Trenta
Era teso e confuso. Con quell’idea in testa che ormai era diventata una fissazione.
«Vuoi ancora che andiamo a perquisire la camera di Alessandro?»
«Sì, Giacomo: ora più che mai».
«Domani?»
«Domani. Avverti anche Elena, voglio anche lei».
«Chissà…»
Non ci credeva nessuno. I ragazzi che Giacomo aveva coinvolto aprivano e chiudevano svogliatamente i cassetti del mobile che nella camera di Alessandro occupava la parete tra le due finestre. Elena se ne stava seduta sul letto con l’aria scontrosa di chi non capisce la necessità di una nuova perquisizione. Stava vivendola come un’offesa personale. Ricky, alla scrivania, trafficava con il computer di Alessandro. Giacomo, con l’umore di un toro infuriato, interrogava l’uno o l’altro dei suoi ragazzi, come se già conoscesse le risposte.
«Qui avete visto?» Gli rispondevano di sì con malagrazia. Sembrava che tutti pensassero di star facendo un lavoro inutile.
«Ma si può almeno sapere che cosa cerchi?»
«Sì, Elena. Sì. Io sono convinto che tuo fratello non volesse sposare Rosina».
Una risata. Cattiva, di disprezzo. «Ma non essere ridicolo, Max. L’hai sentito anche tu, dovevano sposarsi dopo due mesi da quel varo».
«L’ha detto lei. A te l’ha detto anche tuo fratello?»
«No, non in quell’occasione. Ma era stabilito…»
«Da chi? Hai mai visto la casa dove abita Rosina?» Elena scosse la testa. «Giù, alla Marina…»
«Ci sei stato?» Elena e Giacomo lo chiesero quasi simultaneamente.
«Sì, ci sono stato. Subito dopo la festa a casa tua, quando l’ho conosciuta. Volevo fare due chiacchiere con lei. L’ho fatta parlare».
«E allora?» gli domandò Giacomo.
«Un quartiere della bassa. Con le finestre che danno nei cortili o su altre finestre delle case dirimpetto. E tuo fratello lasciava una casa come questa per andare a vivere lì, secondo te?»
«L’amore?» chiese Elena, finalmente con un sorriso.
«Quale amore: a due mesi dal matrimonio una casa completamente spoglia. Due vecchi mobili, una cucina…»
«Forse l’avrebbero arredata dopo».
«Il motivo? Si sposano e poi arredano la casa? O la cambiano? Il vostro armadio quante ante avrà?»
«Avremo una camera armadio… ma questo che cosa c’entra?»
«Nella cosiddetta camera nuziale Rosina ha un armadio a tre ante, un letto rosa e una bambola. Un po’ stravagante, non ti pare? Sai come i ragazzi chiamano una camera come quella? Diglielo, Ricky».
«Il mattatoio. Il posto dove portiamo le ragazze… per non farlo in macchina».
«Hai capito di che cosa parlo?»
Giacomo gli venne vicino. «Aspetta, interessante… tu credi che noi qui potremmo trovare la prova che Alessandro voleva lasciare questa Rosina?» Max Gilardi annuì. «E quand’anche, che nicche e nacche c’entra con la sua morte?»
Max strinse i pugni. «Cerchiamo e poi vedremo se c’entra».
Giacomo cambiò posizione, quasi con rabbia picchiò il pugno destro contro la mano sinistra. «La storia maledetta è che io mi sono convinto che lui avrà ragione, accidenti. Come sempre. Ma da dove gli vengono queste idee a ’sto avvocato del nord?»
Ricky, dalla scrivania, sbuffò. «Non c’è niente su questo computer. Hanno cancellato tutto. Qualcuno conosce una password?» Elena scosse il capo. «Allora è vuoto, bisognerà portarlo ai tecnici della centrale, io qui non ho mezzi sufficienti».
Girandosi, Max Gilardi si accorse che sullo scrittoio c’erano tre grandi cornici d’argento. Una incorniciava la foto di due bambini, uno più grandicello dell’altra. «Siete voi?» domandò.
«Sì, gli piaceva quella nostra fotografia, io avevo tre anni».
«L’altra è tua madre?»
«Sì. Mio fratello aveva una tenerezza speciale per mamma, di carattere si somigliavano molto».
Max Gilardi allungò la mano. «Ti dispiace darmi quella foto?» L’altra fotografia ritraeva il padre e la madre probabilmente a una festa, lui indossava lo smoking e lei una preziosa pelliccia nera. Max Gilardi notò che nella stanza non c’era nessuna fotografia di Rosina. «Come mai?»
«Sapeva che noi non la sopportavamo e forse le aveva tolte per non dispiacere a mamma».
«Ne avete trovate nei cassetti?» domandò. Gli risposero di no. «Anche questo è normale?» Si guardò attorno evidentemente perplesso. «Avete rimesso a posto questa stanza, dopo la disgrazia?»
Elena scosse la testa. «Era così anche quando lui era qui… Alex era molto ordinato. Quando hanno chiuso le indagini, l’abbiamo soltanto ripulita».
«Avete tolto oggetti, libri, fotografie…»
«No, niente, te l’ho detto. Alessandro studiava in una stanza al piano di sopra, che divideva con me».
«Non aveva libri?»
Elena scosse la testa. «In biblioteca».
«Anch’io studiavo in una stanza diversa da quella dove dormivo, e mio padre aveva una biblioteca; ma in camera avevo libri dappertutto, anche in terra, e riviste con donne nude nascoste nei fondi dei cassetti». Mentre parlava, uno dei ragazzi stava sfilando i cassetti, e li rimetteva a posto con malagrazia. Sotto non c’era niente.
