Ventidue

Mentre rincasava a piedi, come faceva spesso, Max Gilardi si propose tre cose che gli sembrava di dover assolutamente fare.

Chiudere la sua relazione con Elena, perché fosse libera di innamorarsi e di sposarsi. Alla festa in casa Notarnicola Costanza Prati gli aveva indicato Luciano De Angelis, l’architetto laureato in America, come probabile pretendente. Non l’aveva chiesto a Elena, era sicuro che avrebbe negato. Ma ora che la famiglia Notarnicola era cliente del suo studio, c’era di mezzo anche una questione di deontologia professionale. Sorrise tra sé: credeva imbarazzante e poco credibile questa scusa, ma capì che doveva farlo.

La seconda cosa sulla quale ragionò fu di telefonare a Ciccio per scusarsi e per spiegargli la situazione.

Infine si propose di andare a trovare Roberto, il compagno di classe di Aziz e di Carlo, quello che gli era sembrato il più sveglio e il più ragionevole del gruppo, per chiacchierare con lui di quella strana storia tra Carlo e Gioia.

Delle tre cose che si era proposto, fece soltanto l’ultima. Andò da Roberto.

Si fece trovare davanti al suo portone di casa all’ora in cui supponeva sarebbe tornato da scuola. Roberto lo riconobbe da lontano; fermò la motoretta con una gran virata sul selciato, e si tolse il casco.

«Avvocato? Ci sono grane?»

«No, nessuna grana. Volevo parlare con te. Dei ragazzi, l’altro giorno, tu mi sei sembrato il più maturo… un po’ fuori dalla mischia. Sbaglio?»

«No, non sbagliate. Io non lego troppo con i compagni, i miei vecchi sono molto severi. Non posso fare tutto quello che fanno loro, e allora mi lasciano un po’ fuori».

«Capisco. Possiamo parlare un momento?»

«Sì, certo».

Il portone aveva ai lati due colonne che sostenevano il balcone del primo piano, appoggiate su due cubi di pietra. Si sedettero, scomodi, su uno di quei cubi.

«Volevo una tua opinione su Gioia Bruni».

«Non penserete che sia stata lei a ucciderlo, vero? Sviene se deve ammazzare un ragno…»

«No, nessuna ipotesi in questo senso che la riguardi. No… come ragazza, che tipo è? Che genere di rapporto avevano quei due?»

«Con Carlo? Il rapporto che abbiamo noi con le nostre ragazze, m’immagino. Molto sentimento, qualche curiosità… Ci sono anche comode, lo riconosco. E sappiamo che quando finisce la scuola tutto finisce. Però finché il legame c’è, magari siamo anche sinceri».

«Anche tra Carlo e Gioia?»

«No, tra loro le cose sono sempre state difficili. Si sa, lui beveva, tirava… forse a una ragazza queste cose non piacciono. Forse litigavano anche per questo. Certo che litigavano spesso. Ultimamente poi, Carlo non voleva neppure parlarle, la schivava come se avesse la peste».

«La ragione? A voi, che eravate amici, aveva detto la ragione di questo cambiamento?»

Roberto alzò una spalla. Mentre parlava giocava con il suo cellulare, era chiaro che stava aspettando un messaggio. «Lei gli correva dietro… le ragazze sbagliano, non sanno che quando una cosa è finita…»

«Era finita?»

«Direi di sì. Almeno, a stare a sentire lui».

«Mi pareva di aver capito che si sarebbero sposati».

«Bum! Peccato che sia morto, ma questo matrimonio non l’avremmo visto mai».

«Lui non voleva sposarsi?»

«Lui non voleva sposare quella lì».

«Carlo era geloso?»

«Ma va… Io non so che rapporti ci fossero tra loro, ma di sicuro lui se ne fregava. Lei… non so a che cosa miri, ma certo dopo la morte di Carlo si comporta da vedova. Forse vuole qualcosa dalla famiglia».

«Interessata?»

«Non lo so… magari era davvero innamorata e vorrà mantenere i rapporti. Che ne so?»

«Se fosse incinta?»

«Ma no. Ormai ci siamo fatti tutti furbi. Chi è il fesso che va con una ragazza che a volte non ha neppure sedici anni, e non usa precauzioni? Lui, poi… no, escluso. Lei è un po’ scemetta, ma non scema fino a questo punto».

«Perché hai detto: lui no, escluso. Che cosa aveva di speciale?»

«Nel nostro gruppo era il più smaliziato. La sapeva lunga su queste cose. Si può dire che ci ha insegnato tutto quello che dovevamo sapere, fin da quando avevamo tredici o quattordici anni. Non si sarebbe fatto fregare da una come Gioia».

