Trentuno

Il giorno dopo la visita in casa Notarnicola, Giacomo chiamò Max Gilardi al telefono.

«Ma come ti vengono certe idee, domando io».

Max Gilardi sorrise. Era compiaciuto che gli si riconoscesse un certo intuito. «Vorrei trovare qualcosa di concreto».

«Che cosa vuoi fare, andiamo al cantiere?»

«No, senti…» Gli spiegò in poche parole quello che voleva fare: questo era ancora possibile tra di loro, si capivano al volo.

«Ci sto. A che ora?»

«Telefono io, se non ti richiamo facciamo alle cinque. E porta le foto».

«Naturalmente. Ciao, fenomeno. Lavorare con te è persino divertente, se non fossi così ’nu scassapalle…»

Furono puntuali. Alle cinque si trovarono davanti al portone. «Andiamo, ci aspetta».

Non ebbero neppure bisogno di suonare il campanello, appena arrivati sul pianerottolo Rosina aprì la porta.

«L’ho vista arrivare, avvocato. Buongiorno. Entrate, entrate, senza complimenti».

«Le presento Giacomo Cataldo, un investigatore che collabora con il mio studio».

«Un investigatore… entri, buongiorno. Accomodatevi in salotto, lei avvocato conosce la strada. Io vi porto il caffè… andate pure».

Max Gilardi si fermò davanti alla porta della cucina. «E se rimanessimo qui? È più comodo, così lei non va avanti e indietro…»

Mentre Max Gilardi parlava con Rosina, Giacomo era arrivato alla porta del salotto e aveva dato un’occhiata. Con una smorfia era tornato indietro. «Sì, va bene in cucina» disse. Sembrò quasi un ordine.

«Come volete voi, naturalmente. Il salotto c’è, l’avvocato l’ha visto. Come volete…»

I due uomini si sedettero dalla stessa parte del tavolo, Rosina restò accanto ai fornelli. Sul tavolo erano pronte le tazzine e un piattino con i soliti dolcetti. Si rivolse a Giacomo. «Questi li deve proprio assaggiare. Fatti con le mie mani, l’avvocato li conosce. Vero che sono buoni, avvocato?»

«Buoni».

Rosina continuava a parlare, sembrava agitata. Mentre versava il caffè nelle tazzine, Gilardi si accorse che le tremava la mano.

«Allora, avvocato, la signorina si sposa». Alludeva a Elena.

«Così sembra».

«Pensavamo che se la pigliasse lei».

«Un’idea assolutamente sbagliata». E sorrise.

«Se lo dice lei… Comunque la signorina s’è presa il meglio di Napoli». Sospirò con aria maliziosa. «E così sia… Allora, ci sono novità?» Si sedette davanti a loro, con le braccia incrociate sul petto. «Se siete qui, addirittura un investigatore… qualcosa avrete da dirmi, no?»

«Sì, signorina. La novità è che… noi non crediamo che l’ingegner Alessandro Notarnicola volesse sposare lei».

Rosina guardò prima l’uno poi l’altro con la bocca spalancata. Come se le mancasse il fiato. «Lei starebbe per me? Ma che cosa va dicendo? Avvocato, glielo dica lei a questo investigatore: è ammattito? L’ha sentito, c’era pure lei, avvocato. L’ha detto il cavaliere, non io… il cavaliere in persona, glielo dica, avvocato. Creda a suo padre, se non crede a me! Noi dovevamo sposarci a luglio, non avevamo ancora la data perché dovevamo fare le pubblicazioni in chiesa e in municipio. Tutto rimandato a dopo il varo della barca. Al cavaliere, se non vuol credere a me! A luglio…»

Giacomo volle insistere. «Questa non mi sembra una casa pronta a ricevere due sposi. Né una casa adatta a uno come Alessandro Notarnicola».

Questa volta Rosina sorrise e sembrò più divertita che agitata. «Perché voi non avete conosciuto Alessandro. Lui sarebbe venuto qui e avrebbe ammobiliato la casa in due settimane, come voleva lui. Quando ci sono i soldi, e lui ne aveva, si fa in fretta ad avere buon gusto. Sì, lui ne aveva, era esigente… Non gli piaceva questa casa? Ne avrebbe trovata un’altra! Sarebbe arrivato e mi avrebbe detto: Rosina, traslochiamo al Vomero, o a Genova…»

«Perché Genova?»

