Otto

Mentre su Internet stava scorrendo la rassegna stampa che riguardava il suicidio alla Gabbianella, suonò il cellulare. Guardò il numero e non lo riconobbe.

«Gilardi».

«Ciao, avvocato». Riconobbe invece la risata.

«Ciao Elena, stai bene?»

«Sparito, oltre che dallo studio di Ciccio anche dalla mia vita?» Era allegra.

«Scusa… sto ambientandomi».

«Possiamo ambientarci andando a un cinema, per esempio?»

«Certo. Stasera?»

«Sì, scelgo io? Tu non mi sembri un gran frequentatore di sale cinematografiche».

«Perfetto. Dimmi cinema e ora…»

Per qualche settimana diventò una piacevole abitudine. Elena gli telefonava, sceglievano lo spettacolo preserale, di solito mai troppo affollato. Poi a cena: Elena gli mostrava una Napoli che aveva dimenticato, o che non aveva mai conosciuto.

«Hai nostalgia di Milano?»

«Mentirei se ti dicessi di no. È stata la mia vita per sei anni, sicuramente anni molto importanti».

«Ti capitava di pensare a Napoli, in tutti gli anni che sei stato via?»

«Non alla città, ma ai miei ricordi. I luoghi, i compagni, mia madre… sempre così apprensiva e così silenziosa. Mio padre, così assente e così sempre fortemente presente. Sono scappato soprattutto da lui».

Erano a tavola, in un angolo della terrazza di Agnoletto, uno dei ristoranti dove si mangiava il miglior pesce di Napoli. In mezzo a loro il piatto con il fritto misto, che pizzicavano con le mani, in attesa della zuppa.

«E ora da che cosa stai scappando?»

«Scusa… ora sono qui. E sto bene». Strinse le labbra e deglutì.

 

Qualche giorno dopo si stupì che Elena gli telefonasse a casa e non sul cellulare: era la prima volta.

«Posso invitarti a cena?»

«Sì, dove?»

«A casa mia. Va bene per le otto e mezza?»

«Perfetto».

Elena indossava come al solito jeans e camicia. Non era stata dal parrucchiere. E la cena era opera di qualche salumaio della zona. Non sembrava una serata speciale.

Tuttavia Max Gilardi notò che Elena non era del suo solito umore.

«Qualcosa non va? Vuoi parlarne?»

Erano seduti in salotto, una di fronte all’altro: Elena sulla poltrona, Max sul divano. A Elena piaceva cenare in salotto aiutandosi con il carrello e con il tavolino basso, al centro, tra il divano e le due poltrone.

Depose il piatto e si passò, rapida, la lingua sulle labbra. «Posso farti una domanda?» Non attese risposta e continuò: «Anche se è una domanda che non ti piacerà?»

«Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?» Si rese conto tuttavia che Elena non stava scherzando.

«Che uomo sei, Max?» Max Gilardi corrugò la fronte e si fece attento. «Con le donne, dico: che rapporto hai, ora?»

«Cerco di intuire il significato della tua domanda. Vediamo. Che uomo sono oggi: è questo che vuoi chiedermi? Che rapporto ho con le donne, oggi? Un rapporto normale, di maschio non ancora vecchio, sano, per bene. Il mio passato recente non c’entra. Suppongo di essere ancora capace di sensazioni forti, di sentimenti. Amore è una parola, con quello che contiene, che per me non esiste. Nessuno da me può pretendere amore. Ma sentimenti onesti, sì. Di questo sono ancora capace. In Africa quest’estate ho conosciuto una ragazza che mi ha chiesto se ero un gentiluomo italiano. Ecco, sì: sono un gentiluomo. È questa la risposta che volevi, Elena?»

Elena si alzò. Si mise in piedi davanti a lui, con le ginocchia premute contro le ginocchia di lui, e Max le aprì per accoglierla. Con le mani la strinse alla vita.

«Davvero, Max? Così…» Si chinò. In quel gesto la camicetta scoprì l’attaccatura del seno e Max chiuse gli occhi. «Così?»

Si baciarono a lungo, cercandosi. Max la rovesciò sul divano, accarezzandole il seno nudo. «Attenta, Elena… sei così giovane, perché con me?»

«Perché è te che voglio, se anche tu vuoi me…» Lo baciò sul collo, slacciandogli la camicia. «Sì, ai tuoi patti. Niente amore… ma ti prego. Ti prego, Max…»

 

Al mattino lo svegliò il profumo del caffè bollente. Elena si chinò a baciarlo sulla bocca. «Sono le nove passate, avvocato».

«Non mi viziare, Elena. Mi costerà molta fatica, ma ti resisterò: te lo prometto. Sei l’ultima persona al mondo che vorrei vedere infelice a causa mia».

«Presuntuoso». Con un gesto del braccio gli tolse le coperte di colpo: Max era nudo. Elena fece una smorfia.

«Ma chi credi di essere, George Clooney?»

Sulla porta, mentre Max stava preparandosi a uscire, Elena lo fermò con un gesto. «Vorrei che Ciccio non lo sapesse, a volte mi mette in imbarazzo».

«Ciccio? Ma è pazzo? Sei la cugina di sua moglie, ma che cosa ha in testa?»

«Forse non è un gentiluomo italiano». E cercò di ridere, ma la sua espressione rimase seria. «Un’altra cosa, Max: poi non ne parleremo più. Non ti chiederò amore, ma vorrei che tu rispettassi i miei sentimenti… questo è possibile?»

«Sì, naturalmente. Di me non dovrai mai dubitare. Con te sarò sempre leale, te lo prometto. È questa la risposta che volevi?»

«Sì, per favore. Non avrai bisogno di mentirmi. Grazie». Si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò sulla bocca. «Ciao, gentiluomo. Torna presto, per favore. Mi manchi già».

Max Gilardi pensò che avrebbe dovuto difendersi. Non voleva che Elena si innamorasse di lui, non voleva che accadesse.

Si incontravano a volte per mangiare: l’aspettava presso il ristorante dove erano stati la prima volta insieme. Vedersi di nascosto li divertiva. Una cena, un cinema. Le cose dovevano fermarsi a quel punto.

Qualche volta, ma in modo irregolare, si fermava da lei a dormire, facevano l’amore. Elena era giovane, fare l’amore con lei era facile e particolarmente gradevole.

Era consapevole che il loro rapporto non fosse, neppure per lei, una faccenda impegnativa. Doveva restare in quei limiti.

A volte, anche se era notte, Max si alzava, si rivestiva e se ne andava. Elena non protestava.

Max Gilardi era stupito. Si era aspettato un amore ‘appiccicoso’, di moine e molti gesti. Al contrario Elena si comportava come un’amica, particolarmente aperta e simpatica, con la quale andava a letto e faceva bene l’amore.