«Ma che cosa cerchi?» domandò ancora Elena.
«Qualcosa che mi dica che questa era la stanza di un uomo di venticinque anni, innamorato, vicino al matrimonio, con un cantiere sulle spalle e una barca nuova da mettere in mare. Questa sembra la camera di un albergo, ma non ti rendi conto di quanto sia impersonale? Sembra ripulita».
«Non è stata ripulita» ripeté con forza. «Alex era molto ordinato e questa è la sua stanza come era e come è sempre stata». Il tono era spazientito, le seccava di non essere creduta.
«Va bene, posso dire che mi sembra strano?»
«Tu puoi dire quello che vuoi, ma questa è la camera di Alex come l’ho sempre vista. Aveva tredici anni quando mamma gli fece questa stanza e così è rimasta. A me non sembra una cosa tanto strana, in camera noi ci andiamo a dormire…»
«Io, evidentemente, nella mia stanza ci vivevo».
Si rigirò tra le mani la cornice. Amava sua madre… ripensò alle parole di Elena. Un amore speciale. Lo colpì il fatto che il retro della cornice sforzava per restare chiusa e non gli sembrò normale per trattenere una sola fotografia. Spostò le due levette che tenevano la cornice unita al supporto posteriore: dall’apertura caddero sul tavolo tre fotografie che non erano della madre amata in modo speciale, ma di una bella ragazza bionda dal sorriso dolcissimo e grandi occhi azzurri.
Tutti quelli che erano presenti in quella stanza per un attimo trattennero il respiro. Fu Elena la prima a riaversi. «Ma chi è? Non l’ho mai vista… come hai fatto a sapere, accidenti…»
Max Gilardi sorrise. «Lo facevo anch’io, da ragazzo. Nascondevo le mie fiamme dietro le foto dei miei genitori o degli amici, perché nessuno le trovasse. Erano i miei segreti. Qui c’è scritto: Love forever, Mabel. Mai sentita?»
Elena scosse la testa. «Ma chi era?»
Intanto Giacomo stava aprendo anche le altre due cornici e smontando alcuni disegni di barche appese al muro. Recuperarono soltanto una lunga lettera in inglese scritta con calligrafia minuta, che Elena tradusse. Era la lettera di una ragazza molto innamorata. Che lo aspettava ‘tra qualche giorno’.
«La data?»
Elena scosse il capo. «Non c’è, accidenti. Ma dove?»
Max Gilardi scosse la testa. «In qualunque posto che non fosse la casa di Rosina».
«Ma dove la troviamo, ora?» domandò Elena. «Sarebbe interessante poterle parlare, sapere chi è, che cosa progettavano insieme. La lettera è scritta da una donna inglese, non da un’americana. Almeno così mi pare, dalla calligrafia e da certe espressioni tipiche. Posso chiedere a mio padre…»
«Non preoccuparlo, sono sicuro che anche lui non ha mai sentito parlare di questa Mabel. In quanto a sapere dov’è…»
«Trovata!» gridò Ricky. Poi, a voce più bassa: «Ho trovato la password!»
«Mabel?» domandò Elena.
«No, Forever… ecco qui. Lettere, email… Sì, lei è a Londra».
«Lo era cinque anni fa. Chissà dove è ora».
«Proviamo» suggerì Max Gilardi. «Scrivile tu, sei sua sorella. Dille che soltanto ora hai trovato le sue foto e la sua lettera, che desideri parlarle. Forse, se non ha cambiato indirizzo email, ti risponde. Perché non dovrebbe?»
«Proviamo». Elena si sedette alla scrivania e cominciò a scrivere. Poche righe, chiare e affettuose. «Ecco, se vuole rispondermi… spero che lo faccia. Dio mio, che emozione, mi sembra di vivere in un romanzo gotico: il fantasma che ritorna… Ma perché Alex non mi ha mai parlato di questa Mabel? Era mio fratello, ci amavamo. Mi offende il fatto che non avesse confidenza in me, io gli dicevo tutto».
«Forse lui non poteva».
«Perché?» Elena lo guardò diritto negli occhi, e forse per la prima volta da quando avevano iniziato quel percorso intorno alla morte di Alessandro, capì che Max Gilardi era molto più avanti di loro, di tutti loro. Lui ora sapeva la verità. «Dio mio…» mormorò. E finalmente riuscì a piangere.
Giacomo prese tutto il materiale che avevano trovato. «Lasciamo qui il computer, se dovesse rispondere. Poi noi due ci parliamo» disse a Max.
«Signorsì».
«Sfotti, sfotti… ma una volta o l’altra avrai torto pure tu! Una volta o l’altra…»
Rimasti soli, Elena lo condusse in salotto, dove stava aspettandoli suo padre. Gli dissero, frenando l’emozione, delle fotografie e della lettera. «Non lo sapevi?»
«No di sicuro. E non lo sapeva neppure tua madre, anche di questo sono sicuro. Che ragazza era?»
«Non lo sappiamo. Le ho scritto, spero che voglia rispondermi. Forse allora capiremo».
«Capiremo?» domandò rivolto a Max Gilardi. «Davvero, avvocato, capiremo che cosa è realmente accaduto quel giorno?»
«Spero di sì. Comunque ho chiesto di fare due chiacchiere con il direttore del cantiere di suo figlio. Forse anche lì non hanno guardato bene».
«D’accordo. Ora mi scuserete se non ceno con voi, ma non mi sento bene, mali di stagione e di vecchiaia…» Sorrise, accarezzando la testa della figlia. «Mi scusate, vero?»
«Hai bisogno…»
«Di niente, cara. Niente».
Morì tre giorni dopo. E Mabel non aveva ancora risposto alla email di Elena.