Lo osservò sorpresa. «Perché c’è il mare, a Genova. Ma anche in Islanda o in Grecia. Lei non conosceva Alessandro, investigatore mio. Poteva fare quello che voleva. Io gli avrei sempre detto che tutto andava bene come voleva lui».

«Capisco». Invece non capiva.

«Per me Alessandro era la cosa più bella del mondo».

«Il difetto delle cose belle è che faresti di tutto per ottenerle».

Rosina gli lanciò un’occhiata di traverso. «Anche uccidere?» domandò.

«Perché no? Comunque non è di questo che stiamo parlando». Dispose sul tavolo, una accanto all’altra, le fotografie di Mabel che avevano trovato nella camera di Alessandro. «Conosce questa ragazza?»

Rosina osservò le foto con poca attenzione, passando lo sguardo dall’una all’altra foto. Scosse la testa. «No, chi sarebbe?»

Rispose Max Gilardi. «La donna che Alessandro avrebbe sposato subito dopo il varo della barca».

«Questa?» Rise, ma fu quasi una smorfia. «Questa? Ma che cosa dice, avvocato. Che cosa mi sta dicendo, e chi è? Mai vista…» Le tremava la voce.

«Abbiamo trovato foto e lettere nella sua camera. Alessandro sarebbe andato a Londra, subito dopo il varo…» Riferiva a memoria qualche frase della lettera che Elena aveva tradotto. «La ragazza è di Londra».

«No, è tutta una storia che mi state raccontando. È vero che Alessandro era andato spesso in Inghilterra, credo perché non voleva restare a Napoli, anche per questo la casa è rimasta com’è. Che cosa vi ha fatto credere che questa fosse la fidanzata di Alessandro?» Ora sembrava più calma, come se il peggio fosse passato e lei avesse ripreso in mano la situazione.

«Lo ha scritto Alessandro».

«Ma quale scritto, che cosa andate dicendo? Dov’è questo scritto? Qui c’è lo zampino della signorina, me lo sento». Si riferiva ancora a Elena. «Se l’è inventata, figuriamoci. Io questa non l’ho mai sentita nominare». E con un gesto stizzoso spinse le fotografie verso Giacomo. «Tutte scemenze».

«Non tanto, signorina». Il tono di Max Gilardi era calmo, rassicurante. Rosina lo guardò con un senso di sollievo. «Comunque c’è una domanda che vorrei farle. Lei può rispondere o no, non è obbligata. E se risponde, quello che ci dice resterà qui, non ha alcun valore, ha capito bene?» Rosina fece di sì, con il capo, e incrociò nuovamente le braccia sul petto. «La domanda alla quale vorrei che lei rispondesse è semplice: perché lei non crede e non ha mai creduto che si trattasse di una disgrazia?»

Rosina si guardò attorno, posando lo sguardo sui mobili e sulle pareti della cucina come se cercasse una risposta. O come se volesse decidere se rispondere e che cosa. Mosse le labbra più volte. Infine, a bassa voce, disse: «Perché quella notte Alessandro era qui».

Giacomo fu il primo a reagire. Alzò il pugno e lo lasciò cadere pesantemente sul piano del tavolo. «Accidenti» imprecò. Le tazzine tremarono sui piattini con un tintinnio appena percettibile.

«Calma, Giacomo. Cerchiamo prima di capire. Lei ha detto che Alessandro quella notte era qui? Ha passato la notte prima dell’incidente qui con lei?»

«È quello che ho detto…»

«Ma si rende conto che lei ha taciuto un fatto importante, che avrebbe potuto dare una svolta diversa all’indagine?»

«Senta lei, non gridi, che grida a fare? Nessuno me l’ha chiesto. Qualcuno mi ha chiesto forse se Alessandro era qui?»

Giacomo guardò di sottecchi Max Gilardi che fece di no con la testa. Una simile domanda e relativa risposta non erano agli atti.

