Ventisei
Ci vollero otto giorni prima che Giacomo Cataldo si facesse vivo con un sms sul suo cellulare. Ho roba per te.
Era il suo modo per dirgli che aveva scoperto qualcosa che poteva servirgli.
«Che cosa?» gli chiese al telefono.
«Scusa, Max. Vengo io da te. Oggi».
Altre due ore, poi lo sentì finalmente ridere con Laura davanti alla macchinetta del caffè, e li raggiunse.
«Allora?»
«Allora, aspetta. Andiamo nel tuo studio».
Appena arrivati gli disse che aveva sorvegliato la casa di Milasi: orari, entrate e uscite, chi vedeva.
«Chi vede?»
«Una donna delle pulizie, mentre lui è a scuola, tre mattine la settimana. E quasi tutti i giorni tre o quattro ragazzi vanno da lui a ripetizione: questi» gli disse mostrandogli le fotografie dei ragazzi che Gilardi conosceva.
«Sì, me l’avevano detto».
«E questa». La fotografia di Gioia Bruni.
«Sapevo anche questo».
Giacomo Cataldo lo guardò di traverso. «Lo sapevi?»
«Sì, lo sapevo. Va’ avanti».
«Questa Gioia. Mi hai detto che volevi sapere che cosa faceva. Lei si ferma qualche volta fino alle sette di sera, più o meno regolarmente. Questo è quello che è successo in queste due settimane».
«Dev’essere ben ignorante in matematica» disse ridendo. «Ma il professore me l’aveva detto. Anche Roberto, un loro compagno. Non capisco perché, se la vede a casa sua per tutte quelle ore, mi abbia detto che non conosceva molto bene la ragazza».
«Tu che cosa pensi?»
«Non lo so, Giacomo. Che devo pensare? Che è ignorante in matematica».
«Hai chiesto sì o no di sapere che cosa faceva? L’hai chiesto?» Max Gilardi fece di sì, muovendo appena la testa. «E io te lo sto dicendo. Va a ripetizione tre o quattro volte la settimana e si ferma fino alle sette. L’avevi chiesto sì o no?» Stava perdendo la pazienza. E sbuffò.
«Sì, avevo pensato che dicesse di andare a ripetizione da Milasi e che invece facesse altro… avevo questo dubbio. Evidentemente sbagliavo». Stava mentendo, non era quello il dubbio che gli era venuto.
«Seguendo il tuo pensiero, ti credevi che avesse un altro amorazzo? Allora perché avrebbe sopportato le male parole di Carlo Spada, se aveva un altro? Stai andando fuori strada, vecchio mio». Era quasi contento di vederlo sbagliare.
Max Gilardi fece ancora di sì con la testa. «Completamente, sì».
«Allora?»
«Grazie, mi dispiace…»
«Ma mi dici che cosa ci rimugini ancora, con ’sta storia? Non ne sei uscito?»
«Sì, ma anche se sono fuori posso sempre fare due chiacchiere con la Santini, o no? Magari c’è qualcosa che lei non ha considerato».
«Ma questa Santini ti piace proprio, eh?»
«No, fuma troppo. Mi stuzzica invece questa storia».
«È che l’avresti voluta risolvere tu… Comunque qui c’è quello che mi hai chiesto. A mio parere niente di utile».
Stavano bisticciando come quando erano ragazzi e Max lo batteva con le tabelline. Sapevano da allora che al di là delle parole c’era una reciproca stima profonda.
«Un buon lavoro, grazie».
«Per te, lo sai… Invece: Brigida vorrebbe che tu venissi a mangiare da noi. Ora che sei avvocato…»
«Non dire sciocchezze. Invitami e ci vengo di corsa, chi se la perde la cucina di tua sorella?» E voltandosi verso Ricky e Laura aggiunse: «Di cuoche così s’è persa la razza… Diglielo che vengo. Diglielo, sai…»
Quando restarono soli, Ricky azzardò un’ipotesi. «Se davvero avesse avuto un altro e questo fosse stato geloso di Carlo…»
«Per favore, Ricky: in questo momento ho bisogno di domande intelligenti. Questo ipotetico amore come faceva a essere geloso di uno che non voleva neppure parlare alla ragazza? C’eri anche tu, l’hanno detto tutti. Avanti, ci vuole logica, e qui non ne trovo».
