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Laura

30 settembre 2015

 

Kit mi ha raccontato tutto seduto a un tavolo di plastica rovinato nella sala colloqui della prigione. È scoppiato a piangere e singhiozzare, ma il coretto delle sue confessioni era punteggiato sempre dal medesimo ritornello: «L’ho fatto per te», continuava a ripetere. «L’ho fatto per te. Un piccolo errore del cazzo, ecco cosa avrebbe dovuto essere. Non valeva la pena gettare via la cosa migliore che ci fosse mai capitata per un unico momento di follia. L’ho fatto per salvarci». Tra tutte le sue scuse – Mac, il lavoro, suo padre – quel “l’ho fatto per te” era la più offensiva. Come può una persona che dice di amarmi, che mi conosceva, fare qualcosa di tanto crudele in mio nome? È un amore distorto, atrofizzato che preferisce farmi passare quindici anni di ansia paralizzante piuttosto che ferirmi una sola volta. Troppo debole per vivere la sua vita senza di me, ha preferito starmi accanto vedendomi spezzata e malata anziché perdermi. Non mi ha solo portato via il mio futuro con lui, ma mi ha spogliata anche del mio passato.

Con visite limitate a due sessioni da un’ora e mezza alla settimana, Kit ha dovuto sganciare le sue bombe a rate, come un romanziere vittoriano che torturi i suoi lettori. Ogni capitolo mi strappava via un nuovo strato di pelle. Il pomeriggio in cui gli ho fatto raccontare i dettagli – il tendone del chiosco, i sacchi a pelo – ho fatto un collegamento: il profumo di sapone che emanava il giorno in cui ero arrivata in Cornovaglia, si era fatto la doccia per lavarsela via di dosso. Penso che quello sia stato il momento in cui mi sono sentita scarnificata fino all’osso. Ho pianto così tanto e così forte quella sera da passare dai fazzoletti ai rotoli di carta da cucina ai tovaglioli. Avevo pensato che servisse una nuova definizione per quel genere di pianto; nessun vocabolo del dizionario si avvicinava a rendere l’idea della sua intensità. Forse nelle altre lingue esistono termini adatti per queste lacrime di dolore, rabbia e tradimento che sembrano in grado di ucciderti, ma nella cultura britannica non c’è niente di adeguato.

Ha ripetuto più di una volta che avrebbe voluto puntare il coltello contro di sé, e nei miei momenti peggiori sono d’accordo con lui. «Non hai idea di quello che ho passato», ha detto negli ultimi incontri, nel tentativo disperato di farsi compatire, e per la prima volta le sue parole hanno effettivamente stimolato il mio riflesso alla compassione, perché si sbaglia. Capisco come sia cominciata, capisco perfettamente cosa significhi doversi controllare. Per anni ho pensato che fosse la mia bugia a poterci distruggere. Posso concedergli questo parallelismo, ma la differenza tra noi è come quella tra una valle che divide due montagne e una linea tracciata nel fango con un bastoncino.

L’avrei perdonato per aver dormito con un’altra donna? Me lo sono chiesta infinite volte. Dal punto di vantaggio della mezza età incipiente, provo compassione per questa sicurezza infantile (e una specie di meraviglia costernata per il fatto di non essermene accorta allora). È ironico che sia il genere di tradimento che avrei potuto perdonare più in là con gli anni, sapendo cosa possono fare a una relazione il tempo e le pressioni. Ma a ventun anni ero ancora appassionatamente e inflessibilmente innamorata. Forse ha ragione: tra noi sarebbe finita. Avrei voluto che lo fosse. Avrei voluto che mi avesse semplicemente spezzato il cuore quando ne aveva la possibilità. I cuori giovani sono come le giovani ossa: si piegano, ma guariscono.

Non potrò mai perdonare ciò che è venuto dopo, la denigrazione sistematica di una donna vulnerabile, vittima di uno stupro, mortificata da ciò che mi aveva fatto senza volerlo e traumatizzata da ciò che era stato fatto a lei. Beth voleva essere un’amica tanto quanto averne una; lui non meritava la sua lealtà e anche se vorrei che lei mi avesse detto la verità all’epoca, non posso biasimarla per essere stata zitta. Pensare che Kit mi ha persino portata a mettere in dubbio la sua versione originale sullo stupro mi fa star male. E tuttavia la cosa peggiore dell’infedeltà o del processo che ne è seguito è questa: Kit ha atteso finché non siamo stati certi che Beth sarebbe sopravvissuta per dirmi del vetro e dell’incendio. Le prime due settimane la sua vita era in bilico e io lo sono andata a trovare due volte in quel periodo. Il suo rimorso allora era unicamente rivolto all’aver dormito con lei. Se il coltello di Jamie Balcombe fosse stato accurato quanto quello di Kit, se la lama fosse affondata di più nel suo petto, Beth si sarebbe portata con sé nella tomba la vera estensione dell’inganno di Kit. Il tradimento mi ha scorticato la pelle, ma la sua codardia mi ha scarnificata fino all’osso. Mi avvelena il midollo.

 

La verità sul caso Beth Taylor
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