Max Gilardi si rivolse nuovamente a Rosina. «Ora invece lo conferma: era qui». Rosina annuì. «E naturalmente è pronta a ripeterlo se la chiameranno…»

«E perché? Perché dovrebbero richiamarmi? A dire che? Quello che avevo da dire l’ho detto…»

«Sì, ma qui non conta. Se dovessero risentirla, se sarà necessario lei dovrà ripetere quello che ha detto a noi… Potrà avere un avvocato, se vuole».

«Ma che cosa va dicendo? Risentire me? E perché? Perché non ho voluto raccontare i fatti miei? Alessandro è stato qui, quella notte. Glielo dico qui, glielo dico ora, subito… e l’avvocato c’è, eccolo lì. È un avvocato, no?»

«No, signorina. Non io. Lei potrà avere, se vuole, un avvocato di fiducia o d’ufficio che la consigli. Niente di grave, mi pare. Ripeterà quello che ha detto a noi». Max Gilardi guardò verso il fornello, gli sembrò che la fiamma sotto la caffettiera napoletana fosse accesa. «Possiamo berci un altro caffè, ce lo farebbe, signorina?» Considerò opportuno rallentare la tensione che si era creata.

Rosina sospirò, riprendendosi. «Sì, ma certo. Sta già salendo…»

Rifecero il rito delle tazzine, della zuccheriera che passava dall’uno all’altra, dei dolcetti fatti a mano: buoni. Davvero buoni.

Quando Rosina raccolse le tazzine e le appoggiò sul lavello, Giacomo riprese a parlare: questa volta era calmo.

«Signorina, da quanto ci ha detto, Alessandro ha lasciato il cantiere per venire da lei. Vediamo, circa un’ora di auto… Lei si ricorda che ora fosse quando è arrivato?»

«Sì, circa… erano passate le nove. Di sera, naturalmente». Ora lo stava sfottendo.

«Non è obbligata a rispondere, ma se vuole…»

«Perché no? Le nove, sì, io avevo già mangiato. Ed è andato via, vediamo… verso le sei. Sì, verso le sei più o meno».

«E chi era rimasto a guardia del cantiere?»

«Marietto, suppongo. Non gliel’ho chiesto, ma di certo non avrebbe lasciato la barca incustodita. Marietto».

«Comunque non le ha specificato chi fosse rimasto in cantiere». Rosina scosse la testa per dire di no. «L’ingegnere non le ha detto che era sua intenzione partire il giorno dopo…»

Rosina fece una smorfia. «Ancora con questa storia? No, abbiamo parlato d’altro… diciamo».

«Avete discusso?»

«No, ma neanche per sogno. C’era quella cosa del cantiere che lo impensieriva».

«Quale?»

«Voleva chiudere a Napoli».

«Le ha detto perché?»

«No, qualcosa non andava… Al momento l’ho soltanto ascoltato. Ci ho pensato dopo».

«Presentiva che sarebbe potuto accadergli qualcosa di grave, come in effetti è stato?»

«Questo non lo so, non è questo che ha detto. Tipo: ‘ho paura perché forse vogliono ammazzarmi’? No, non mi ha mai detto una cosa simile. Mi diceva che era scontento, che qui non era il posto adatto per una barca come la sua… ecco, cose del genere. Affari, non paura». Guardò Giacomo per sincerarsi che stesse credendo a quanto diceva. «Voleva andare via e basta» ripeté.

«Per andare dove?»

«Di questo non so niente».

«È sicura?»

«Certo che sono sicura».

«Se io le dico che Alessandro ha lasciato scritto che voleva aprire un nuovo cantiere in Inghilterra, dove lo aspettava questa ragazza… si chiama Mabel, mai sentito questo nome?» Rosina scosse la testa. «Bene, andiamo avanti: che voleva partire il giorno dopo il varo, che aveva una casa arredata in Inghilterra e che avrebbe sposato questa Mabel… lei mi conferma che di tutto questo lei non sapeva niente?» Anche lui ora stava barando, per sorprendere una qualsiasi reazione della ragazza.

«Certo che glielo confermo, caro lei. Perché niente è vero di quello che sta dicendo. Niente, mi ha capito? Niente». Ora era sul punto di piangere.

«Ci scusi, Rosina» disse Max Gilardi. «A volte le cose sono difficili anche per noi che facciamo domande».