«Escludiamo la gelosia. Forse la ragazza gli ha detto di essere incinta…»
«Sì, questo sì… Questo è possibile».
«Magari non l’ha messa incinta Carlo. Ma perché l’avrebbero ammazzato?»
Max Gilardi fece di sì con la testa. Continuò a grattarsi la fronte, tenendo le labbra serrate. Quando si alzò dalla scrivania aveva cambiato espressione.
La sera di quello stesso giorno, Giacomo gli arrivò a casa dopo cena. Max Gilardi era in soggiorno, in un angolo davanti alla finestra, e stava giocando a scacchi da solo.
«Posso entrare?»
«Sì, vieni…»
Con Giacomo era entrata anche Liciuzza, con la birra e due caffè. «Serve altro, signor avvocato?»
«No, vai, grazie…» E a Giacomo: «Vieni, siediti».
«Ma giochi a scacchi da solo?»
«Si può, alcuni lo fanno. Io giocavo con mio nonno, è lui che mi ha insegnato. Poi con mio padre, ora con Giussani. Che è quasi imbattibile». Sorrise e scosse la testa, guardando la scacchiera. Stava sistemando nell’estremo angolo sinistro un Re nero, accanto a una Torre nera; davanti a questi due pezzi, due Pedoni neri. «Vedi, ti faccio vedere: questa è la famosa mossa del matto affogato… aspetta».
«E c’entra con il fatto che hai mollato il caso?»
«Più o meno, sì. È quello che sta capitando a me. Seguimi, guarda».
Subito sotto, al centro, piazzò un Cavallo bianco. «È anche la mossa del Cavallo matto, infatti». Giacomo fece una smorfia e ingollò una buona boccata di birra direttamente dalla bottiglia. Nell’ultimo quadratino in basso, verso Giacomo e opposto al Re nero, piazzò un Re bianco. «Ecco, questa mossa l’ha inventata un certo Luis Ramirez Lucena. Il Cavallo bianco dà scacco al Re nero, che è impedito a muoversi dai propri Pedoni… questi tre neri, vedi?»
Giacomo fissò la scacchiera, poi Gilardi. «Stai bene?» domandò, passandosi la mano sulla bocca.
«Certo che sto bene. Ti sto spiegando la storia del matto affogato, è questa mossa degli scacchi».
«E che cosa mi rappresenta?»
«Già, che ne puoi sapere, tu? Significa quando uno non può vincere la sua partita perché è impedito dai propri Pedoni» e glieli indicò sulla scacchiera. «Capisci ora?» Giacomo scosse la testa. «Qui, il Cavallo bianco dà scacco al Re, che non può muoversi perché ha i due Pedoni e la Torre che glielo impediscono… ma che cosa sto a dirti, che ne capisci… scusa, a me serve per ragionarci. Chi è il Cavallo bianco?» Alzò il Cavallo dalla scacchiera, poi lo rimise al suo posto.
«E tu saresti quello?» domandò, indicando il Re nero.
«Sì, funziona così».
«E questo?» Prese in mano il Re bianco, che era verso di lui.
«Ma… quello è il Re. Ora non serve…»
«Ma tu ci parli, con questi scacchi. Che storia è?»
«Vedi, guardali… Per te sono soltanto dei pezzetti di legno, con forme diverse. Invece ognuno di questi pezzi ha una propria personalità, un carattere, non soltanto una funzione nel gioco. Questi pezzi per me sono vivi, mi rispondono…»
«Non è che ti sei ammattito?»
«No, sono sanissimo. Sei tu che non conosci il fascino degli scacchi… Con una scacchiera davanti non sei mai completamente solo: questo è il mondo degli scacchi. Ma lo sai che su questa scacchiera e con questi pezzi tu puoi formare una serie illimitata di combinazioni?»
«Io no di certo. Andiamo avanti».
«Sì… il mio Cavallo bianco» disse, accarezzando la criniera scolpita nel legno del cavallo tradizionale. «Vedrai che qualcosa viene fuori. Vedrai».
«Bene, ti ascolto perché so che qui andremo avanti. Che idea hai in testa?»
