».