«Però… una cosa mi viene in mente». Si morsicò il labbro inferiore, e socchiuse gli occhi. Max Gilardi notò che era cambiata all’improvviso, come se soltanto in quel momento si fosse resa conto di quanto le stavano dicendo. Aveva un’espressione dolorosa e sorpresa al tempo stesso. «Quando se ne è andato» continuò, «mi ha lasciato le chiavi di casa sul tavolo. Non l’aveva mai fatto. Ho pensato che le avesse dimenticate e le ho messe via, in un cassetto. Le ha davvero dimenticate o le ha lasciate perché sapeva che non sarebbe più tornato? Bella domanda».

«Le domande più difficili sono quelle che non hanno risposta. Grazie, signorina: ci è stata di molto aiuto. E ci scusi».

«Non fa niente. Ora lo direte a quelli là?»

«I Notarnicola? No, non tocca a noi. Lo sapranno se la cosa avrà un seguito. Questa era una visita per il caffè».

Rosina sorrise. In certi momenti era ancora bellissima.

Giacomo tentò un tono gentile. «Se avessi ancora bisogno di lei…»

«E io sono qua. Lei come ha detto che si chiama?»

«Giacomo Cataldo».

«Investigatore… Va bene, qua sono».

Rise, sulla porta: era imbarazzata. «Un’altra donna… balle, non riesco a crederci. Comunque ora potrò smettere di vestirmi di nero. E anche di piangere. Statemi bene, grazie…» E chiuse la porta.

In strada Giacomo diede un calcio a una lattina che rotolò sul selciato, facendo rumore. «Te l’aspettavi?»

«No, accidenti. Questa che non racconta che Alessandro era stato con lei. Ti rendi conto che è stato assente dal cantiere circa tutta la notte, tra andata e ritorno?»

«E chi ha guardato la barca? Chi c’era in quel cantiere mentre lui era via?»

«Marietto? Neppure di questo siamo sicuri. E se c’era Marietto, è stato lui?»

Giacomo si pizzicò il naso tra indice e pollice, un gesto che ripeteva quando era perplesso. «Secondo te mette una bomba nella barca e si fa saltare in aria con il padrone? E per quale motivo, era con lui da anni. Marietto… qui qualcosa non torna. Andiamo a dare un’occhiata al cantiere?»

«D’accordo. Andiamo a sentire che cosa ci racconta questo ingegner Semini…»

«E chi sarebbe?»

«L’ho letto nei verbali, è il direttore del cantiere, prima della morte di Alessandro era il suo vice». S’incamminarono; stava già scendendo la sera, che a Napoli è sempre speciale. «Mica male il giovanotto! Una qui, l’altra in Inghilterra, non si faceva mancare niente».

Giacomo fece una smorfia. «Non era un granché; non come la sorella, che è una ragazza in gamba. Lui… lo conoscevo poco, era venuto da noi per vedere se potevamo dargli una mano a proposito di permessi che gli erano stati negati. Invece sei mesi dopo ha costruito, vacci a capire. Era bellissimo».

«Ho visto il ritratto».

Giacomo fece una smorfia. «Eeh… il ritratto è niente. Alto più o meno come te, atletico… somigliava a sua madre, l’hai vista in fotografia. Una bellezza. Ricca, ottima famiglia… nel tabacco».

«Certo, in Puglia».

«Come sua madre, lui era un debole. È morta di crepacuore, pover’anima. Chissà, magari a lei l’aveva detto, di quest’altra. Chissà, tutte bocche chiuse oramai. L’avessimo saputo subito…»

«Io m’ero fatto un’altra idea».

«Quale idea ti eri fatto?»

Max Gilardi cercò le parole per dirlo, un po’ gli seccava. «M’ero messo in testa che fosse una cosa di cuore… di letto, insomma».

Giacomo gli diede una spinta sulla spalla. «Ma che stai a dire? Di letto? Ti sembra una cosa di letto, questa? Hai visto i referti? Qui la cosa è grossa, amico mio: grossa assai, senti a me. Qui il cuore non c’entra…»

«E allora?»

«Allora allora… andiamo a dare un’occhiata al cantiere, poi ne parliamo».

«Che cosa mi dici del Galasso?»

«Il figlio di Marietto? Scivola via come un’anguilla. Ma prima o poi gli mettono le mani sul collo, stai sicuro. Ci puoi scommettere che gli mettono le mani sul collo».