«Chi poteva volere la morte di Carlo? Abbiamo risposto a questa domanda? Scartiamo le faccende del padre e la camorra…»
«Sì, non c’entra, non sono i loro metodi. Ma capisci la stranezza: arriva uno, prende la macchina e la sposta, lo ammazza, poi lo accompagna alla Gabbianella e lo mette sul binario per farlo sembrare un suicidio. Ti pare un comportamento normale?»
«Forse gli assassini non sono normali. Ma questo non è un assassino vero, questo cavallo non ha studiato la mossa».
«Gli è venuta per caso? Aziz?»
«No, tutti i riscontri lo escludono, lo sai pure tu».
«Qualche altro compagno? Aspetta che Aziz lasci la macchina, ci monta…»
«Frena. Ho conosciuto i compagni di Carlo, non sono all’altezza. Per un lavoro del genere ci vuole cervello e rabbia».
«Sì… tanto per fare la commedia: la ragazza è incinta, non ha altri amori. Metti che Carlo non volesse più sposarla. Lei…»
«No, mi sento di escludere la ragazza: ci vuole più forza e più testa. Tu ti rendi conto, vero, che stiamo soltanto ragionando a tempo perso? Qui stiamo giocando a scacchi». Prese la Torre e la mise da parte. Ora, sulla scacchiera, era rimasto il Re nero, i due Pedoni e, di fronte, il Cavallo bianco.
«Padre e fratello…»
«Sì, ci ho pensato». Riprese in mano il Cavallo bianco, lo rigirò sul tavolo, poi lo rimise al suo posto. «Il padre è un incazzoso, poco simpatico. Ma convincono il ragazzo a sposare la figlia ammazzandolo? E non sei tu che hai controllato i loro alibi per quella notte?»
«Sì… erano a letto, alle sei sono partiti col camioncino per Ceresella, avevano un lavoro. Un alibi così vale poco, ma tiene».
«Sì». Max Gilardi prese i due Pedoni neri e li tolse dalla scacchiera. «Però a loro il ragazzo serviva vivo. Poi è un piano troppo elaborato, non sembra anche a te? Il tale, questo Cavallo bianco, è più sofisticato, sa quello che sta facendo, non lo fa a caso. Guardati la scena: aspetta che Aziz scappi via, monta in macchina e la sposta fuori dal giardino. Si ferma per discutere con un ragazzo mezzo addormentato, ubriaco, fatto… che però forse si sveglia, reagisce male, alza le mani. L’altro gli strappa il tirapugni e lo colpisce. Magari non sa di averlo ammazzato, ma deve portarlo lontano da lì, deve ucciderlo perché il ragazzo l’ha riconosciuto, e deve farlo sembrare un suicidio».
«Quindi pensi che i due si conoscessero».
«Penso di sì, potrebbe almeno essere probabile. Uno che conosce le abitudini di Carlo e dei ragazzi…» Sollevò il Re nero. Lo rigirò e poi lo rimise al suo posto, sulla scacchiera. «Non importa che abbia sentito la storia della Gabbianella, da dove era la macchina ci arriva quasi per forza…» E riprende in mano il Cavallo bianco, lo rigira, lo osserva. «Questo voglio sapere: chi è questo maledetto Cavallo matto?»
«Sto aspettando, perché mi gioco quelle cose che tu hai già la risposta. Figurati se stai a farmi tutta questa manfrina degli scacchi, Cavallo bianco e Cavallo matto, se tu non hai già un’idea in testa, mannaggia a te. Allora, chi è ’sto…»
«Scommetto che ci hai pensato anche tu. Io vorrei fare ancora due chiacchiere con il professor Milasi».
«Tu devi essere pazzo».
«Frena. Non abbiamo in mano uno straccio di prova contro nessuno. Questo lo sai, vero? E la Santini con chi se la prende, con la Gabbianella? O vuoi anche tu andare contro la Ferrovia e compagni? Qui dobbiamo ottenere una soffiata; altrimenti abbiamo, per dirla con la Santini, un pugno di mosche».
«Ma secondo te! Stai pensando che Milasi sappia qualcosa e che te lo dica? Svegliati, Max, qui non giochiamo a scacchi, quello non è scemo. Vuole proteggere la ragazza…»
«Perché?»
«Come, perché? Perché ha diciotto anni, è sua allieva… la protegge e basta».
«Pensaci, Giacomo. E dammi retta».
«E a te da dove ti arriva questa idea?»