«Senti… scusa, devi andare a mangiare. Una sola domanda ancora: come sono i vostri professori? C’è un professore con il quale sia possibile scambiare due parole su Carlo Spada? Che lo conosceva bene?»

Roberto lo fissò un attimo, poi voltò la testa verso la strada. «Uhm… non abbiamo molta confidenza con i prof, è l’ultimo anno, siamo alla fine. Direi di no».

«Io ho conosciuto il professor Milasi».

«Buono quello!»

«Perché? Mi è sembrato molto coinvolto dai suoi alunni, molto presente».

«Eccome no? Ci rompe i cosiddetti con la storia del nord pulito e civile. A me non è particolarmente simpatico, ma non faccio testo, io in matematica me la cavo. Per gli altri si dà molto da fare».

«Significa?»

«Che alcuni della mia classe vanno a ripetizione da Milasi…» Questa volta fu lui ad alzarsi.

«Anche Carlo Spada andava a ripetizione?»

«Figuriamoci, suo padre gli avrebbe preso Archimede in persona! No, lui no. Ma altri della mia classe…»

«Anche le ragazze vanno a ripetizione? Gioia, per esempio?»

«Sì, sicuramente… è scarsa in matematica. Lei e un altro paio… ma non sono sicuro. Sapete a chi dovete chiederlo? A Manu, lui va a ripetizione da Milasi e a volte ci vanno in gruppo. Anche Gioia, sì… probabilmente anche lei». Si avviò verso il portone chiuso e premette il citofono. «Sono io». Voltò appena la testa sullo scatto del portoncino. «Statemi bene, avvocato. Quando volete…»

«Senti» lo trattenne. «Dei vostri professori… con chi potrei parlare?»

«Lasciate perdere Milasi, con lui non abbiamo confidenza. Cercate quella di latino e greco, Tindara D’Antoni. Lei, sì. Vedrete che da lei… è una bomba».

 

In studio riferì questa chiacchierata a Ricky.

«Cosa voleva ottenere, avvocato?»

Gilardi si grattò la fronte. Un giorno avrebbe spiegato a Ricky di guardarsi dalle risposte che sembrano ovvie: sono quasi sempre sbagliate. «Potrebbe non essere di Carlo, quel figlio che Gioia aspetta…» A loro l’aveva detto che la ragazza aspettava un figlio.

«Già. Ma di qualcuno sarà quel bambino, perché cercarsi un finto padre morto se il vero padre è vivo?»

«Sposato?»

«Probabile. C’è il divorzio, c’è persino il ricatto… E poi, avvocato: che cosa c’entra con la morte di Carlo?»

«Ottima domanda. Forse quando troveremo questo legame avremo in mano l’assassino. Forse».

Ricky fece una smorfia. «Io un’idea ce l’avrei».

«Se è scema, risparmiacela».

«Tanto tanto scema non mi pare. E se a metterla incinta fosse stato il padre?»

«Chi, l’onorevole Spada?»

«E perché no? Voleva chiudere l’inchiesta con il suicidio, in fretta e furia, senza autopsia… Magari ha conosciuto la ragazza, l’ha frequentata un po’, lei gli ha detto che era incinta…»

«E lui ammazza il figlio. Bella soluzione. E perché lo ammazza?»

«Magari Carlo li ha visti insieme e lo minaccia. O forse il padre voleva fargliela sposare per tenere tutto in famiglia e Carlo gli ha risposto di no. Anche questa discrepanza tra moglie e marito. Proprio scema non è, avvocato, avanti…»

«No, proprio scema non è. Parlane con Cataldo e fatemi sapere qualcosa su questo onorevole Spada: chi vede, chi frequenta, che cosa fa, se vede la ragazza… Fammeli seguire un po’, fammi capire meglio ’sta situazione. La ragazza va a ripetizione dal professore di matematica con altri ragazzi: fammi capire anche questa storia».

«Quale storia, avvocato? Anch’io andavo a ripetizione di matematica. Che cosa c’entra?»

«Niente c’entra. Ma voglio sapere che cosa fa questa ragazza. Chi frequenta…»

«Il professore che le dà ripetizioni e altri ragazzi asini come lei. Che cosa vedo?»

«Se invece di andare a ripetizione… hai capito ora?»

«Caspita, ma poteva dirlo subito se è questo. Certo, le metterò qualcuno alle calcagna… Altro?»

«No, ma tutto in fretta. Io vado a trovare una certa Tindara… ma guarda che nome, scommetto che è siciliana…» e rise, grattandosi la fronte. «Tindara D’Antoni, professoressa di greco e latino. Pare brava…»

«E lei che se ne fa di una così?»

«Ci chiacchiero, Ricky. Ci faccio due chiacchiere… serve altro?»