«Non lo so. Ma prima di cancellarla vorrei provarci».
«A fargli dire quello che sa?» Max fece di sì con la testa. «E se non sa niente?»
«Lo capiremo».
«Tu sei pazzo, e io più di te che ti do retta». Si alzò, facendo rumore con la sedia. Poi si rimise a sedere. «Quando ci vuoi andare?»
«Quando può, anche domani».
«Vabbe’, ci provo. E che cosa gli dico? Veniamo a fare quattro chiacchiere all’ora del tè?»
«Riesci qualche volta a rispondermi senza fare lo spiritoso, accidenti? Gli telefoni e gli chiedi se tu e io possiamo passare da lui, per avere qualche chiarimento in merito… eccetera eccetera».
«E lui, siccome è scemo, non mangia la foglia».
«Ma di quale foglia parli? Lui immagina che io voglia andare a parlargli dei suoi ragazzi… Ed è quello che farò. Forse».
«Forse? Ma che cos’hai in quella testa, me lo vuoi dire?»
«Niente» tuonò. «Se avessi un’idea precisa non starei qui a perdere tempo con te. Voglio averlo di fronte e provocarlo. Voglio vedere come reagisce, questo voglio. Lui sa delle cose che deve dirmi. La Santini non ha niente in mano se lui non parla, lo capisci questo? Ti persuade?»
«E dagli con la Santini. E se non sa niente?»
«Appunto. Lo capiremo. Lo lasceremo in pace. Ma se sa qualcosa, se lei si è confidata, voglio che ce lo dica. Vuoi scommettere?»
«Contro di te? Fossi matto». Appoggiò la bottiglietta della birra per terra. «Ma che cosa avrebbe dovuto confidargli? Se è stato Carlo… Ma se non è stato lui, perché la ragazza avrebbe dovuto dirlo al professore?»
«Perché lui la protegge, le si dimostra amico… l’hai visto anche tu. Lui è padre severo con i suoi ragazzi. Se lei gli ha detto qualcosa, io voglio fargli capire che deve dircelo, che dobbiamo saperlo. Altrimenti è complice di chi l’ha ammazzato».
«E lui si spaventa a morte e ti dice anche quello che non sa… mi piacerà vederlo. E questo professore stitico sarebbe il Cavallo bianco? Che cosa mi rappresenta?»
«No, Giacomo, non ci hai capito niente. Lui può aiutarci a capire… a sapere forse chi è ’sto Cavallo bianco. Questo voglio, farlo parlare». Giacomo fece una smorfia. «Giacomo, te lo giuro, se avessi un’idea vera in testa, te lo direi. Sto andando al buio, a sensazione… Spero che lui si spaventi».
«Se lui sa qualcosa… ma perché ti sei messo questa idea in testa?»
«Non lo so. Sento puzza, voglio guardarlo in faccia. Cerca di capire, Giacomo: poiché io ho la sensazione netta che lui sappia più di quello che dice, lui deve avere un buon motivo per tacere. Bisogna riuscire a farlo parlare, altrimenti non ne usciamo. Non ci sono prove. Non c’è niente contro nessuno se non riusciamo a far parlare chi può sapere. Un avviso di garanzia, una perquisizione… ti rendi conto? Non abbiamo niente in mano, dobbiamo costringerlo a dirci quello che sa. Se davvero sa qualcosa».
«E se gli viene un sospetto e ci aspetta con un avvocato al fianco?»
«Che male fa? Mica è un interrogatorio. Io chiedo e lui risponde».
«O fa scena muta».
«Avremo sbagliato. Ma sapremo che non vuole rispondere. Capisci che una piccola differenza fa?»
«Capirai… Avverto la Santini?»
«Che fretta hai? Io voglio soltanto vederlo, parlargli e capire che cosa sa. Voglio sapere chi è il Cavallo bianco: questo voglio sapere».
«Piccolo particolare, te ne sei scordato? Tu ti sei ritirato dal caso».
«E allora? C’è un caso contro qualcuno di preciso? Non mi risulta. Io vado a chiacchierare con uno che conosco. Magari viene fuori il nome dell’assassino, io che c’entro? La dottoressa Santini farà quello che deve fare… io sono fuori».
«Vabbe’, sarò diplomatico. Ti dirò, ma non ci sperare».
«Ci spero, invece. Ciao».